Della seconda metà degli anni ’80, precisamente del 1987, è stata anche una delle ultime rappresentazioni narrative coerenti di un universo utopico/distopico. Parlo della Cultura di Iain M. Banks, venuta alla luce con il romanzo Consider Phlebas, tradotto una prima volta nel 1989 dall’Editrice Nord con il titolo La mente di Shar (trad. di Pierluigi Zuddas) e ora ripubblicato da Fanucci nella collana «Solaria Immaginario» con il titolo (fedele all’originale fino all’essere un po’ pedestre) Pensa a Fleba, nella traduzione di Roldano Romanelli.
Che tipo di utopia/distopia è quella della Cultura?
In prima approssimazione la si farebbe rientrante nella categoria delle «modifiche delle forme di produzione». La Cultura è infatti una società altamente tecnologica, nella quale sono le IA (intelligenze artificiali) a definire il campo e i modi delle interazioni umane e della produzione. Non solo: innesti, cyborghizzazioni, modifiche neurali e endocrine sono pratiche quotidiane nel mondo della Cultura, tanto che il protagonista del romanzo, il metamorfo Horza, prodotto di una raffinata ingegneria genetica bellica, (incoerentemente) la detesta proprio perché sottilmente inumana, dominata come appare dalle macchine.
Horza non ha completamente torto, infatti l’accorta ambiguità della Cultura nasce proprio dal suo pragmatismo del tutto antideologico. Banks non lascia trasparire alcun modello politico nella genesi e nella prassi dell’Utopia di sua invenzione. La Cultura è non-violenta, pragmatica, necessariamente tollerante, polimorfa, apparentemente popolata da individui curiosi e un po’ infantili ma anche, quando necessario, decisi e amorali. Nessuna fede, nessun credo sembra guidarli, tanto che i loro nemici, gli alieni Idirani governati da una rigida teocrazia, sembrano al lettore molto più «umani» e comprensibili.
Ma l’ambiguità della Cultura, il suo apparire insieme fortuna e condanna dell’umanità, il suo orientamento antiretorico e la sua prassi, perennemente oscillante tra prassi diretta e contorti bizantinismi, le calcolate reticenze e le osservazioni solo apparentemente casuali sono il modo personale di Banks di sfuggire alla necessità «morale» di definire una società futura. Un sottile umorismo percorre e innerva le descrizioni della Cultura, forma di società futura ipotizzata per rovesciare e ridicolizzare il nostro presente. Gli utensili intelligenti della Cultura – dalle astronavi alle armi – sono moralisti, formali, guidati da dettami etici vincolanti e praticamente insopportabili, simili a vecchie zie petulanti che hanno immancabilmente ragione e anche per questo risultano particolarmente moleste.
Di fronte a questo genere di macchine gli umani possono rivelare i propri tratti immaturi, tanto più che saranno le Menti sintetiche a indirizzarli verso forme di esistenza e coesistenza accettabili.
Con divertita amarezza Banks ammette che gli esseri umani sono sostanzialmente incapaci di creare forme di governo eticamente degne (oltre che realmente efficaci) e che l’unica cosa intelligente possano fare è affidare a entità non umane il governo del mondo. La Cultura è indubbiamente un tipo di organizzazione sociale «umano» e, almeno per certi aspetti, divertente, ma nasce da una rinuncia e dal riconoscimento di un fallimento. In questo senso riassume in sé i tratti dell’Utopia e della Distopia e rappresenta sicuramente un punto di svolta nel rapporto tra fantascienza e utopia politica. Un punto di non ritorno.
La particolare angolatura con la quale ho scelto di affrontare il romanzo rischia, mi rendo conto, di indebolirne il valore narrativo. Pensa a Fleba è, in realtà, un’efficacissima e brillantespy-story, costruita intorno al personaggio del metamorfo Bora Hora Gobulchul, traditore e mentitore per necessità e per natura, ma romanticamente fedele a un concetto di umanità desueto e, a ben vedere, pericoloso. Il fatto che Horza non sia un membro biologico della specie umana ma una macchina bioendocrina non toglie nulla alla sua contorta grandezza e alla sua coerenza suicida. È il suo idealismo, del tutto degno di un uomo del XX secolo, a renderlo pericoloso a sé e agli altri.
Quanta geniale perfidia narrativa sia nascosta nella narrazione di Banks è un giudizio che lascio volentieri al lettore. Per conto mio invito caldamente coloro che non hanno ancora letto Pensa a Fleba ad approfittare della nuova edizione del libro.
Già che ci siamo: sarebbe stato perlomeno corretto indicare l’esistenza di una precedente edizione del libro, oltretutto pubblicata con un titolo diverso. Questo per evitare che tanta brava gente creda di acquistare un «nuovo» libro di Banks…
Iain M. Banks, Pensa a Fleba, Fanucci, 2002, pp. 384, € 15,40, Trad. Roldano Romanelli