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    Golem

    Dimostrare un teorema, trecento anni dopo

    • di Massimo Citi
    • Settembre 3, 2012 a 10:03 am

    di Massimo Citi

    «…L’Ultimo Teorema di Fermat, così come viene chiamato, affermava che:

    xn+ yn= zn

    non ha soluzioni per numeri interi per n > 2 »


    Da più di trecento anni numerosi matematici hanno tentato di ricostruire la dimostrazione del teorema che Fermat, giudice di provincia e geniale matematico a tempo perso (nella prima metà del 1600 occuparsi professionalmente di matematica non era considerata un’attività seria), sosteneva di aver trovato: «… dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina.»
    Fermat non aveva solo l’abitudine di risolvere problemi impossibili per i matematici dell’epoca, ma anche il gusto del gioco: affermava di essere in possesso della soluzione (affermazione che si rivelava immancabilmente vera) e sfidava gli altri a trovarla.
    Questa abitudine di Fermat è stata probabilmente la ragione per cui centinaia di matematici l’hanno preso sul serio e hanno tentato di ricostruire la sua dimostrazione, divenendo vittime della perfida burla giocata da un eccelso dilettante alla comunità dei matematici, contemporanei e soprattutto futuri.

    Andrew Wyles

    Andrew Wyles, il matematico che nell’autunno del 1994 giunse alla dimostrazione dell’ultimo teorema di Fermat, aveva cominciato a interessarsene a dieci anni, frugando tra i libri di enigmi di una biblioteca di quartiere e inciampando in un saggio matematico divulgativo che narrava la storia dei numerosi tentativi per risolverlo. Quando si laureò in matematica il Teorema era ormai divenuto un mito, tanto che già nel 1900 David Hilbert, al quale fu chiesto perché non tentasse una sua dimostrazione, rispose: «dovrei impegnare tre anni di studio intensivo e non ho tutto questo tempo da perdere per un probabile fallimento.» Per un qualsiasi dottorando di matematica la semplice idea di affrontare il teorema di Fermat era impensabile: « … era un argomento troppo difficile persino per un matematico di grande esperienza.»
    La dimostrazione finale di Wyles, giunta dopo più di quindici anni di lavoro, consta di circa trecento pagine e riassume in sé gran parte della matematica degli ultimi tre secoli. Proprio la complessità e la ricchezza della dimostrazione necessari, inconcepibile per un matematico del XVII secolo, ha finito per gettare un’ombra sullo stesso Fermat, che non pochi ritengono abbia, per l’unica volta, bluffato.
    Per giungere alla dimostrazione di Wyles il libro di Singh, scorrevole e a tratti appassionante, risale alle origini della storia della matematica, privilegiando le biografie rispetto alle formule, ma riuscendo a rendere con innegabile leggerezza la fissazione mistica per la materia che ha toccato migliaia di persone nel corso dei secoli.

    Singh ha cercato con molta evidenza di rispondere alla domanda che il lettore – più o meno rozzamente – si pone e che si potrebbe brutalmente riassumere con un: «Ma chi glielo fa fare a questi qua? Cos’è che li esalta tanto?». In realtà lo stesso successo del libro, venduto in milioni di copie nel mondo anglosassone, sembrerebbe rispondere efficacemente alla domanda. Tra gli esseri umani il fascino della «Arte per l’arte» è ben vivo, soprattutto in tempi come questi, nei quali ogni attività sembra dover avere un esito pratico.
    Certamente la matematica superiore ha enormi riflessi sulla tecnologia e sulla fisica contemporanee e probabilmente uno dei maggiori difetti del libro è di non aver messo sufficientemente in rilievo il ruolo della ricerca matematica nell’ambito della scienza attuale. 
    La storia di Andrew Wyles e del suo sogno realizzato, nella cronaca fattane da Singh, ha tutto il fascino romantico di un’avventura intellettuale irripetibile, condotta tra simpatici colleghi in un ambiente rilassato e stimolante, uno scenario che, se è verosimile nell’ambiente dei matematici, trova pochi riscontri nella ricerca contemporanea, dove la produttività in termini di pubblicazioni e brevetti è divenuta la regola. Ne deriva – a tratti – una sensazione vagamente hollywoodiana, un leggero sentore di sceneggiatura.
    La matematica condivide con la musica (e il gioco degli scacchi) il fascino di una disciplina incomprensibile ai più e si presta facilmente all’aneddoto e al bozzetto. Singh riesce abbastanza efficacemente, comunque, a resistere alla tentazione di illustrare una galleria di scherzi di natura e il suo libro merita la lettura, se non altro per gli stimoli che fornisce ad un eventuale approfondimento.

    Simon Singh
    L’ultimo teorema di Fermat
    Rizzoli Bur La Scala Saggi, 1999, 2003, ed. orig. 1997
    pp. 360, € 10,90
    trad. Carlo Capararo, Brunello Lotti

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