Dice: «Beh, se non ti pubblicano puoi sempre fare una scuola di scrittura».
La pubblicazione e le scuole di scrittura creativa. Due diverse tappe di una strada che conduce – si suppone – alla fama, al successo e alla piena realizzazione del sé. Al diventare, anzi all’essere (finalmente) riconosciuti scrittori.
Tra le motivazioni che spingono a scrivere tanti aspiranti scrittori può forse aggiungersene una […] quella di chi ritiene che scrivere ed essere pubblicati equivalga a esistere ufficialmente, […] si vive in un’epoca in cui sempre di più la prova della propria identità viene cercata all’esterno, nelle sedi deputate alla visibilità di massa.
Secondo Silvia Pertempi, autrice di Romanzo per il macero, Donzelli editore, una «indagine sui manoscritti di narrativa ricevuti (e non pubblicati) da un editore», la compulsione alla pubblicazione come antidoto all’angoscia della non-esistenza viene comunque dopo altre motivazioni, meno suggestive ma altrettanto interessanti. L’estendersi e l’approfondirsi dei livelli di scolarità, innanzitutto, come il desiderio avvertito più nettamente di dare forma scritta e comunicabile alla propria riflessione su esperienze e sentimenti. La stessa nascita e crescita
di corsi e scuole di scrittura creativa […] sta a indicare, da un lato, una crescente richiesta di tale servizio, dall’altro la capacità degli scrittori o delle associazioni di scrittura accreditate di stimolare desideri e bisogni.
Stimolare desideri e bisogni, dice Silvia Pertempi. Frase apparentemente innocua e perfino anonima ma carica di sinistre risonanze.
Cambiamo per un momento libro, adesso, e anche nettamente registro:
Le fanno tutti le scuole di scrittura, campano di quello oggi come oggi gli scrittori italiani. Scuole e televisione. Costanzo e Holden. Che poi meno male fanno le scuole, che se dovevano campare con quello che vendevano in libreria la vedevo dura.
[…] La scuola di scrittura fa bene a chi la organizza, ci prende un po’ di soldi e se li mette in cassa.
Qui siamo dalle parti di Piombino, in compagnia di Gordiano Lupi e del suo Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura, manuale per difendersi dagli scrittori inutili, edito da Stampa Alternativa.
Gordiano Lupi lavora in banca e scrive. Scrive e produce una rivista indipendente autodistribuita e autoprodotta che si chiama Foglio Letterario e, in qualità di autore e di traduttore ha una vastissima esperienza – in forma di vita vissuta – di editori, scuole di scrittura, premi letterari e riviste per aspiranti autori.
Per capire quale sia il giudizio del signor Lupi sul mondo letterario nazionale e sul felice e democratico ambiente dei nuovi autori basterà pescare una frase – scelta senza troppa fatica – dalle ultime pagine del suo (divertentissimo) Baedecker antitruffa:
Vi converrebbe interessarvi poco o niente di quel che fanno i giovani autori italiani pubblicati in massa dall’editore unico nazionale, Mondofeltrineinaudi mi pare che si chiami, ma lo potete pure chiamare Berluscheditore che tanto fa lo stesso. Leggete gli stranieri […] e se proprio dovete comprare roba italiana cercate dagli editori veri, quelli veri che di soldi ne vedono pochi.
Un po’ drastico?
Può darsi. Ma stranamente in consonanza con la scelta di LN di non recensire più in modo sistematico la produzione contemporanea italiana per risparmiare spazio prezioso sulla rivista, tempo ai lettori e frustrazioni e incubi al sottoscritto…
Ma a parte la consolazione personale c’è un ulteriore elemento di interesse in questa frase di Lupi: «Leggete gli stranieri!»
Ritorniamo a Silvia Pertempi e a un suo lungo ragionamento presentato in apertura al suo studio. In esso infatti afferma che gli editori – piccoli e grandi – hanno da qualche tempo in qua tirato i remi in barca sulla produzione italiana per investire su quella straniera:
Può riuscire utile riflettere sul motivo sostanziale – non solo economico – che ha spinto gran parte degli editori nostrani alla scelta di pubblicare sempre più testi stranieri e sempre meno testi italiani. Le preferenze […] sono state rivolte a quelle letterature che erano specchio di società più nuove e vitali […] per i nostri editori l’unica scelta ragionevole sia dal punto di vista culturale che economico appariva quella di introdurre in Italia tali letterature […] era inevitabile che venisse operato un drastico taglio sulla pubblicazione di autori italiani. […[ Così molti romanzi, in qualche caso anche di pregio, non vengono letti, restano sconosciuti, configurandosi come scorie indefinite e sommerse di una produzione letteraria sempre più legata alle esigenze di mercato.
Mi scuso con i lettori per la lunghissima citazione e con l’autrice per i tagli inferti a un discorso molto più ampio e articolato di come l’ho presentato io, ma mi sembrava di un certo interesse porre a confronto l’invito di Lupi – perfettamente condivisibile – e l’analisi di Pertempi.
«Leggete gli stranieri», dice Lupi. E gli italiani infatti li leggono, e più son strani e nuovi e più volentieri li leggono. Algerini, cinesi, brasiliani, angolani, indonesiani, colombiani, ucraini, rumeni, albanesi, messicani, yemeniti, turchi. E siccome i lettori sono sempre quelli, ovvero sono sempre all’incirca lo stesso numero che spende all’incirca sempre la stessa cifra, ne discende che non c’è più tanto posto per gli emuli dei Mozzi, dei Drago, dei Culicchia o dei Bosonetto.
E se questo è vero per gli epigoni in coda, rischia di essere vero anche per i titolari del marchio depositato «Giovane e promettente scrittore». Insomma se non dispongono di altre entrate gli ultimi fenomeni della letteratura italiana contemporanea devono trovare qualche altro modo per sbarcare il lunario.
«La scuola di scrittura fa bene a chi la organizza», diceva Lupi.
Ah, già.
Ma a che pro spendere un tot per frequentare una scuola di scrittura, pagare tasse di partecipazione a premi letterari, pagare tirature di mille copie a editori senza distribuzione e sconosciuti alle librerie?
Per sfuggire all’anonimato?
Per maturare crediti per essere letti, valutati e consigliati da qualcuno in una casa editrice?
Nella maggior parte dei casi i manoscritti o non saranno letti o. se letti e giudicati inadeguati alla pubblicazione – il che vale per la maggior parte – verranno gettati via senza che l’autore ne venga informato.
Ma è probabile che il frequentatore pagante di una scuola di scrittura sufficientemente quotata abbia qualche possibilità di arrivare alla pubblicazione. Esattamente come chi paga un’agenzia letteraria decentemente nota per averne consigli, suggerimenti e contatti con l’editoria professionale. Non è (o non è soltanto) un problema di genio o di talento, ma essenzialmente di denaro. Volendo essere schematici fino alla rozzezza si potrebbe dire che per poter dare del tu a uno scrittore affermato e passargli un manoscritto si deve essere già suoi clienti.
Nulla di strano o di scandaloso, pensandoci bene. L’arte non è in discussione e, in fondo, non è di questa che si parla. Nell’editoria professionale si parla d’altro, si parla di investimento e di redditività. Se poi tra un budget e un sell-out riesce a fare capolino anche la letteratura, meglio per tutti. Porre la questione in questi termini aiuta a comprendere che il vero problema ha cessato da un po’ di essere la qualità della scrittura ma essenzialmente se il denaro che molti spendono in libri per il macero o in corsi di scrittura creativa, aspirando alla fama e alla fortuna, sarà ben speso.
La cosa irritante, secondo Lupi, è che questa normale pratica di commercio e consulenza voglia per forza apparire ineffabile e preziosa. Che il lavoro di promozione di giovani talenti o presunti tali condotto da riviste e siti internet debba necessariamente presentarsi in una forma a metà tra il giovanilismo alla McDonald’s e lo stucchevole autocompiacimento.
Che un sentore appiccicoso e snervato debba dominare gli spazi – cartacei e virtuali – consacrati alla «creazione & invenzione letteraria», un uso delle parole in forma di codici, un compiacimento acrobatico per i concetti più vaghi e rarefatti, un mood esclusivo ma non troppo, comunque pronto e disponibile a inglobare anche l’ultimo arrivato purché renda omaggio, riconosca l’esclusività raffinata alla quale è ammesso, non faccia commenti sugli abiti dell’imperatore e sia pronto a pagare.
Ma Lupi è uno che si è visto sbattere la porta in faccia da molti editori – si potrà dire leggendo il suo pamphlet – e che non ha perso occasione per fare commenti sugli abiti dell’imperatore di turno. Naturale abbia il dente avvelenato e spari a zero su tutto ciò che si muove. Forse a tratti persino esagerando. Forse.
Resta il fatto che mai come adesso le scuole di scrittura sono divenute un elemento fisso del panorama letterario italiano. In molti casi a sostituire o integrare strutture pubbliche (università, scuole superiori) assenti o insufficienti, in altri ponendosi come elemento di animazione e stimolo culturale sul territorio (e gli ottimi esempi non mancano). Il problema è ovviamente il tipo di domanda che queste debbono soddisfare e la loro organizzazione in rapporto a questa. Se si tratta di una domanda di generico ma genuino interesse o di una precisa richiesta di elementi di base per il successo professionale come autore, sceneggiatore, scrittore. In quest’ultimo caso, per restare su un piano per nulla artistico, l’unico criterio è dell’affidabilità, del tipo di formazione e del riconoscimento offerto in rapporto al lavoro svolto e alla quota versata, senza farsi eccessivamente impressionare dalla densità apparente dei programmi e dal grado di farcitura con tecnicismi, termini gergali e virgolette.
Ovviamente tutto ciò non ha nulla a che vedere con il diventare o lo scoprirsi «scrittori». E quindi? Sentiamo ancora una volta Gordiano e Silvia.
Leggete e scrivete. Ma leggete di più di quanto scrivete. […] Fatevi uno stile e cambiatelo spesso. Adattatelo alle cose che scrivete. Levate gli aggettivi di troppo e le frasi che non vogliono dir nulla. Eliminate le retorica lacrimevole dai vostri discorsi […] tutto qui. Poi fate un po’ voi.
Ancora Gordiano, incorreggibile.
Così invece Silvia:
la scarsa attenzione verso la complessità culturale ed economica della domanda editoriale dimostrata da molti autori non sembra un atteggiamento da sottovalutare, in quanto non può non riflettersi sulla qualità stessa dei loro scritti quale sintomo di distacco dalla realtà culturale e sociale.
Che poi vorrebbe dire in pratica la stessa cosa: leggere, leggere e leggere. I grandi autori e/o gli autori giusti, quelli che fanno tendenza. E poi semmai provare a scrivere.
Resta il fatto che scrivere è bello. Indiscutibilmente. Un passatempo economico, formativo e rigenerante. Se poi capita anche di poter discutere con qualcuno che non sia un vostro consanguineo delle righe scritte sembrerà di toccare il cielo con un dito. Di non essere proprio vissuti del tutto invano. Ma questo non significa essere scrittori, significa soltanto scrivere, un’attività antica e affascinante.
La più vicina possibile alla creazione.
Che questo debba necessariamente dare luogo a fama e successo non è per nulla detto, come non è detto che debba diventare lo scopo di una vita. Esistono strumenti tecnologici, semplici e relativamente economici, in grado di creare libri in piccola tiratura. Esiste, da qualche anno in qua, il web. E non è necessario mettersi in coda davanti a qualche santuario della creazione presidiato da sacerdoti più o meno titolati per discutere di lettura e di scrittura. La pubblicazione, un po’ come il matrimonio, non può essere l’unico obiettivo dell’amore. Meno che mai del sesso…
Silvia Pertempi
Romanzi per il macero
Donzelli, 2004
pp. XX-194, € 12,00
Gordiano Lupi
Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura
Stampa Alternativa, 2004
Nota:
Ho vergognosamente sfruttato il lavoro di Gordiano Lupi e di Silvia Pertempi per sostenere uno sproloquio nato dalla mia profondissima intolleranza per buona parte della produzione narrativa contemporanea in lingua italiana, per la sua trasgressione ultraprovinciale e la sua ecologia melmosa e invivibile. Me ne scuso e aggiungo che il lavoro di Silvia Pertempi è in realtà uno studio acuto e interessante su un campione di 114 manoscritti di narrativa giunti all’editore Donzelli (editore esclusivamente di saggistica) nell’arco di un paio d’anni. Il testo di Lupi, viceversa, non ha nulla di scientifico ma è una raccolta di esperienze e considerazioni nate dalla sua esperienza. Scritte senza misura e senza cautela, quindi ancor più preziose.