Oliver Sacks |
Strani posti, le isole, dove le leggi naturali e umane dei continenti acquistano valenze ulteriori e inesorabili. Terre dove la storia biologica segue sentieri differenti, le isole possono concedere occasioni insospettate (basti pensare alla fauna di luoghi come il Madagascar), persino «una breve possibilità di esistenza» ad anomalie genetiche e ad alterazioni metaboliche e neurologiche altrove rarissime. É quanto testimonia Sacks narrandoci di due viaggi in Micronesia.
Il primo viaggio ha come destinazione Pohnpei e Pingelap, due isole di origine vulcanica non troppo distanti dalle Marshall, dove il 10% della popolazione è acromatopsica, ovvero cieca ai colori. L’acromatopsia è una malattia genetica causata da un gene recessivo; gli affetti sono privi di coni funzionali, ossia delle cellule retiniche specializzate nella percezione dei dettagli fini e del colore. Devono quindi affidarsi esclusivamente ai bastoncelli, distribuiti alla periferia della retina, insensibili al colore ma straordinariamente sensibili alla luce. Il disturbo è caratterizzato da scarsa acuità visiva, abbacinamento in piena luce, difficoltà a mantenere lo sguardo puntato su un oggetto, ammiccamenti continui degli occhi durante le ore diurne e frequentissimi scatti nistagmici. Gli acromatopsici percepiscono tutti i colori, grigi compresi, soltanto come differenti luminanze e li abbinano non in base alla tonalità cromatica ma alla luminosità: il giallo e il celeste con il bianco, i rossi e i verdi saturi con il nero; una tessitrice di Pingelap produce stuoie con disegni raffinatissimi che, ad uno sguardo normale, quasi scompaiono.
A condurre Sacks sulle Isole dei senza colore è in primo luogo la sua curiosità di uomo di scienza. Come percepisce il mondo un acromatopsico? Come menomazione o come possibilità di vedere un mondo diverso? Quali modificazioni sociali e culturali provoca la presenza di una comunità riconosciuta di ciechi al colore in una società di individui normali? «Bisogna essere completamente ciechi ai colori per poterli osservare» – dice a Sacks una donna acromatopsica e un giovane spiega «Noi semplicemente non ci basiamo sul colore. Guardiamo, tastiamo, odoriamo, sappiamo: prendiamo in considerazione tutto mentre voi pensate solo al colore».
La visita di Sacks a Guam, invece, ha motivi legati alla sua esperienza con i pazienti encefalitici di Risvegli. Nell’isola, infatti, è molto diffusa una patologia altrove praticamente sconosciuta, il Litico-Bodig, una degenerazione neurologica a eziologia ancora sconosciuta, con sintomi strani e contraddittori, di volta in volta correlati al parkinsonismo, alla sindrome post encefalitica o alla demenza progressiva dei malati di Alzheimer. Anche in questo caso la malattia colpisce una percentuale significativa della popolazione, con frequenze altissime all’interno della medesima famiglia; i malati, quindi, sono una vera e propria comunità all’interno della comunità isolana.
Patologie entrambe rarissime, l’acromatopsia e il Litico-Bodig sono, nei luoghi visitati da Sacks, una realtà familiare e chi ne soffre può contare oltre che sulla solidarietà, sul riconoscimento della propria situazione, sulla «accettazione del ammalato come persona, come parte viva della comunità», contrariamente ai tanti pazienti occidentali che, qualunque sindrome presentino, hanno a disposizione, negli attrezzatissimi ospedali, «ogni sorta di aiuto tecnologico. Però sono terribilmente soli, deliberatamente o inconsciamente evitati dai parenti (…) Anche dai medici (…) spesso vengono evitati, cancellati, perfino da loro, dal libro dei vivi». Eppure si tratta di persone complete: «Non solo era dignitoso a dispetto del parkinsonismo, ma in qualche modo attingeva dal male una singolare nobiltà», dice Sacks di un anziano di Guam.
Raccomandare la lettura de L’isola dei senza colore, così come dei libri precedenti di Sacks, sembra un’ovvietà. Pure questo saggio offre motivi ulteriori di interesse, perché oltre alla consueta sensibilità del neurologo per il paziente come persona, alla percezione di lui come individuo intero con (e non nonostante) la sua malattia, Sacks rivela la curiosità e la sensibilità di un naturalista (bellissima la descrizione dell’ultima isola, Rota, e delle sue meravigliose Cicadine) e lo spirito di osservazione partecipe di un sociologo. Ad esempio quando registra con indignazione le storture, l’ipocrisie, la cecità (questa sì, priva di ogni compensazione) della burocrazia militare americana che, dopo aver utilizzato le Marshall per i noti test nucleari, sta riducendo il paradisiaco atollo di Kwajalein in un luogo spaventosamente inquinato e intollerabile agli stessi militari. O quando, dopo una esasperante esperienza personale, dichiara: «fremevo al pensiero che la bellezza perfetta di questa barriera corallina fosse preclusa alla gente di Guam, accaparrata e sequestrata da un ordine costituzionale».
Ma i giudizi di Sacks non sono mai definitivi, semmai ambigui e possibilisti, perché si sforzano di comprendere, se non di capire, tutta la complessità degli esseri umani: «Rigidamente convinta di essere nel giusto, dura e anche aggressiva nei suoi atteggiamenti, pure mostrava un’energia, una tenacia, una determinazione e una decisione che rasentavano l’eroismo. – dice di una missionaria che predica il vangelo in Micronesia – In questa formidabile donna (..) sembrava incarnarsi la doppia valenza della religione, con i suoi poteri e i suoi effetti complessi e sovente contraddittori, specie allorché una cultura – uno spirito – entra in collisione con un’altra».
Oltre al testo e alla valida bibliografia, il volume presenta circa settanta pagine di Note ai vari capitoli, ampie, circostanziate e scorrevoli, un breve saggio nel saggio che ne costituisce un ulteriore motivo di interesse.
Oliver Sacks
L’Isola dei senza colore
Gli Adelphi, 2004
Ed. orig. 1996
pp. 334 € 12,00
Trad. Isabella Blum