di Silvia Treves
Tanh-Van Tran-Nhut è ingegnere e sua sorella Kim è insegnante di Fisica; entrambe quarantenni, sono figlie di due docenti di matematica e di storia naturale, sono quindi due rappresentanti della cultura scientifica che, anche secondo i canoni holmesiani, non è molto lontano dall’indagine poliziesca.
Il nostro background scientifico si è dimostrato molto utile nella creazione della trama e degli scenari dei nostri romanzi, che devono essere rigorosi e logici, trattandosi di indagini criminali ricche di indizi e con una soluzione finale. Completamente nuovo per noi è stato invece sviluppare personaggi fittizi [1].
Sono anche due gialliste. La singolarità dei loro gialli è che sono ambientati nel Vietnam del XVII secolo, e che il loro detective, Tan, è un giovane e dinamico Mandarino che svolge le proprie indagini aiutato dal coetaneo Letterato Dinh, un Watson scettico ed elegante, e da un medico legale ante litteram, il dottor Porco. L’ombra del Principe è il secondo episodio delle loro avventure, dopo Le Temple de la grue écarlate (1999). Il terzo, La polvere nera di maestro Hu è già stato pubblicato in Italia, sempre da Ponte alle Grazie; in Francia è già comparso il quarto: Le Temple de la grue écarlate.Le sorelle sono pronipoti di un vero Mandarino divenuto tale molto giovane, proprio come Tan.
Il primo nome che verrà alla mente degli appassionati di gialli è il cinese giudice Dee, il protagonista delle storie di Robert van Gulik, ma il Mandarino Tan, amministratore di una lontana provincia rurale in visita alla capitale Thag Long (l’odierna Hanoi), serve alle autrici anche per esplorare un periodo storico di grandi cambiamenti sociali, religiosi e politici, nel quale si verificò, tra l’altro, il primo incontro tra vietnamiti e occidentali.
La complessa gerarchia sociale di allora era rigida ma non completamente chiusa: infatti nel Vietnam del XVII secolo potevano diventare Mandarini anche i figli del popolo particolarmente meritevoli purché superassero, dopo anni di studio, una serie di esami basati sui classici del Confucianesimo. I migliori tra loro diventavano funzionari alla Giustizia, al Tesoro, all’Amministrazione o dell’Esercito e potevano continuare la carriera come responsabili di una provincia. Il sistema venne abolito soltanto nel 1919. Apparentemente questo meccanismo garantiva una certa mobilità sociale, premiando i meritevoli indipendentemente dalle origini, in realtà era una fucina di illusioni e di scontento, perché nessuno dei «figli del popolo» poteva accedere ai gradini più alti se non a prezzo di enormi sacrifici (spesso i potenti sceglievano i loro «secondi» tra gli eunuchi) e soltanto legandosi mani e piedi a famiglie potenti e corrotte. Senza stupirsi il lettore apprende che l’imperatore dell’epoca era poco più di un pupazzo e che a disputarsi il potere erano due fazioni rivali, costituite da famiglie nobili e potenti e da tutti i loro parenti e alleati, in una cordata che giungeva fino ai gradini sociali più bassi; soccombere, per una delle fazione, spesso aveva un significato letterale; nel libro, il clan familiare perdente viene condannato alla sorte peggiore: lo sterminio di tutti i membri, in maniera che nessuno resti a pregare per i defunti e a ricordarli. È quasi inutile precisare che le donne erano relegate nella sfera privata e che gli uomini più potenti mantenevano harem controllati da devoti eunuchi; non a caso, in L’ombra del Principe, l’unica donna che rivendica pubblicamente il proprio diritto al piacere fa una bruttissima fine.
Contro questo sfondo, l’indagine su una serie di omicidi rituali compiuti nel palazzo del vecchio Principe Bui si intreccia alle vicende personali di Tan, che ritrova vecchi compagni di studi e rivive ricordi molto dolorosi. L’ombra del Principe è anche un apologo sul potere: se Tan applica con coscienza i principi confuciani e confida nella giustizia del sistema e Dihn, colto ed eccentrico, è la voce scettica del romanzo, l’eunuco Kien, grande amico di un tempo, è vittima consapevole e indignata dell’ingiustizia sociale.
Ricco di colore e di intermezzi comici inseriti per alleggerire la narrazione, il romanzo è godibile su due livelli: quello del genere, del quale rispetta bene le regole, e quello del romanzo storico; ma è anche un libro «curioso», ricco di informazioni inaspettate sugli usi culinari dell’impero Vietnamita – «nessun animale che si muova è al riparo dalla curiosità gustativa di ogni Viet che si rispetti e ci si rende conto, allora, che la gastronomia è proprio funzione della cultura», spiega Thanh-Van – e sulla scienza dell’epoca: il dr. Porco è il prototipo del medico «nuovo» che, invece di addebitare le malattie a geni e demoni, si rifà ai «princìpi fondatori della Grande Classificazione» e aiuta Tan come un moderno medico legale.
Dispiace, quindi, che l’edizione italiana sia povera di paratesto. Oltre a una sia pur breve prefazione storica mancano lumi sui nomi propri utilizzati all’epoca: che pensare di nomi (non soprannomi) come «dottor Porco», «dottor Porpora» «signor Bombice», o «Chicco di Riso»? E perché, allora, altri personaggi hanno nomi come Tan, Dinh, Hung, Xu, che suonano esotici senza evocare immagini di animali o oggetti triviali?
Consigliabile, per chi ha una conoscenza anche semplicemente scolastica del francese, dare un’occhiata alla lista di discussione delle due autrici.
1] www.InfiniteStorie.it
Tanh e Kim-Van Trahn-Nhut
L’ombra del Principe
Ponte alle Grazie 2004, TEA 2007, ed. or. 2000,
pp. 339, € 8,50
trad. F. Bruno
da LN-LibriNuovi 30 – estate 2004