Le Ghost Stories sono un sottogenere molto amato all’interno del genere gotico che è, a sua volta, una delle filiazioni maggiori del Fantastico. Sono storie nate soprattutto in ambito inglese ma apprezzate e imitate poi in tutta l’Europa occidentale e in America settentrionale. Nel filone della narrativa del terrore esistono naturalmente altre tradizioni letterarie altrettanto suggestive, ad esempio – per restare in Europa – quella tedesca e quella spagnola o, guardando molto più lontano, quelle molto romantiche – e spesso di notevole valore letterario – delle storie di fantasmi giapponesi e cinesi. Qui, però, si parla di quelle storie del terrore che, nella seconda metà del XIX secolo, la nobiltà di campagna inglese amava raccontare in salotto davanti al camino, la sera o nei lunghi pomeriggi invernali o durante le festività natalizie. A cominciarle era sempre qualche affabulatore di talento o – se l’uditorio era particolarmente fortunato – qualcuno che le scriveva per l’occasione, come Montague Rhode James, un amabile signore ormai diventato autore di culto. Erano racconti di defunti tornati a chiedere vendetta, di sogni premonitori, di sdoppiamenti e presagi, di avidità, passione e assassinio.
Ricordate come comincia Il giro di vite dell’altro James, Henry, anch’egli assiduo e originale frequentatore letterario di fantasmi?
… Parenti e amici sono riuniti in una bella residenza di campagna per trascorrere insieme il Natale. Una sera, davanti all’immancabile camino, uno degli ospiti comincia a raccontare la vicenda misteriosa che gli ha confidato molto tempo prima una donna assolutamente degna di fiducia e da lui molto ammirata… Il giro di vite è una storia estremamente inquietante, raccontata con eleganza e ritmo perfetto da uno degli autori più attenti alla psicologia femminile, un’opera che trapassa senza scosse da racconto di fantasmi a racconto psicologico e introspettivo. Ma dove avrà preso, James, uno spunto tanto suggestivo?
E l’episodio grandioso – raccontato in Dracula – del vascello pieno di marinai morti che trasporta il vampiro e le sue bare e prende terra guidato da una forza arcana … Bram Stocker dove se lo sarà mai sognato ?
E lo spunto del breve racconto di Charles Dickens sui due giovani sposi inglesi in viaggio in Italia? Al primo incontro, lei è terrorizzata da un distinto signore di bell’aspetto che, vincendo la diffidenza della ragazza, si rivela poi un compagno di viaggio piacevole; ma durante il Carnevale romano la giovane scompare…
E la storia di fantasmi di Marion Crawford, ambientata su una nave passeggeri? La cuccetta superiore di una particolare cabina emana un gelo e un terrore tali che nessun viaggiatore accetta di dormire nella cabina, e con ottime ragioni…
Un gradevole e documentato saggio di Alessandra Contenti, Fantasmi e palazzi. Leggende gotiche metropolitane dai diari di Augustus Hare(Carocci, 2002), ci svela che, spesso, queste storie tremende ed efficacissime non nascono da idee «originali» e uniche bensì da un ingente repertorio orale semisommerso, comune agli aristocratici di campagna vittoriani e a chi frequentava le loro dimore; s itrattava di una miscela di leggende di famiglia – tramandate di generazione in generazione (faccende tipo la maledizione di Il mastino dei Baskerville, tanto per fare un esempio) – e di storie popolari di apparizioni, alla quale autori maggiori e minori dell’epoca attinsero, non certo perché a corto di idee bensì per il medesimo gusto di raccontare una bella storia dell’orrore, magari venata di humour, che spingeva i contemporanei a raccontarsi a cena, rabbrividendo con nonchalance, di teste mozze e morti senza pace, invece (o subito dopo) dell’ultimo gossip sulla tale lady o il tale lord. Poiché gli esponenti di questa classe sociale amavano viaggiare e soggiornare in Italia, le medesime storie venivano narrate nelle sale da pranzo «per bene» di Londra e di Roma, mescolate non di rado a qualche novità fresca fresca, ascoltata durante il viaggio, che rinnovava e arricchiva un bagaglio di storielle quasi inesauribile.
Il maggior cultore e forse il miglior narratore ottocentesco di queste storie fu probabilmente Augustus Hare, archeologo ed esperto di arte classica e medioevale, autore insuperato di due guide turistiche, Walks in Rome e Days Near Rome, due bibbie lette con reverenza da generazioni di viaggiatori, nonché della ponderosa The Story of my Life.
Questi sei volumi di diari e annotazioni, circa tremila pagine dove trovano posto tutte le belle storie e leggende che Augustus sente in giro, costituiscono non soltanto una fonte ricchissima di informazioni sulla vita e le passioni di questo «Victorian Gentleman», come lo definì uno dei suoi biografi, ma anche una lettura piacevole, capace di restituirci
… l’humus in cui nascevano le opere letterarie, quel terreno intricato dove avviene lo scambio tra lo scrittore e il suo potenziale lettore, e si manifesta la domanda e l’offerta dell’imprevedibile patto tra il narratore e il suo pubblico…
Raccontando sottotono i suoi incontri con Tennyson («fu un ascoltatore terribilmente cattivo e interruppe costantemente con domande» scrive di lui dopo una serata in sua compagnia) e con Henry James («the American Writer» lo chiama nei suoi diari, senza dimostrare particolare interesse) o della cena elegante alla quale è stato invitato la sera precedente, Hare dipinge un quadro privato, quasi casalingo, di quella aristocrazia inglese legata alla terra «le cui abitudini di vita con l’avvento del Novecento stavano per subire un drastica trasformazione». Con l’arrivo della grande industria e dell’imprenditoria la nobiltà terriera inglese non scomparve, come Hare (originario di una famiglia della piccola nobiltà ormai decaduta) temeva, ma dovette cambiare in maniera sostanziale il proprio stile di vita; molte antiche famiglie furono costrette ad affittare le loro residenze alla ricca borghesia o – prospettiva anche peggiore – a milionari americani smaniosi di assaporare un antico passato, mentre a Londra il titolo di «pari» veniva ormai concesso anche a uomini non più legati, come un tempo, al possesso della terra. Consapevole che il mondo che amava stava per scomparire, Hare fu spinto a
inseguire instancabilmente le tracce dei tempi andati, e cercare con pertinacia i personaggi che ne conservavano la memoria, a costo di frequentare per tutta la vita vecchie signore tiranniche […] Nell’epoca del grande collezionismo la sua fu la collezione orale di chi non poteva permettersi oggetti costosi, ma cercava storielle pregne dello stile di vita di una società in dissoluzione.
Il saggio della Contenti descrive accuratamente l’ambiente culturale di Hare:
Il folklore dei fantasmi faceva parte della civiltà vittoriana: esisteva una vera e propria cultura dei fantasmi, anzi più di una, da quella truculenta di stampo irlandese e scozzese con crani urlanti, reincarnazioni diaboliche, cadaveri dissepolti e streghe, a quella britannica, più civile e salottiera, con fantasmi bonari di signori in vestaglia tollerati con grazia nel castello, nella locanda, nella cappella avita.
Non ricco ma grande conversatore e narratore – testimoni dell’epoca raccontano di come si immedesimasse nel racconto tanto da giungere al suo acme in grande agitazione, torcendosi le mani e tremando – Hare ripagava gli inviti di amici e conoscenti esibendosi in performancesaccortamente preparate: le luci del soggiorno venivano abbassate, gli astanti erano pregati di restare in completo silenzio fino al termine, nessuno – nemmeno i servitori – doveva entrare e uscire per nessun motivo prima della fine. Non c’era obbligo né piaggeria nel suo atteggiamento, ma il piacere di rinnovare una passione condivisa; Hare raccontava soprattutto per il piacere di farlo e di suscitare nel suo pubblico la paura e il divertimento che egli stesso provava e i commensali ben volentieri ricambiavano narrandogli storie ascoltate in altre occasioni simili, che Hare avrebbe provveduto a diffondere alla prossima occasione mondana.
Per nulla interessato a scrivere racconti, Hare era un ricercatissimo e talentoso narratore orale, capace di rivitalizzare con le sue storielle anche i parties più noiosi: le sue storie avevano – come risulta anche dalle brevi annotazioni dei diari – un sapore di autenticità raggiunto con una scelta accorta di tempi e modi: le storie non erano mai anonime, ma sempre accadute a qualche persona nota che le aveva raccontate di persona a qualcun altro altrettanto conosciuto, che poi le aveva confidate ad Augustus personalmente; non venivano mai tralasciati i nomi e – altrettanto importanti – i titoli nobiliari dei protagonisti e dei testimoni, né mancava la descrizione accurata dei luoghi della vicenda, così anche se la fonte originale della storia non era consultabile perché ad esempio viveva a centinaia di chilometri di distanza, nessuno si sarebbe mai sognato di metterla in dubbio. Il divertimento e il coinvolgimento del pubblico erano quindi assicurati, come scrisse Sacheverell Sitwell, ricordandolo ospite gradito del padre nella villa in Toscana:
Augustus non aveva orecchio per la musica. Non era da lui cantare in pubblico o suonare il violoncello dopo cena. E le serate dell’era mediovittoriana potevano finire in quel modo e anche peggio. […] Invece di questo genere di cose, Augustus ci raccontava delle storie, per le quali aveva un talento che gli aveva procurato una fama, oserei dire internazionale.
Non soltanto di fantasmi, ovviamente, raccontava Hare: alcune sue storie semplicemente bizzarre e divertenti devono aver fatto sorridere o ridere decine di volte i suoi ospiti, come quella della nobile fanciulla che provava l’irresistibile impulso di strisciare nuda lungo i corridoi e le camere della villa di famiglia passando attorno e sotto i mobili senza mai travolgerli… o quella della bella signora con la gamba di legno, terza amatissima moglie di un consorte con l’innocente passione delle donne protesizzate… Ma certo in The Story of my Life i fantasmi la fanno da padroni, come testimonia l’ampia scelta di racconti – sempre brevi e privi di fronzoli – suddivisi per argomenti proposta da Alessandra Contenti.
Ci sono storie per tutti i gusti: orride, romantiche, drammatiche, semplicemente inquietanti, a lieto fine o molto tristi.
Dal momento che ce ne sono davvero tante vi racconterò, senza paura di defraudarvi, la mia preferita, purtroppo senza potervi divertire con il talento di Augustus.
Una simpatica signora inglese – ovviamente provvista di discreti mezzi – per molti anni sogna, ogni notte, una bella casa, la più piacevole e comoda che abbia mai visto, la casa perfetta per lei. Notte dopo notte, la signora la esplora senza mai esserne delusa, fino a conoscerne ogni angolo. E ogni mattina racconta i propri progressi ai familiari che, assecondandola, ogni mattina a colazione invece di darle il buongiorno le chiedono se è stata nella «sua» casa. Poi, si sa, la vita distoglie anche dai sogni più piacevoli e per diversi anni la signora non torna più nella casa dei suoi sogni, sino a che non decide di trasferirsi con il marito nei dintorni di Londra. Dopo tanto cercare, proprio l’ultima dimora mostrata loro dall’agente immobiliare si rivela la casa sognata: ogni particolare, fin dalla facciata e dall’ingresso è esattamente come lo ricordava e come un tempo lo amava. L’unico neo della casa, a volerlo chiamare così, è il prezzo: davvero troppo basso per una villa così perfetta. A contratto firmato, l’agente immobiliare spiega agli acquirenti con un sorrisino imbarazzato che hanno appena acquistato una casa in cui «ci si sente» (come direbbe una mia amica); il prezzo è basso perché molta gente, in passato, ha visto il fantasma di una donna vagare lungo i corridoi. Avrebbe dovuto avvertirli, è vero, ma non crede di averli ingannati, perché il fantasma era proprio quello della signora acquirente, che finalmente è giunta a destinazione in carne e ossa.
È una storia adorabile e consolante: anch’io sogno spesso belle case che potrei amare: le esploro di notte e di giorno ci fantastico sopra, senza parlarne a nessuno perché in famiglia non mi danno corda. Faccio sogni molto vividi, che sembrano davvero reali…
Se per caso incontrate nella casa di campagna del nonno un fantasma magro, non molto alto e con tanti capelli, non spaventatevi, non ha cattive intenzioni… ma tenetevi pronti, prima o poi, a vendermi casa.
Alessandra Contenti
Fantasmi e palazzi
Leggende gotiche metropolitane dai diari Augustus Hare
Carocci 2002, pp. 176, € 16,90