Gianrico Carofiglio
Testimone inconsapevole
Sellerio
Testimone inconsapevole di Gianrico Carofiglio (Sellerio 2002), è la storia di Guido Guerrieri, avvocato quarantenne in crisi sentimentale e professionale, che ritrova il senso del proprio lavoro occupandosi di un imputato apparentemente indifendibile. Abdou Thiam, il signor Thiam, come si ostina a chiamarlo Guerrieri in tribunale, è un ambulante senegalese di 31 anni, con regolare permesso di soggiorno, accusato di aver ucciso un bambino di nove anni dopo averne abusato. I due si conoscevano, erano «amici» come possono esserlo due persone così diverse per età ed esperienza di vita, e Abadou andava quasi ogni giorno a vendere le sue merci – «false Vuitton, false Hogan, falsi Cartier» – sulla spiaggia dove è stato trovato il corpo. C’è persino un testimone pronto a giurare che «quel giorno» l’ha visto sul luogo del delitto. Una perquisizione nelle due stanze che divide con un connazionale porta al ritrovamento di una foto del bambino e di «libri per bambini, tutti in versione originale. I romanzi di Harry Potter, il Piccolo Principe, Pinocchio e altri», prove a carico, secondo la polizia… «Perché non hanno preso tutte le foto? Perché hanno preso solo alcuni libri? Io mica avevo solo libri per bambini. Ho manuali, ho libri di storia, ho libri di psicologia […]». Già, perché Abadou è maestro, al suo paese, e anche qui in Italia se la cava, è simpatico, i clienti finiscono col fare amicizia con lui, si fanno fotografare con lui, magari gli regalano la foto, come ha fatto il bambino suo amico. Infatti di foto con i clienti, Abadou ne aveva molte altre…
Depresso per la separazione dalla moglie, pieno di dubbi su una professione scelta anche in nome di veri ideali e diventata pura routine, Guido poco a pco comincia a vivere la difesa di Abadou come una questione personale, una «prova» da superare per non dover gettare la toga alle ortiche. Da incarico imbarazzante il «caso» Thiam diventerà, per Guerrieri e per i lettori, un emblema di ciò che deve essere la giustizia:
I processi si decidono […] in base alle prove. se ci sono si condanna. Se mancano o anche se sono solo insufficienti o contraddittorie, si assolve. […]. Per condannare voi non potrete dire che una certa versione dei fatti, uan certa ipotesi ricostruttiva dei fatti è verosimile, o anche molto verosimile. Dovrete dire che questa ricostruzione è vera […] Le sentenze non si scrivono – non si possono scrivere – al modo condizionale. Si scrivono all’indicativo, affermando certezze. Certezze.
La giustizia (della quale la legge è, nel migliore e più nobile dei casi una buona approssimazione) non può accontentarsi della verosimiglianza, sostiene Guerrieri. Perché ricostruzioni verosimili possono basarsi su teorie involontariamente preconcette. Essendo soltanto umani, gli investigatori interpretano le «prove» sulla base di una ricostruzione mentale che hanno cominciato ben prima di averle in mano… ad esempio selezionando i libri e le foto di Abadou.
Si può scrivere un legal thriller all’italiana? Carofiglio ci riesce affidando complesse argomentazioni giuridiche a un personaggio niente affatto eroico, ma semplicemente ostinato a difendere, oltre all’imputato, quel po’ di integrità professionale e di illusioni che il tempo gli ha lasciato. Quando Guerrieri pronuncia la requisitoria finale, di lui ormai conosciamo le debolezze e le speranze rimaste, l’amore appena nato per una vicina di casa, i conti che sa di dover prima o poi saldare con la ex moglie, il terrore di ripiombare nella depressione. Anche per questo facciamo il tifo per lui. E per Abadou.
Scritto con attenzione, con il desiderio di raccontare dei personaggi complessi e non di organizzare uno dei soliti abili spettacoli da tribunale, Il testimone inconsapevole ha poche pecche: qualche pagina di troppo sui problemi dell’avvocato che spezza il buon ritmo del racconto e la scelta di affidare certe coloriture e scelte di campo dell’avvocato a gusti letterari e preferenze (…) che oggi sono ancora un codice comprensibile a molti quaranta-cinquantenni ma domani, scoloriti i ricordi delle generazioni del Sessantotto e immediatamente seguenti, avranno poco significato connotativo.
Il romanzo di Carofiglio mi ha riconciliato con gli avvocati dei legal thriller che, con tutti i distinguo del caso, prima avevo sempre considerato figlioli esaltati e un po’ più esibizionisti di Perry Mason, non quello televisivo, con Raymond Burr, che costringo tutta la famiglia a rivedere quando lo passano in televisione, ma quello dei romanzi di Erle Stanley Gardner che, a conti fatti, è ingegnoso ma mai drammatico. Sì, lo so, i romanzi di Perry Mason sono dei classici, ma che volete… anche i giallofili hanno i loro pregiudizi.
Ma è contro i pregiudizi degli altri, i non giallofili, che se la prende Chesterton, e con ragione: non importa «che cosa» si racconta, importa «come». Come in tutta la buona narrativa, anche nel giallo il «brivido», l’illuminazione improvvisa sperimentata da chi legge, ha a che fare con questioni umane universali come «la coscienza e la volontà». Delle altre, probabilmente, non merita scrivere, nemmeno in un «semplice» giallo (Silvia Treves).