Il 19 febbraio 1473 nasceva a Toruń (oggi in Polonia) Nikołaj Kopernik. Potreste festeggiare il 540° «compleanno» del grande astronomo leggendo questo saggio accattivante che lo ritrae da un punto di vista abbastanza inconsueto.
Per andare come vuole Copernico, il cielo dev’essere impazzito
(Homelius, annotazione sulla copia del De revolutionibusappartenuta poi a
Johannes Praetorius).Come persone che cercano la verità delle cose noi distinguiamo,
nella nostra mente, tra apparenza e realtà
(Georg Joachim Rheticus, discepolo di Copernico).
Nel presentare uno dei più profondi innovatori del pensiero scientifico della sua epoca, i testi scolastici spesso mettono in scena un recital: il protagonista illuminato di una luce tagliente e diretta che annulla ogni sfumatura, il resto del palcoscenico in ombra, privo di colore e di sostanza. Poiché sono proprio le prime impressioni e quelle più drammatiche a fissarsi meglio nella nostra memoria, Copernico e tanti suoi colleghi sono condannati a restare per noi voces clamantes in desertu, profeti senza contatti con il resto del loro mondo accademico e quotidiano, connotati tutt’al più da innocue caratteristiche o aneddoti puerili: la distrazione di Einstein, i sogni bislacchi di Khekulé, la strana abitudine di Newton di andare a schiacciare pisolini sotto i meli. Oltre che fare torto a questi «grandi», un simile procedimento impedisce di mettere a fuoco la rete di influenze reciproche più o meno dirette che connetteva (proprio come accade oggi oggi) scienziati, filosofi, tecnici, editori, librai, religiosi, politici, impoverendo la nostra comprensione del passato.
Ricostruire quella rete e quelle influenze – e rendere Copernico non più personaggio ma persona – è stato per trent’anni l’obiettivo di Owen Gingerich, autore del bel saggio Alla ricerca del libro perduto (Rizzoli, 2004), il cui titolo italiano tradisce in parte quello originale The Book Nobody Read [Il libro che nessuno ha mai letto], come Arthur Koestler definì il De revolutionibus.
La vocazione di Gingerich a studiare Copernico è di vecchia data: il «primo contatto» risale al 1946, quando sedicenne, fu arruolato dal padre insieme ad altri trentun «cowboys» per accompagnare via nave un carico di 847 cavalli, inviati dagli Stati Uniti alla Polonia devastata della guerra. Vent’anni dopo Gingerich, fresco Ph. D. in astrofisica, conobbe un collega polacco che, sentita la storia dei cavalli, lo invitò a visitare il suo paese per constatare come si fosse risollevato. Di qui a essere coinvolto sino al collo nella preparazione delle celebrazioni per il cinquecentesimo anno dalla nascita di Copernico (1973) mancava solo un passo e Gingerich lo compì di slancio.
I successivi trent’anni (e il saggio) sono la storia di un inseguimento, una caccia grossa nelle biblioteche di mezzo mondo (Cina ed Egitto compresi) per vedere, esaminare, misurare e studiare fino alla più piccola annotazione a margine tutte le copie possibili delle prime due edizioni del De revolutionibus. È una storia di volumi requisiti da eserciti invasori o gentilmente consegnati a nobili collezionisti e mai più restituiti; una vicenda di libri preziosissimi soavemente trattenuti dopo il prestito, come l’inestimabile copia personale di Copernico, passata dal maestro al suo unico vero discepolo, Georg Joachim Rheticus e da questo al suo studente Valentin Otto, poi a Hevelius di Danzica, e infine sparita per secoli, per riapparire a Praga nel 1810: non appena i cechi «prestarono» questa preziosissima copia ai polacchi, questi se la ripresero senza tanti complimenti per alloggiarla degnamente nella biblioteca jagelloniana di Cracovia. E come dar loro torto? In fondo si trattava dell’autentica prima copia, continuamente rivista e aggiornata dal «loro» Copernico fino alla morte!
Ma quella che narra Gingerich è anche una storia di libri stampati nelle prime tipografie, su carta spessa e bagnata la notte prima per trattenere la stampa, una storia di inchiostro al nerofumo e olio di semi di lino, di fogli posizionati a mano sul torchio e stesi ad asciugare prima di ricominciare tutto il procedimento per stampare l’altro lato. Una storia di libri annotati minuziosamente a margine con belle penne d’oca, ereditati e passati di mano in mano, mentre gli strati di commenti si aggiungevano uno all’altro rendendo ogni copia unica e insostituibile testimone della robustezza dei volumi di cinque secoli fa. Una storia nella quale i libri sono i veri protagonisti, oggetti di valore e veicoli di nuove pericolose «ipotesi», testimoni, grazie alle tante annotazioni a margine, delle infinite ore di studio e riflessione dei loro proprietari. La storia di una «rete» diversa da quella virtuale alla quale noi oggi siamo abituati, una rete più lenta ma non meno efficace.
È una storia irresistibile per bibliofili e studiosi di storia della scienza, ma anche per lettori curiosi e forniti, oltre che di adeguata reverenza per i libri, di conoscenze astronomiche e storiche da scuola superiore.
Con minuziosa e amichevole precisione, l’autore ricostruisce i momenti salienti della caccia. Innanzitutto, il valore più autentico e profondo del lavoro di Copernico:
I più grandi scienziati sono stati degli unificatori, degli uomini che hanno saputo trovare connessioni che prima di loro non erano mai state percepite da nessuno[…] Anche Copernico, dal canto suo, fu senza dubbio un unificatore. Nell’astronomia tolemaica, ogni pianeta era un’entità a sé stante […] l’orbita di ciascun pianeta richiedeva un cerchio principale e un cerchio secondario, il cosiddetto epiciclo […] Copernico scoprì che era possibile, per ogni pianeta, eliminare uno dei due cerchi, a patto di sistemarli tutti in un quadro esplicativo unitario.
Poi l’accoglienza dei contemporanei, che videro nel De revolutionibussoprattutto una «ipotesi» tecnica, un modello che, pur conducendo a predizioni sul moto dei pianeti sostanzialmente identiche a quelle del modello tolemaico, ne semplificava enormemente i calcoli: «come sostenne l’astronomo gesuita Cristoforo Clavio di fronte al Collegio Romano, Copernico aveva semplicemente dimostrato che il modello tolemaico non era l’unico modo possibile per ottenere queste predizioni».
Ma ciò che piacque in particolar modo agli astronomi contemporanei e del secolo successivo fu che, con la sua «ipotesi», Copernico aveva eliminato l’equante, ovvero un artificio che Tolomeo era stato costretto a introdurre per spiegare il moto retrogrado che Marte (e altri pianeti) – visti dalla Terra – apparentemente compivano. L’eliminazione dell’equante consentiva un ritorno a soli moti circolari, molto più consoni all’eternità delle sfere celesti. Come annotò un anonimo studioso contemporaneo di Copernico sulla propria copia del volume:
Chiunque potrebbe a buon diritto meravigliarsi di come sia possibile, a partire da ipotesi tanto assurde come quelle di Copernico – che vanno contro la ragione e le convinzioni universalmente accettate – ottenere un calcolo così accurato, e del perché questo astronomo non si sia messo a correggere le ipotesi tolemaiche, che sono in accordo con le Sacre Scritture e l’esperienza, anziché produrre un simile paradosso.
Non corrisponde invece al vero la convinzione, tuttora molto diffusa, che Copernico avesse ipotizzato una nuova cosmologia eliocentrica per ovviare al collasso del sistema tolemaico sotto il peso dei troppi epicicli(1) aggiunti secolo dopo secolo dagli astronomi per far collimare le previsioni con i dati empirici delle osservazioni:
La grande conquista di Copernico non era qualcosa di motivato dall’esigenza di spiegare nuove osservazioni, quanto piuttosto un trionfo della pura ragione nella sua capacità di rappresentarsi una più armonica disposizione dei pianeti.
Dopo il lavoro e la vita del maestro (che studiò diritto canonico in Italia e rinunciò a una promettente carriera ecclesiastica per ritirarsi a Frombork sulla baia della Vistola, a studiare astronomia), l’autore racconta le sorti dei volumi della prima (Norimberga, 1543) e seconda (Basilea, 1566) edizione del De revolutionibus e l’emozionante identificazione degli illustri «sconosciuti» che annotarono le varie copie, le difficili e talvolta erronee attribuzioni; le annotazioni a margine dei volumi sono di eccezionale interesse e talvolta offrono agli storici della scienza tasselli mancanti o addirittura versioni alternative di certe scoperte. Ricostruire il viaggio dei singoli volumi, il loro passaggio fra le mani e sugli scrittoi di astronomi e matematici più o meno famosi è stata un’impresa che Gingerich ha ben documentato nel suo Census[2].
La statua di Copernico a Frombork |
Secondo le stime dell’autore, il costo per l’acquisto di una copia del De revolutionibus non era indifferente: nel 1545 una copia costava un fiorino, all’incirca l’1 per cento dello stipendio annuale di un professore di astronomia. Il prezzo e la sua importanza, resero il libro abbastanza «prezioso» da essere conservato con cura. In alcuni paesi (ad esempio la Francia) università, biblioteche e privati si procurarono le loro copie molto presto, in altri la penetrazione fu più lenta, ma la tiratura delle due edizioni, probabilmente un migliaio di copie in totale, si diffuse in tutta Europa, aiutata dal passaparola fra studiosi ma anche da alleati improbabili come gli eserciti: un secolo dopo la morte di Copernico, durante la Guerra dei Trent’anni, gli svedesi di re Gustavo Adolfo si occuparono di «alleggerire le biblioteche e le collezioni d’arte che trovavano lungo la loro strada», compresa quella della cattedrale di Frombork, spedendoli in Scandinavia, dove in parte si trovano ancora. Alla morte di Gustavo Adolfo scettro e bottino passarono alla figlia Cristina che poco tempo dopo abdicò, si convertì al cattolicesimo e, seguita da tutta la sua biblioteca, si stabilì a Roma, dove i preziosi volumi stanno attualmente.
I libri grossi durano di più è uno dei capitoli più interessanti per i bibliofili, ricco di dati sulle procedure di stampa e sulle tirature cinquecentesche e seicentesche. Tra le informazioni più interessanti, quelle riguardanti i «nemici» dei libri e le cause principali della loro distruzione: umidità, parassiti (tarme, Lepisma saccharina – il cosiddetto pesciolino d’argento – e la larva di un coleottero che scava vere e proprie gallerie fra i libri accostati sugli scaffali), topi, incendi involontari, roghi, guerre e razzie. Una copia della prima edizione venne distrutta quando i nazisti in fuga incendiarono (un vizio nefando, il loro) la biblioteca di Varsavia e numerosi volumi andarono persi durante i bombardamenti a tappeto di Francoforte, Monaco e Dresda. Storie vecchie… O no? Ricordate il sacco della biblioteca di Baghdad (aprile 2003)?
Anche l’Inquisizione andrebbe annoverata fra i nemici dei libri. Ma, talvolta, l’inserimento nell’Indice dei libri proibiti garantiva a un titolo una «pubblicità» che incrementava le vendite. Il De revolutionibus, comunque, venne posto all’Indice solo dopo il 1616, perché protetto da una prefazione anonima Ad Lectorem pubblicata dal tipografo senza l’autorizzazione di Copernico, che lo qualificava come un semplice modello matematico e non come teoria in radicale contrasto con le Scritture. Fu Keplero, entusiasta ammiratore di Copernico, ad attirare sul libro gli strali dell’Inquisizione, sostenendo nel suo Astronomia Nova (1609) che Copernico non avrebbe mai considerato la propria teoria una semplice ipotesi matematica.
2^ edizione, Basilea 1566 |
Poiché il De revolutionibus conteneva metodi di calcolo utili a fissare la data della Pasqua, la Chiesa preferì non bandirlo in toto, e impose semplicemente che fosse «emendato», eliminando le frasi in contrasto con le Scritture. L’emendazione era però a carico dei possessori del volume, così i singoli e le nazioni seguirono strade diverse che, se confrontate, danno un interessante spaccato dell’ubbidienza alle gerarchie ecclesiastiche nei paesi cattolici e riformati: in Italia vennero censurati i due terzi delle copie, spesso con semplici tratti di penna sulle frasi incriminate (come fece Galileo) per non cancellarle del tutto; in Spagna e in Francia quasi nessuna (nemmeno quelle appartenute a ecclesiastici); l’Indice spagnolo, inoltre, continuò a permetterne la lettura. Le copie tedesche invece furono emendate in maniera fin troppo efficiente.
Nonostante questo apparente lassismo, l’Inquisizione non può certamente essere accusata di avere la memoria corta: De revolutionibus, Epitomedi Keplero e Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo restarono all’Indice fino al 1835, «quando ormai la loro presenza sarebbe stata soltanto una fonte di vergogna per la Chiesa stessa».
Infine un consiglio. Il libro riporta in appendice un elenco delle biblioteche e di alcune collezioni private fornite delle copie della prima (276) e seconda (325) edizione del De revolutionibus censite da Gingerich. L’Italia fa la sua bella figura con un nutrito elenco che vi consiglio vivamente di consultare. A Torino, per esempio, la Biblioteca Nazionale Universitaria ospita tre prime e una seconda edizione.
Chiedere non costa nulla. Per avere l’onore di esaminarne una dovrete sicuramente compilare un modulo; nello spazio dedicato a «motivo della richiesta» scrivete così: «Ammirata e reverente curiosità».
1. Epicicli circonferenze minori percorse in moto uniforme dai pianeti intorno a centri a loro volta in movimento uniforme lungo circonferenze aventi per centro la Terra.
2. An Annotated Census of Copernicus’ De Revolutionibus (2002).
Owen Gingerich
Alla ricerca del libro perduto
Rizzoli, saggi, pp. 416, € 17,00
1^ ed. 2004
da LN 33, primavera 2005