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    TerraNova

    Affrettando il paradiso

    • di Massimo Citi
    • Febbraio 4, 2013 a 11:41 am

    Una piccola osservazione preliminare.
    Nella prima edizione italiana, quella di Baldini e Castoldi (1998), quella che ho letto io per scrivere questa recensione, è inutile cercare nel risvolto di copertina la data di pubblicazione originale del libro: non esiste. Come non troverete il titolo originale. Semplicemente l’editore si è dimenticato di scriverli. In compenso c’è l’indirizzo elettronico (di lui, dell’editore), ma potete risparmiarvi la fatica di scrivere per chiedere informazioni in proposito, come io a suo tempo, da vera sprovveduto, ho fatto: nessuno vi risponderà.
    Così mi sono arrangiato e posso dirvi, ma piano, in un orecchio in modo che nessuno senta, che il titolo originale del romanzo è Rushing to paradise (Affrettando il paradiso) e che l’edizione originale è del 1996.
    Questo mi ha comunque permesso di stabilire che il titolo affibbiato al libro dalla Baldini & Castoldi oltre che brutto (come è brutta la copertina) è anche arbitrario.
    Sono giunto al termine della prima lettura convinto che Ballard questa volta abbia decisamente esagerato. La sensazione si è leggermente attenuata in seguito, ma mi sono rimaste alcune perplessità, delle quali vi parlerò tra poco. Protagonista del romanzo è una dottoressa inglese a suo tempo radiata dall’ordine perché “abbreviava le sofferenze” di anziani inguaribili e ora appassionata ecologista che si batte contro il governo francese che vorrebbe fare di un’isola del Pacifico, luogo di nidificazione degli albatros, un sito per esperimenti nucleari.
    Al grido «Salviamo gli albatros!» la dottoressa Barbara Rafferty mette insieme un’assortita truppa di volontari che comprende un nativo polinesiano, qualche veterano di battaglie ambientaliste, un paio di scienziati giapponesi e Neil, un adolescente il cui profondo desiderio è in realtà di assistere a un’esplosione nucleare.
    É Neil la voce narrante del romanzo, un Jim Hawkins in piena pubertà, singolarmente turbato dalla personalità e dalla convinzione della dottoressa Barbara. Senonché i progetti della convinta ecologista sono sì radicali e sicuramente riguardano il futuro della specie umana, ma assomigliano maggiormente ad alcuni deliri di inizio secolo su razza e genere che alle posizioni di Greenpeace.
    E dove sta allora l’esagerazione?

    J.G. Ballard

    Non è facile a dirsi. Credo che si potrebbe sintetizzare nella sensazione che Ballard abbia voluto correre, stavolta, un rischio eccessivo. Esiste un diffuso sentimento progressista che ritiene sia giusto praticare l’eutanasia ai malati incurabili e difendere le specie animali in pericolo, che si batte contro gli esperimenti nucleari e crede nella pari dignità dei sessi. Se pure, com’è probabile, Ballard crede in questi principi (che spesso, almeno per alcuni, sono assimilabili a precetti) tuttavia si adopera, in questo romanzo, a distruggerli coscienziosamente, lasciando il lettore di buone intenzioni in preda alla sorpresa e all’astio.
    La maggiore debolezza del romanzo, tuttavia, non sta tanto nella sua scorrettezza politica, ma nel personaggio della dottoressa Barbara, che sembra consistere unicamente dei suoi deliri gelidi e dei suoi lucidi progetti. Basta pensare alla elaborata e imprevedibile follia del Vaughn di Crash per rendersi conto che, questa volta, Ballard ha, seppur di poco, sbagliato la misura.

    Tuttavia debbo ammettere di essermi divertito. Ogni convinzione, anche la più avanzata e progressista, ha un proprio lato puritano e intollerante ed è l’espressione compiuta di una classe sociale (in questo caso la classe media intellettuale europea) e di un’epoca. Diverse volte mi è capitato di chiedermi quanto vi fosse di sincero, di realmente sofferto in certe idee tanto diffuse tra i “benpensanti di sinistra”. Qualche volta, addirittura, di pensare che si trattasse di conformismo mascherato da progressismo, come in certi democratici di questi anni. Così la mia anima dispettosa e anarchica si è parecchio divertita a vedere la dottoressa Barbara che cercava di “affrettare il paradiso” eliminando senza pietà chiunque la intralciasse.
    Sono d’accordo, non è una lettura da boy-scout, ma non è affatto escluso che ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno, di questi tempi, sia una robusta dose di cattiveria.

    James G. Ballard
    Il paradiso del diavolo
    Feltrinelli Universale Economica, 2008
    pp. 252, € 9,00
    Trad. A. Caronia

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