di Massimo Citi
P. K. Dick |
L’editoria non è un’industria, è un fenomeno, da osservare con la medesima calma metodicità con la quale si attende il passaggio di una soluzione chimica da un colore all’altro.
Fa parte del «fenomeno editoria» la ricomparsa negli ultimi anni – e in vesti semilussuose – di gran parte dei titoli di P. K. Dick che personalmente posseggo nelle versioni più scalcinate e laide. «Urania», certo, ma non solo. Anche volumi pubblicati da editori dei quali si è persa da tempo la memoria et pour cause.
Dick per i critici «seri» era un ultrasfigato mezzo drogato e mezzo matto, che scriveva con uno stile appena appena accettabile libri di genere praticamente uguali l’uno all’altro, ovvero incentrati su poche manie.
C’è da chiedersi – tanto per fare un piccolo esercizio di controstoria – se avrebbe mai ricevuto l’attenzione (e le ristampe) che ha avuto se non fosse uscito il film di Ridley Scott Blade Runner.
Sono convinto che Dick avrebbe finito comunque per trovare un suo pubblico affezionato, circoli di lettori uniti da un segreto amore per uno scrittore davvero grande, ma nulla di altrettanto eclatante.
Copertina aperta ed. Fanucci |
Se Blade Runner non… Beh, forse ci saremmo evitati alcune ristampe di opere opache e non troppo convincenti come questa, Il paradiso maoista.
Un’opera giovanile, è importante specificarlo. Anzi si tratta del primo romanzo in assoluto, scritto a 24 anni e – verrebbe da dire «regolarmente» – rimasto inedito.
Basato su uno spunto decisamente efficace, l’abbandono di un grande impianto industriale di proprietà di un’azienda americana al nuovo governo comunista cinese, narra della sorte di due uomini e una donna rimasti soli nel gigantesco impianto ad attendere l’arrivo dei cinesi.
La donna, Barbara, e uno degli uomini, Verne, sono in realtà vecchie conoscenze. Hanno avuto un breve incontro anni prima, negli Stati Uniti, culminato in un rapporto sessuale che Barbara, allora minorenne, ha accettato senza vero interesse né passione.
Su uno sfondo immobile e alienante – questo sì davvero degno del miglior Dick – la vicenda procede sospinta da successivi flashback. Di Verne, individuo tormentato e sterile, di Barbara e di Carl, giovane idealista che porta sempre con sé un suo manoscritto di tema «filosofico».
La tensione tra Verne e Barbara finisce per contagiare anche l’innocente Carl, coinvolto suo malgrado nel silenzioso scontro che oppone i due ex-amanti, tanto da perdere ogni ingenuità e illusione.
Chiusura del romanzo con l’arrivo dei cinesi che, come gli alieni dei suoi romanzi successivi, prevalgono sulla stanca, confusa e alienata società occidentale, a profetizzare l’agonia e la morte dell’American Way of Life.
Stilisticamente incerto ed elementare, con qualche caduta nel romanzotto popolare («Quel corpo avvinto al suo nell’oscurità ebbe un fremito, trasformandosi in un fuoco ardente di passione») Il paradiso maoistaè un testo che risente con troppa evidenza dell’età dell’autore. Le defatiganti citazioni musicali, la visione sfocata e tutta letteraria del sesso e delle oscure malìe femminili, la sentenziosità poco credibile dei «cinesi» – presentati come oscuri ed enigmatici demiurghi di una palingenesi irrevocabile – ne fanno una pura e semplice curiosità letteraria, un oggetto-quasi dedicato al lettore appassionato di P. K. Dick, che ha così modo di apprezzarne la successiva crescita sia nel romanzo sf che nel romanzo d’autore come Memorie di un artista di merda.
Un romanzo che si apprezza «per contrasto» con le opere successive ma che, privato dei riferimenti al corpus dickiano e nonostante alcune ottime intuizioni narrative, rimane comunque immaturo.
Philip K. Dick
Il paradiso maoista
Fanucci ed. 2007, pp. 364, € 16,00
trad. G. Costigliola
Da LN-LibriNuovi 44 – dicembre 2007