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    Magazzino

    Seconda pelle della «giovane» quarantenne

    • di Silvia Treves
    • Novembre 6, 2012 a 11:21 am

     

    Savannah Knopp nei panni di LeRoy

    Come ricorda la recensione precedente, c’è chi è disposto a molto per diventare un caso letterario. Anche spogliarsi della propria identità di una scrittrice  quarantenne per indossare quelli pieni di lustrini di J.T. LeRoy, autore rivelazione con passato passato difficile e identificazione sessuale incerta, specializzato in narrazioni «autobiografiche» popolate di giovanissimi aspiranti transgender. Premesso che 1) provo una profonda solidarietà per chiunque cerchi di diventare se stesso a costo di grandi sacrifici,  forgiandosi tra esperienze complesse, dolorose e rischiose, 2) sono convinta che la letteratura, fra l’altro, ci aiuti a indossare i panni dell’altro, non importa chi sia e quanto sia diverso da noi, 3) non ritengo necessario raccontare esperienze di prima mano per realizzare il punto 2, ho deciso di accostare alla recensione precedente, a firma Massimo Citi, due mie recensioni a testi di LeRoy, perché illustrano bene la parabola di un caso letterario costruito, dalle stelle della «vita vissuta» alla quotidianità terra-terra della vendibilità a tutti i costi.

    Non tutti gli ambienti di lavoro e di vita sono al top. C’è chi, come Sarah di J. T . LeRoy (Fazi, 2001 e 2004), scopre la vita dal basso. Sarah, infatti, vive a Le Colombe, una stazione di servizio del sud degli States, ha dodici anni e la vocazione della «lucertola» da autostrada. Per ora non «esercita» ancora, anche se i camionisti sono interessati e qualcuno di loro – rigorosamente selezionato dal suo protettore – ci ha giocato un po’, ma è già una strepitosa lolita perversa. È figlia d’arte, Sarah, e il fatto che sia un ragazzino la rende ancora più preziosa.

    A suo modo Sarah è fortunata: benché le sia toccata in sorte una madre inaffidabile, morbosamente attaccata a lui ma anche gelosa, ha trovato in Glad un vero protettore:

    Be’… Glad aspira a diventare un pappone di fama mondiale e a entrare negli annali dei camionisti, ma vuole anche essere Babbo Natale. È una combinazione micidiale per lui. Lo fa soffrire in maniera terribile…

    Spiega Sundae, altra lucertolina maschio, che lavora in tenuta da cheerleader. Sundae è uno delle «insegnanti» di Sarah, l’altro è Pie, figlio illegittimo di una cinese e di un bianco, con un solo grande desiderio: diventare una geisha giapponese e fondare la prima scuola maschile per geishe. Nel loro campo, Sundae e Pie sono le migliori: attente, esperte, sensibili, fantasiose, maestre di lavoro e soprattutto di vita. Certo Le Colombe, dove lavorano i ragazzi di Glad, è un po’ speciale, la tavola calda è migliore di un ristorante a quattro stelle e:

    La sua scuderia ha fama di essere la migliore del paese. I gioiellini di Glad non devono aspettare in piedi, fuori della stazione di servizio come fanno di solito le altre lucertole -maschietto. I camionisti telefonano per fissare l’appuntamento con mesi di anticipo.


    Purtroppo, non tutti i luoghi di lavoro per lucertole sono così confortevoli e di classe come Le Colombe. Ci sono posti veramente orribili, come le Tre Stampelle, la stazione di servizio «più rozza e più dura di tutto il West Virginia». E papponi come Le Loup, bastardi contorti perfettamente adeguati all’altezza (alla bassezza) delle Tre Stampelle. Un vero peccato che Sarah, decisa a dimostrare a Glad che ormai è in grado di lavorare da sola, scelga proprio quel postaccio per fare il proprio tirocinio…

    Favola, farsa, parodia, un’altalena tra l’esaltazione e l’apatia da solitudine, descrizione iperrealista. Sarah è tutto questo, ma è soprattutto l’esplorazione di un’ossessione. Il giovanissimo autore (vent’anni esatti nel 2000, l’anno dell’edizione originale) ne ha già condotto un’altra, in Natoma Street, un racconto breve incluso nell’antologia Latex (cfr. LN 15 ): i temi sono identici, ma nello splendido e terribile Natoma Street nessuno scampo, nessun varco venivano offerti al protagonista, un fratello oscuro di Sarah.
    Mescolati alle scene drammatiche, all’angoscia, vi sono momenti spassosi, come le udienze che «Santa Sarah» concede graziosamente ai camionisti battisti che le portano i registri di trasporto falsificati da benedire. O l’inseguimento tra un megacamion guidato da Sundae in tacchi a spillo e Pie in chimono, e un’auto piena di carognoni armati fino ai denti:

    Pie sorride amabilmente e passa a infilarsi una mano nelle mutandine […]. «Sono molto brava a tenere certe mie cosette legate come un salame» mi dice Pie «ma so anche quando tirarle fuori». Estrae una piccola pistola lucida, si mette una mano nel kimono tira fuori un caricatore […], si sporge dal finestrino e prima che io riesca a rendermene conto ha già sparato tutti i colpi.

    A parte il divertimento, vale la pena di leggere il romanzo per le molte pagine intense, nonostante qualche volta affiori il dubbio che avrebbe dovuto essere un’opera più breve, un racconto a freccia, e invece sia stato curiosamente dilatato per indagare sui dintorni.
    J. T. LeRoy, comunque, ha talento, la sua capacità di guardare il mondo con gli occhi di un dodicenne che vorrebbe essere – anche – una lucertola quindicenne è davvero notevole. Meglio tenerlo d’occhio.

    da LN 20, primavera 2002

    … E ora un altro autore americano, giovanissimo ma già molto noto, J.T. LeRoy (classe 1980), con La fine di Harold (2001, Fazi 2003, trad. Martina Testa). Di LeRoy avevo già letto e recensito Sarah, un buon romanzo, intenso, sanguigno e paradossale, con l’unica pecca di una struttura non sempre compatta, qualcosa come un racconto breve, a freccia, curiosamente dilatato. Ed ecco LeRoy cimentarsi proprio in un racconto breve, che non potevo certo lasciarmi scappare.


    Di nuovo il protagonista è un ragazzino, una marchetta di età non ben definita e di specializzazione incerta che chi ha già letto Sarah non riesce a immaginare troppo diverso da lui/lei. Anche questo protagonista, come Sarah, ha alle spalle un rapporto difficile con una madre assente e, proprio come Sarah,trova famiglia soltanto fra altre marchette, creature appena più adulte di lui, gentili anche se scafate, che lo prendono bonariamente in giro perché non sa badare né a se stesso né a un proprio animaletto. L’incontro con un adulto ricco e gentile, pieno di scrupoli e di attenzioni che gli regala Harold, lumaca con tanto di pedigree, potrebbe cambiare la sua vita, ma…

    Il racconto si snoda con una certa sapienza, percorrendo esattamente la strada che il lettore immagina: il rapporto a due prosegue tra il giusto grado di indifferenza del giovane e di paternità putativa dell’adulto, la lumaca Harold è auspicio di una crescita possibile e dell’accettazione di sé, il finale è prevedibile, anche se il pretesto narrativo scelto da LeRoy per arrivarci avrebbe potuto essere un altro fra tanti.
    Il racconto è stato celebrato da molti recensori: «il testo è puro J.T. LeRoy a denominazione d’origine controllata e garantita», scriveva Culicchia sulla «Stampa» e Angiola Codacci-Pisanelli, su «Espressonline»  parla di

    … atmosfera [che ]si fa sempre più morbosa. Quando alla fine la perversione esplode, LeRoy dipinge una scena grottesca, in cui l’orrore si stempera nel tragicomico.

    A essere sinceri la «perversione», quando «esplode», si rivela un palloncino mezzo sgonfio. L’«esplosione» (se proprio vogliamo chiamarla così) dovrebbe essere il primo acme del racconto, e non credo volesse suscitare «orrore», ma semplicemente descrivere l’imbarazzo di due che si sono detti molto, ma non l’indispensabile per conoscersi. Soltanto che arriva a freddo e non funziona. La fine di Harold, storia non riuscita di una relazione che non decolla, suscita il dubbio che l’autore non sapesse come procedere e abbia calcolato male i tempi. Il finale, poi, giunge prevedibile ma non atteso, affannoso ma non memorabile. Il testo originale a fianco è un utile esercizio in lingua che, francamente, non aggiunge nulla alla resa italiana.
    Naturalmente si tratta di un’opinione personale, forse inasprita dalla delusione (e dal prezzo assassino), ma fra le letture di questo numero ho trovato molto più «morbose» e ricche di sviluppi e suggestioni sia  l’ostinata ricerca di espiazione di Incidente ferroviario… di Means sia l’ossessivo ritorno dei personaggi di Moody alla morte di chi sia ama, sempre impossibile da accettare e superare.

    da LN 26, estate 2003

    J. T. LeRoy
    Sarah
    Fazi, ed.  2001, pp. 184, € 12,00
    trad M. Testa

     J. T. LeRoy
    La fine di Harold
    Fazi, ed.  2003, pp. 96, € 10,00
    trad M. Testa

     

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