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    Magazzino

    Richard Powers – Il fabbricante di eco

    • di Enzo Baranelli
    • Gennaio 1, 2009 a 5:11 pm

    Richard Powers
    Il fabbricante di eco
    Arnoldo Mondadori
    € 20,00
    G. Granato

    Quando animali e persone parlavano la stessa lingua, i richiami delle gru dicevano esattamente ciò che si prefiggevano. Ora viviamo tra echi poco chiari.

    Lungo le rive del fiume Platte nel Nebraska ogni anno le gru si radunano in una tappa di una lunga migrazione verso il Nord. Un rito che si ripete da secoli. Questo essere strano, antico nella forma, presente in dipinti, poesie, racconti e leggende, rappresenta il legame verso la parte più profonda della nostra coscienza. Nello splendido romanzo di Richard Powers Il fabbricante di eco (vincitore del National Book Award), Mark Schluter è vittima di un incidente d’auto e, a causa di una lesione cerebrale, sviluppa la sindrome di Capgras ovvero l’incapacità di riconoscere i propri cari: la parte di cervello che riconosce i visi è intatta, così come i ricordi legati a quei visi, però la parte che elabora le associazioni emotive non collega più tutti questi ricordi, questo amore od odio alla persona che si ha di fronte. E Karin, la sorella di Mark, è vista solo come un’abile attrice che interpreta la parte della vera sorella perduta, rapita, nascosta.

    La mancanza di una conferma emotiva supera la ricostruzione razionale fatta dalla memoria. La ragione inventa complesse spiegazioni irragionevoli per colmare un deficit emotivo. La logica si affida ai sentimenti.

    Sembrerebbe di essere all’interno di un libro di Oliver Sacks, ma Powers inserisce nella trama anche il neurologo, e autore di saggi divulgativi, Gerald Weber, una figura che nei suoi contorni più sfumati può ricordare Sacks. La finzione romanzesca è completa.
    L’opera di Richard Powers vive attraverso la rappresentazione di sentimenti profondi: come in Galatea 2.2, le strutture neuronali sono usate (qui in modo più diretto) per tracciare una mappa incompleta, di partenza sconfitta e insieme che sfiora la perfezione, dell’animo e delle sue manifestazioni.
    «Gli umani sono forse gli unici esseri a ricordare cose mai successe». Non è necessario conoscere la fisiologia del sistema nervoso centrale per comprendere la narrativa di Powers. L’autore parla di persone, di storie, di dolori, di infanzie, di genitori che ci segnano per sempre nel bene e nel male. La frustrazione di Karin di fronte al fratello, che si rifiuta di riconoscere in lei la sorella, la porta a cercare conforto in Daniel:

    Era di nuovo in debito con Daniel […] che, come al solito, sembrava desiderare unicamente l’opportunità di dare. Di tutti i danni cerebrali più assurdi indicati dal medico scrittore, nessuno era strano quanto l’abnegazione.

    Il romanzo ha una sua trama ricca di intrecci, le complesse relazioni tra i personaggi sono più di quanto si riesca a trovare in un’opera narrativa di buon livello. Ma Powers si spinge sempre oltre, il colpo di scena, l’ansia di un amore perduto sono tante sfumature di colore su un dipinto che vuole raccontare «il paese della perenne sorpresa. Il cervello nudo. L’enigma di base, a un passo dalla soluzione».
    D’altronde l’autore attinge alle parole di Lurija, che a Powers ricordano un tono quasi biblico: «Per trovare l’anima è necessario perderla», oppure a quelle del grande Ramón y Cajal «i problemi scientifici non si esauriscono mai; si esauriscono solo gli scienziati».
    Le riflessioni di Powers, formatosi con una cultura scientifica e poi diventato uno dei più grandi scrittori contemporanei, sono troppo ricche per essere condensate in citazioni. Per fortuna Richard Powers non scrive per riempire una pagina o perché ha frequentato un corso di scrittura creativa, Powers scrive per svelare quell’anello che non tiene, che «… finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità». Nella scienza fatta di esami sempre più precisi, di sinapsi, potenziali di azione, e neurotrasmettitori il termine psicologico sembra indicare solo un processo che non aveva ancora un substrato neurobiologico conosciuto.

    Ogni esplosione di luce, ogni suono, ogni coincidenza, ogni percorso casuale nello spazio cambia il cervello, alterando le sinapsi, aggiungendone perfino di nuove, mentre altre si indeboliscono per mancanza di attività. Il cervello è una serie di cambiamenti in un luogo di cambiamenti speculari. Usa o perdi. Usa e perdi. A te la scelta, e la scelta di disfa. L’io è un quadro dipinto su una superficie liquida.

    Di fronte al mistero più antico, alla parte più arcaica e magica del cervello, rappresentata dalla natura, dallo scorrere del fiume lungo il quale si fermano le gru, non ci sono parole: solo brevi leggeri dipinti di suoni. Vogliamo capire, possiamo capire, intrecciare le nostre vite a quelle degli altri, e in qualche maniera, apparentemente assurda, riusciamo a sopravvivere a tutto questo. Il racconto di Powers è una testimonianza, una prova di quanto sia giusto tentare: «È solo dicendoti le cose che le capisco anch’io»

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