Nicoletta Vallorani
Eva
Einaudi Stile Libero
Il romanzo è ambientato in una Milano possibile del 2023, una metropoli trasfigurata, divenuta l’estrema propaggine occidentale di un Vicino Oriente tormentato, crocevia di interessi occulti, di rancori e interminabili faide.
Un ennesimo conflitto, la guerra glupan (coglione, in serbo) ha da poco attraversato i Balcani coinvolgendo anche l’Italia. Una situazione incerta, di guerra eterna, ha accorciato di molto l’orizzonte di tutti. La società dei quattro quinti (1/5 di occupati garantiti e 4/5 di diseredati e clandestini che sgomitano per sopravvivere) è una realtà che non disturba più nessuno. Il terrorismo e la paura – anonima, quotidiana – sono divenuti una condizione abituale.
Nigredo, il protagonista, è un ex terrorista che sopravvive aiutando la polizia nei casi più difficili. E i delitti dell’Artista sono molto di più che semplici casi difficili. Il soprannome, «l’Artista», l’assassino seriale l’ha guadagnato grazie alle composizioni – vere e proprie installazioni artistiche – che realizza utilizzando i cadaveri delle proprie vittime attentamente sezionati.
Nigredo e l’assassino compiono il proprio percorso in solitudine; i delitti, le installazioni dell’Artista, sono altrettanti punti di contatto, frasi di un discorso che li lega senza unirli. Lo scioglimento dell’enigma arriverà puntuale alle ultime pagine, senza dare sollievo né al protagonista né a noi.
Un romanzo amaro dove, curiosamente, la violenza estrema è ritualizzata e l’elemento macabro si stempera in una realtà dove le emozioni rimangono allo stato embrionale, dove l’eclissi delle speranze ha logorato la capacità di provare orrore.
La sf di Vallorani, interpretata dal filo esile e confuso dei ricordi e dei pensieri di Nigredo, si rivela narrativa dell’incubo sociale, racconto della fase matura e pienamente realizzata di una distopia che è cresciuta e tuttora cresce sotto i nostri occhi. Solo due anni fa sarebbe stato impensabile rinunciare a un sabato pomeriggio in un centro commerciale per paura di un attentato suicida…
Eva è un esempio eccellente di una funzione della sf (ma, anche, a pensarci bene, di una possibile funzione di tutta la narrativa): raccontare, trasfigurandola, la realtà, in modo da riuscire a coglierla nelle sue linee essenziali, secondo le linee di forza che possono o meno determinarne l’evoluzione.
A Vallorani si può forse muovere una «critica» non formale. Il canovaccio scelto – il serial killer e l’investigatore con un passato da dimenticare – anche se ottimamente resi rischiano di suggerire al lettore uno sviluppo «obbligato» alla vicenda, lasciando sullo sfondo il paziente, a tratti geniale, lavoro di creazione di un mondo futuro coerentemente inquietante.
In sostanza il difetto principale di Eva è quello di essere troppo corto, quasi schematico, in omaggio alla necessità di seguire una traccia prefissata. E al lettore, o perlomeno a questa lettrice, rimane dentro un po’ di delusione, una sensazione sottile di insoddisfazione.
Non rimane, quindi, che attendere un’ulteriore esplorazione nel mondo di Eva. Io, almeno, l’aspetto (Melania Gatto).