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    Magazzino

    Soljenitstin, «Libero», la nostalgia e un capolavoro

    • di Massimo Citi
    • Novembre 11, 2012 a 6:14 pm

    di Massimo Citi

    Il libro è uscito in Italia nel marzo del 2006, avvistato soltanto da pochi appassionati di letteratura russa. Poi è arrivato «Libero» che l’ha proposto in allegato al quotidiano alla metà del prezzo di copertina originale verso la fine di giugno.
    Vinto il disgusto per «Libero», il suo burbanzoso direttore e la prospettiva di fornire loro del denaro, sia pure in quantità limitata, ho comunque proceduto all’acquisto, lasciando in omaggio al gentile edicolante la copia del quotidiano per evitare disgusti e contaminazioni.
    «Non lo vuole? Sono già stati in diversi a prendere il libro ma non il giornale» è stato il suo commento. «Forse non siamo poi in un paese così incivile», ho pensato io.
    La mia curiosità era stata attirata da una campagna radiofonica che utilizzava una frase di Aleksander Soljenitsin (pubblicata anche sul sito dell’editore): «È in questo modo che, gradualmente, tutte le bugie dell’Unione Sovietica verranno finalmente a galla», dall’insuperabile sapore nostalgico e vintage. Incredibile. L’«Unione Sovietica»… come la guerra del Vietnam, Gianni Morandi, i Doors e il primo motorino.

    La presentazione di Soljenitsin ha comunque, al di là del suo valore rituale, un significato ben preciso, dal momento che è proprio una copia del manoscritto di Una giornata di Ivan Denisovic a innescare la crisi che segnerà l’intera vicenda nel romanzo di Druzhnikov.
    Resta il fatto che la sensazione per il lettore distratto e non particolarmente preoccupato della fantomatica avanzata del defunto comunismo sovietico – peraltro ottimamente sostituito dal regime neozarista di Vladimir Putin – è probabilmente stata di un libro ormai obsoleto e anacronistico, un semidimenticato samizdat che soltanto un quotidiano visceralmente (e strumentalmente) anticomunista poteva riesumare a vantaggio di un pubblico abituato a pensare che prima o poi Bersani e D’Alema getteranno la maschera rivelandosi finalmente il primo la reincarnazione di Josif Vissarionovich Dzugasvili, in arte Stalin, il secondo di Lavrentij Beria.

    Lavrentij Beria

    Il libro non merita, sinceramente, questo ingrato destino.
    Perché si tratta di un capolavoro della letteratura, selezionato come uno dei dieci migliori romanzi russi del Ventesimo secolo e come tale perfettamente in grado di sfidare i secoli e di raccontare a ognuno dei suoi lettori la stessa terribile storia, ovvero di come un regime totalitario possa profondamente modificare e alterare il comportamento, i desideri, i sogni e la volontà di chi si trova a esso sottoposto.
    Un elemento importante di Angeli sulla punta di uno spillo (e che «Libero» si è ben guardato dal segnalare) è che Druzhnikov – candidato al premio Nobel 2001 –, a differenza del già citato Soljenitsin, utilizza volentieri e con grande maestria il registro della satira e dell’assurdo. A partire dal titolo che, con il suo riferimento alle complesse e sterili discussioni dell’antica teologia ortodossa, coglie con dolorosa precisione la logica – inafferrabile e circolare – dell’ortodossia comunista.
    Anche quella comunista, come tutte le ortodossie, è strumento di potere e d’arbitrio. È sufficiente che «cambi il vento», che nuove personalità si affaccino dal balcone del potere perché le regole mutino all’improvviso, determinando la rovina di alcuni gruppi di potere e l’ascesa di altri.
    È questa anche la principale preoccupazione del protagonista del libro, Makartsev, direttore di un quotidiano di partito. Una preoccupazione che finisce col logorarlo, determinando l’infarto che lo metterà fuori gioco per qualche mese.
    Makartsev è un uomo di apparato ma non è un individuo spregevole. Da sempre si sforza di conciliare la fedeltà al partito con la propria etica personale, proteggendo i propri collaboratori e cercando di evitare grossolane intromissioni da parte del KGB.

    Jurij Druznikov

    Sarà sostituito da un arrivista non troppo intelligente, molto meno preoccupato di lui di difendere i giornalisti e il simulacro di indipendenza del quotidiano.
    La vera anima e mente del giornale è Yakov Rappoport, un ebreo sopravvissuto a due internamenti nel Gulag ed eccellente autore di testi politici. Ne scrive per i membri del Comitato Centrale del PCUS, per il Politburo, per qualunque pezzo grosso glielo chieda. Personaggio malinconicamente diabolico, Rappoport incarna perfettamente l’abominevole cinismo al quali il regime costringe le menti migliori. Egli scrive con facilità, senza credere a una sola delle parole d’ordine delle quali riempie il giornale e i discorsi delle maggiori autorità del partito. Servo-padrone, Rappoport è una singolare eminenza grigia, priva del potere esecutivo ma in grado di creare la cornice entro la quale saranno racchiuse le scelte dei potenti.

    A rendere Angeli sulla punta di uno spillo un libro straordinario è anche la sua struttura peculiare. Druzhnikov, infatti, sceglie di raccontare la storia di ogni nuovo personaggio che compaia nel libro. Con questa (relativamente) semplice scelta narrativa riesce a ricostruire attraverso molti punti di vista più di mezzo secolo di storia russa e sovietica, narrando di passioni politiche, ideali traditi, speranze negate, delusioni e compromessi. Druzhnikov regala una voce e a un punto di vista a chi critica il regime come a chi lo difende per semplice calcolo o per convinzione. Dall’andrologo di una nomenklatura assillata dalla caduta di prestazioni sessuali al colonnello del KGB, padre affettuoso e comprensivo, fino ai crucci quotidiani di «Sopracciglione», al quale chi legge non fatica ad attribuire nome e ruolo.

    Nikita Sergejevic Kruscev

    Al lettore, che assiste in diretta alla crisi e alla dura repressione che seguì le deboli aperture del periodo krusceviano, appare così evidente quanto la capillare potenza di un sistema totalitario possa entrare profondamente nelle decisioni e nelle scelte di milioni di persone influenzandole e determinandole. Come nella Germania nazista e nell’Italia fascista il singolo cittadino finisce così per essere insieme vittima e complice del sistema al quale partecipa. Resistere, combattere richiede una lucidità e un’onesta intellettuale che ben pochi possiedono e arduo, all’indomani della caduta del regime, stabilire con equità responsabilità e colpe.

    Jurij Druznikov
    Angeli sulla punta di uno spillo
    Barbero ed., 2006
    pp. 540, € 18,50

    Trad.: F. Aceto, L.M.Pignataro  

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