Tutte le nostre strabilianti capacità sono nate da componenti di base che si sono evolute nei pesci e altre creature […] Non siamo separati dal resto degli esseri viventi; ne facciamo parte fino al più piccolo dei nostri ossicini e ne fanno parte […] persino i nostri geni. [Neil Shubin Il pesce che è in noi.]
Armato della doppia esperienza di paleontologo e di docente di anatomia umana, Neil Shubin ci guida in un lungo viaggio all’interno del nostro corpo, alla ricerca delle fondamenta e dei piani di costruzione di una struttura complessa che rivela passo passo le nostre origini antiche e recenti.
Per orientarci in questo viaggio ci serve una guida affidabile e questa volta, invece della guida Michelin o della Lonely Planet, useremo i più recenti ritrovamenti fossili, numerose acquisizioni della genetica molecolare e molte informazioni provenienti dall’anatomia comparata. «Roba vecchia!», starete pensando, eppure, secondo Shubin,
Le mappe più accurate per muoversi nel corpo umano si trovano nel corpo di altri animali […] Il motivo è che nel corpo di queste creature spesso ci troviamo di fronte a versioni semplificate del nostro.
Adesso possiamo partire. Il viaggio non comincia con la comparsa sulla scena della specie umana o degli ominidi, e nemmeno con il debutto dei nostri più lontani ascendenti primati; le nostre ossa, i nostri organi di senso, perfino le nostre patologie più diffuse raccontano una vicenda cominciata 3 miliardi e mezzo di anni fa, all’alba della vita.
Il pesce che è in noi è una creatura bizzarra, che nessun «creatore» avrebbe progettato a tavolino: il Tiktaalik roseae, scoperto nel 2006 nell’Artico dall’équipe di Shubin nel 2006 e denominato (dalla tribù inuit nel cui territorio sono stati rinvenuti i fossili). Tiktaalik, vissuto circa 375 milioni di anni fa, era «una splendida via di mezzo tra pesci e creature di terra, che differiscono sotto molti aspetti». Un pesce con squame regolamentari e pinne membranose ma anche con la testa piatta e il collo… un pesce molto particolare che, compattati nelle membrane delle pinne, possedeva spalle, gomiti e polsi.
Come chiamare questa creatura assurda, questo «mostro di belle speranze»? Shubin e compagni girarono la domanda a qualcuno più qualificato di loro il Consiglio degli anziani di Nunavur, nel cui territorio abitava lo strano tipo da vivo. E Il Consiglio, esaminato un servizio fotografico sulla nuova star, propose Tiktaalik, un nome facile da pronunciare che, in lingua Inuktitut, sintetizza mirabilmente la natura della creatura: «grosso pesce d’acqua dolce».
Come Shubin dimostra chiaramente partendo dal bel pesce con spalle e gomiti, l’evoluzione procede (o almeno procede spesso) attraverso un processo di graduale cambiamento, selezionando mutazioni casuali che trasformano un gene, un organo, un osso che, in virtù dei cambiamenti, sono in grado di attuare nuove prestazioni. Così si formano nuove specie che ancora portano le tracce dei loro predecessori evolutivi, in una relazione interiore che può portare, attraverso oceani di tempo, dal pesce a noi umani.
Attraversando una storia della biologia che risale almeno all’ultima parte dal XVIII secolo, Shubin collega osservazioni e ipotesi fatte su componenti molto differenti della nostra struttura anatomica, mettendo in evidenza le tracce del pesce (e degli invertebrati più semplici) che abbiamo dentro: i geni che controllano lo sviluppo dei nostri occhi e delle orecchie, sono riscontrabili, con funzioni differenti, nei primitivi pesci cartilaginei, le nostre mani assomigliano a pinne fossili, le nostre teste sono organizzate come quelle di pesci privi di mascelle da lungo tempo estinti e la maggior parte dei nostri genomi ancora appare e funziona come quelli dei vermi e batteri.
La tesi generale sull’evoluzione non è certamente nuova, ma in parte nuove sono le prove addotte e l’uso che ne fa Shubin; il racconto scientifico procede piacevole e stimolante per chi ha una preparazione specifica ma è accessibile senza sforzo anche ai lettori generalisti e curiosi.
Procedendo nella lettura anche chi non è particolarmente ferrato in biologia, si rende rapidamente conto che se la vita sulla terra fosse opera di un Creatore o Creatrice, non sarebbe un performance troppo riuscita: ben lontana dalla perfezione mirabile (assolutamente non imputabile al caso) di cui parlano i creazionisti, la molteplicità della vita è piuttosto frutto del lavoro di un bricoleur ben deciso ad aggiustarsi con quello che ha nella cassetta degli attrezzi e in magazzino: vecchie ossa, cellule e geni che un tempo appartenevano ad antiche strutture, riadattati per scopi differenti. La prova in corpore vili siamo proprio noi: maschi umani che soffrono di ernia inguinale perché i loro testicoli e i dotti spermatici, ereditati dagli antichi squali, un tempo stavano molto più vicini al fegato; ora, invece, devono scendere costeggiando la parte del corpo creando uno spazio nel quale può insinuarsi una porzione di intestino; persone di ogni età vittime del singhiozzo perché, come accadeva nei loro antenati anfibi, il loro cervello invia impulsi elettrici al diaframma; nei girini il segnale fa serrare la glottide quando respirano con le branchie, evitando che l’acqua entri nei polmoni in rodaggio, per noi è soltanto un vestigio fastidioso che nessuna divinità benevola si è occupata di eliminare. E che dire dei circa 300 geni che presiedono al nostro senso dell’olfatto e che in noi, primati che si affidano soprattutto al senso della vista, permangono nel patrimonio genetico senza servire più a nulla?
Neil Shubin
Insomma, come afferma Shubin, «noi non siamo stati progettati razionalmente, ma prodotti di una storia contorta». Esattamente come un vecchio edificio più e più volte ristrutturato. Ed è a questa continua, impercettibile ma significativa ristrutturazione (che lascia tracce chiarissime nelle mappe catastali del nostro genoma) che dobbiamo disturbi come le emorroidi e patologie come il diabete e l’obesità. Perché i nostri corpi sono sempre quelli di allora, progettati per tesaurizzare le risorse alimentari in vista dei tempi grami, corpi di creature per niente sedentarie che dovevano affidarsi alla natura per mantenere stabile la temperatura corporea. Ma noi gente evoluta, che la civiltà ha rivestito di abiti di grisaglia e di maglioni di cashmire, siamo obbligati a sedere tutto il giorno dietro scrivanie e sportelli bancari o al volante di auto e camion, per alzarci soltanto a fine giornata e tornare, nelle nostre case calde, a mettere le gambe sotto tavole imbandite o i posteriori sulla poltrona preferita… Nessun Creatore ci avrebbe voluto tanto male da progettarci ex novo tanto inadeguati…
Frizzante e appassionante, Il pesce che è in noi riesce in un colpo solo in due compiti molto difficili: primo, spiegare che cosa sia «veramente» l’evoluzione, al di là delle vulgate banalizzanti e da interpretazioni scorrette sulla nostra discendenza «dalle scimmie» o sulla sopravvivenza del «migliore»; secondo affossare con eleganza tute le stupidaggini vociferate dai creazionisti.
L’evoluzione è un bricoleur, diceva qualcuno, evocando la sciagurata immagine del cugino appassionato del fai da te, che assembla tavolini zoppi e muretti storti. Più efficacemente, Shubin dipinge la spinta evolutiva come una squadra di ristrutturatori alle prese con un vecchio palazzo. L’impianto elettrico è da rifare? Quello idraulico non è a norma? Vanno ridisegnati gli spazi? Costa troppo abbattere muri portanti e pilastri, togliere di mezzo vecchie tubature? Si farà come si può a partire da quanto già c’è: si sposteranno pareti divisorie, si adibiranno certi spazi a nuovi usi, si aggiungeranno parti nuove dell’impianto elettrico e idraulico senza preoccuparsi di eliminare le vecchie diramazioni inservibili. Così, sotto l’intonaco fresco e le belle tappezzerie, resterà un intrico di fili e tubi, di circuiti caduti in disuso e di tubature scollegate dall’impianto generale; un caos ormai inservibile, ma utilissimo per ricostruire la storia del vecchio edificio.
Un Creatore, naturalmente, farebbe le cose in maniera molto più pulita, proprio come un progettista che dispone di un budget senza limiti. Ma noi, come Tiktaalik e tutte le creature vissute e viventi della Terra, siamo figli dell’evoluzione e quindi profondamente simili, al di là delle grandi o piccole differenze. Il pesce che è in noi ci aiuta a capirlo meglio e a esserne fieri.
Traduzione abbastanza soddisfacente di Massimo Gardella e un’unica vera pecca: la mancanza di un indice analitico.
Neil Shubin
Il pesce che è in noi
Rizzoli, 2008,
pp. 263, € 20,00
Trad. M. Gardella
da LN-LibriNuovi n. 48 – dicembre 2008