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    TerraNova

    Ristrutturazioni domestiche: le ghost-story

    • di Davide Mana
    • Novembre 17, 2012 a 5:58 pm

    Storia Naturale della Letteratura Fantastica

    di Davide Mana

    La superficie del pianeta sul quale viviamo è costellata di oggetti, voluminosi e spesso piuttosto criptici, che testimoniano tutti, in un modo o nell’altro, una personale e collettiva ossessione della nostra specie.
    Le Piramidi, Stonehenge, i disegni sulla pianura di Nazca, sono ciclopici memento all’ossessione dell’umanità per il tempo, per il suo scorrere incessante, per la sua misura e in particolare per i suoi estremi – l’inizio e la fine.
    I Maya, calendaristi ossessivi, calcolarono che il tempo sarebbe finito il ventidue di dicembre del 2012.
    La domanda ovvia, stimolata da una simile affermazione, è: «E poi?»
    La nostra ossessione per le estremità del tempo non ci deve sorprendere – noi tutti le abbiamo sperimentate, nella nascita e nella morte, e nessuno di noi sa esattamente che cosa si stenda oltre a esse.
    «E poi?», rimane la domanda personale di tutti noi.
    Filosofi e profeti hanno costruito interi sistemi di pensiero sulla risposta a quella piccola domanda.
    I narratori, più prosaicamente, vi hanno costruito sopra delle storie di spettri.

    Analisi Spettrale


    La narrativa di spettri ha una tradizione che, molto appropriatamente, si perde nelle nebbie del tempo.

    Le testimonianze di rituali di sepoltura atti a impedire il ritorno del trapassato (e forse, in origine, la sua esumazione da parte di agenti esterni) ci lascia immaginare che le storie di spettri fossero abbastanza diffuse, attorno ai fuochi del neolitico.
    Ben rappresentata nel mondo classico, la storia di spettri scivola nel folklore durante i cosiddetti «secoli bui» per essere riesumata nel rinascimento e divenire uno pseudogenere diffuso con l’avvento dell’età moderna.
    È tuttavia tra la fine del 1700 e gli inizi del 1900 che la narrativa spettrale diviene un genere vero e proprio.
    Forse perché con la Rivoluzione Francese e la diffusione dei principi illuministi, i sistemi di pensiero propri del razionalismo e del materialismo forniscono finalmente il giusto contrasto all’evento sovrannaturale. Compare finalmente la casa infestata, irruzione del sovrannaturale nel quotidiano – lontano dalle locations un po’ stereotipate del gotico e dei penny dreadful. Con l’infestazione della casa, con la violazione della domesticità, non ci sono più luoghi sicuri, non c’è più rifugio.
    Il fatto che l’opinione comune consideri impossibili gli eventi sovrannaturali li rende solo infinitamente più spaventosi – non si tratta più semplicemente di irruzioni nella nostra realtà di una realtà altra ma in fondo accettata, con la quale si può scendere a patti, ma di autentiche sospensioni di tutte le regole in cui crediamo.
    Questa poetica dell’orrore, questa immagine del sovrannaturale come distruzione dell’illusione di normalità e controllo che fa da sostegno all’esistenza dell’uomo moderno, verrà compresa appieno ed esplicitata solo fra le due guerre; su questa intuizione si fonda la grandezza di Howard Phillips Lovecraft, autore la cui prosa spesso non fu all’altezza della sua filosofia (e ben se ne rendeva conto il Gentiluomo di Providence, che spesso lamentava i propri limiti nelle lettere ai suoi molti corrispondenti).
    Ironico, considerando che Lovecraft scrive dopo uno dei grandi spartiacque letterari – la fine della Prima guerra mondiale, che marca per alcuni la fine della storia di spettri tradizionale (e sulla quale tanto ci sarebbe da dire – magari in futuro…); la guerra, con le sue bombe al fosforo, con l’iprite e i lanciafiamme, ha portato nella realtà quotidiana dei potenziali lettori un orrore al confronto del quale scricchiolii notturni e rumore di catene suonano quasi tranquillizzanti.
    La narrativa di fantasmi non muore, tuttavia, con la fine del primo conflitto – Montague Rhodes James, autentico eroe e nume tutelare della storia di spettri, continua a pubblicare racconti ben dopo la data fatidica, e come lui Sheridan le Fanu (oggi noto soprattutto per il vagamente pruriginoso Carmilla) e William Hope Hodgson proseguono nella pubblicazione.
    Qualcosa è cambiato.
    In questi stessi anni, anche per reazione al razionalismo imperante, ma soprattutto proprio come conseguenza del ben materiale orrore iniettato nella cultura occidentale dal primo conflitto mondiale, si ha un’esplosione di misticismo sui generis che saremmo quasi tentati di paragonare al moderno e sincretico new age – santoni indiani, esoterismo, comunicazioni spiritiche con gli atlantidei… tutto l’armamentario misticheggiante e un po’ fasullo accumulatosi sulle sponde del movimento Romantico nel secolo precedente, si erge improvvisamente al di sopra della linea dell’orizzonte intellettuale del cittadino medio, e appena in tempo per dare da lavorare a Indiana Jones.
    I Nazisti, lo sappiamo, abbracceranno allegramente una fetta consistente del fenomeno, e questo condurrà ad altri orrori materiali, e a una nuova guerra mondiale.
    Frattanto, sorgono un po’ ovunque circoli e società che si occupano di indagini fantasmiche e investigazioni del sovrannaturale – la più popolare delle quali è la Society for Psychic Research di Harry Price.


    Price balzerà alla ribalta nell’indagine su Borley Rectory, «la casa più infestata d’Inghilterra», riguardo alla quale le storie di eventi sovrannaturali (legati alla presenza dell’anima inquieta di una monaca defunta) si susseguono dal 1885, ma che – significativamente – vengono pubblicati e divulgati per la prima volta nel 1929.

    Nelle indagini sul sovrannaturale verranno coinvolti di volta in volta personaggi quali Arthur Conan Doyle, Cesare Lombroso o l’illusionista Harry Houdini, e se non si arriverà mai a una risposta esauriente e definitiva a quell’angosciante «E poi?», le indagini su Borley Rectory o sugli Spettri del Trianon a Versailles serviranno a gettare le basi di un metodo di indagine, e a delineare alcune regole che gli scrittori di letteratura fantastica saranno ben felici di adottare, creando la vera, nuova ghost story.
    Ancora una volta, significativamente, la nuova ghost storyraggiungerà i propri massimi vertici nel secondo dopoguerra, con l’avvento della (relativa) tranquillità degli anni Cinquanta e Sessanta. Alimentati da paure inespresse (la Bomba, la guerra fredda), i nuovi spettri potranno finalmente calare sui sobborghi urbani, per far scorrere un crudele, lungo brivido lungo la schiena dei lettori.
    Fra i titoli più rappresentativi del genere rinnovato, due si ergono come colossi, gettando la loro ombra su tutta la produzione presente e futura. Si tratta di capolavori che fanno giustamente parte dei gioielli della corona del fantastico del XX secolo, idoli ai quali si debbono genuflettere tutti gli autori successivi.
    Sono due storie semplici.
    Sono due storie di case infestate.

    Reperto a – La Casa sulla Collina


    Shirley Jackson, autrice americana di storie sovrannaturali scomparsa nel 1965, deve oggi la propria notorietà soprattutto a The Haunting of Hill House, pubblicato originariamente nel 1959 e comparso per la prima volta in Italia nel 1979 col titolo a effetto di La casa degli invasati.

    Dal romanzo sono stati tratti due film: il primo, del 1963, diretto da Robert Wise in un bianco e nero assolutamente inquietante, è certo uno dei dieci film fondamentali del genere; il secondo, diretto nel 1999 da Jan de Bont con spreco di effettacci e alcune «revisioni» alla trama assolutamente superflue, rappresenta una delle più esecrabili perdite di tempo mai concepite dalla mente umana.
    Costruito attorno all’incubo vissuto da una squadra di investigatori psichici che dovrebbero studiare l’infestatissima e famigerata Hill House, una casa «nata malvagia» la cui storia è costellata di disgrazie e di orrori, il romanzo è un assoluto capolavoro di sottigliezza e di orrore psicologico.
    Jackson riesce a coinvolgere il lettore usando come principale punto di vista, come protagonista quasi principale (ma comunque subordinata a Hill House), la giovane (ma all’epoca «non più giovanissima») Eleanor Vance – una trentaduenne debole, succube della madre ammalata, poco avvezza alla vita sociale, che si sente tanto minacciata dai suoi compagni d’avventura (la probabilmente bisessuale Theo, il professor Montague, al contempo affascinante e scostante) quanto dalla casa nella quale si appresta a trascorrere la peggiore notte della sua vita (e, forse, tutto il resto della sua esistenza).
    Eleanor è la preda ideale.
    Hill House è il predatore assoluto.
    Sono i corridoi, le porte (che non stanno chiuse, che non si riesce a tenere aperte), le stanze, la geografia interna di Hill House a infestare il romanzo, che è un tour de force di paura insinuante, alla quale non si riesce a sfuggire neppure in una giornata di sole.
    Siamo a milioni di anni luce di distanza dagli spettri sbrindellati della narrativa ottocentesca, e su un piano infinitamente più elevato dei pur divertenti orrori pulp che succedettero a quelle anime inquiete. Con The Haunting of Hill House il genere della ghost storydiventa finalmente maturo, si svincola dalle ingenuità ottocentesche, dalle velleità antiquarie di James e si impadronisce in pieno dello stile psicologico di cui Henry James fu pioniere e che caratterizzò alcuni interessanti esperimenti, ormai dimenticati, a cavallo del secolo.
    Più volte ristampato (da «Urania», negli «Oscar» Mondadori), il romanzo rivede ora la luce per i tipi di Adelphi, e l’edizione sontuosa sembrerebbe soddisfare i desideri dei vecchi appassionati, che finalmente vedono il capolavoro nella veste che merita.


    Adelphi ha anche provveduto a sistemare un piccolo ma sostanziale refuso nella traduzione, che si è trascinato per anni nelle diverse edizioni passate e che ha sempre privato i lettori nostrani dell’ultima, velenosa sottigliezza di Shirley Jackson e di Hill House.

    Il romanzo si apre con una classica introduzione da ghost story, un primo paragrafo che farebbe la gioia di Montague Rhodes James, e che strapperebbe un sorriso (e un breve saggio epistolare) ad H. P. Lovecraft.
    Il paragrafo si chiude con una frase che preannuncia l’orrore di Hill House, e che si ripete in chiusura del romanzo: «Silence lay steadily against the wood and stone of Hill House, and whatever walked there, walked alone.»
    Nell’edizione Mondadori: «Il silenzio gravava perenne sul legno e sulle pietre di Hill House e qualunque cosa vagasse sin lì vi andava sola».
    Peccato che sia sbagliato, perché la frase in inglese (che viene poi ripetuta esattamente uguale nell’originale) non fa riferimento a qualcosa che si rechi in visita alla casa («che si rechi sin lì») ma è invece da intendersi come un riferimento a qualsiasi cosa vaghi per la casa e i terreni circostanti. Non un visitatore, quindi, ma un’infestazione.
    Qualcosa ancora manca all’edizione Adelphi, e nessun traduttore, forse, riuscirà mai a renderla – c’è una variazione, che un autore meno sottile avrebbe reso con un cambio, dal condizionale al congiuntivo, fra la prima e l’ultima frase.
    Così come stanno le cose, invece, grazie alla prosa raffinata di Shirley Jackson, è tutto puramente contestuale.
    A cambiare, è la nostra certezza dei fatti e, se in apertura esiste una incertezza che qualcosa possa vagare per Hill House, in chiusura, questo dubbio non esiste più: quella è Hill House, e ciò che vi vaga, vi vaga da solo.
    E ora ne siamo certi.
    È là.
    Per sempre.
    Lasciamo ai lettori il piacere crudele di scoprire cosa esattamente vaghi per Hill House.

    Reperto b – Villa Inferno


    Dodici anni dopo la spedizione a Hill House, nel 1971, Richard Matheson, un autore del quale abbiamo già avuto modo in passato di tessere le lodi, dedicava il proprio genio e la propria facilità narrativa a una storia tanto simile, fin dal titolo, da far quasi immaginare un plagio, o una parodia.

    Il romanzo Hell House vide la luce in Italia nel 1974, col titolo di La casa d’inferno, un anno dopo che, sceneggiato dallo stesso Matheson, era stato portato sullo schermo col titolo di The Legend of Hell House.
    La trama è superficialmente simile a quella del romanzo della Jackson – una squadra di investigatori del paranormale penetra nell’infestatissima Belasco House, mostruosità gotica costruita dall’osceno Belasco, uomo che ha in vita esplorato i più abbietti abissi di malvagità e depravazione.
    Per alcuni, lo scopo è quello di eliminare l’infestazione una volta per tutte.
    Per altri, come per il sensitivo Fischer, reduce da una catastrofica spedizione precedente, terminata nella follia e nella morte, lo scopo è semplicemente sopravvivere.
    Nel corso di quattro lunghi giorni, in una desolata vigilia di Natale del 1970 (una strizzata d’occhio al Christmas Carol di Dickens?), scopi e priorità cambieranno, mentre l’orda di spettri che si aggira per la casa (ma esiste poi veramente, quell’orda?) giocherà come il gatto col topo con gli investigatori.
    Facile tracciare paralleli con Hill House.
    Ma qui le cose sono diverse.
    Se Shirley Jackson era iconoclasta e provocatoria, ma sostanzialmente misurata, negli anni Cinquanta, all’alba degli anni Settanta Matheson può permettersi di essere molto più esplicito, mostrando più apertamente le crepe nella personalità dei suoi personaggi (l’insopportabile, arrogantissimo professor Barrett, la troppo spirituale Florence) nelle quali l’orrore non tarderà a insinuarsi come un tarlo letale.
    Belasco House è infestata dallo spettro dell’uomo più crudele e depravato della storia.
    E gli effetti non tardano a manifestarsi.
    In mano a un autore meno dotato, si scivolerebbe facilmente nel sensazionalismo.
    Matheson riesce invece a mantenere una disciplina tale da conservare in pieno la carica d’orrore del suo romanzo. L’azione è scandita in brevi capitoli di taglio giornalistico, ciascuno contrassegnato dall’ora in cui la scena si svolge anziché da un comune numero.
    Anche qui è la topografia interna dell’edificio a celare trappole e orrori, e persino gli arredi possono nascondere qualcosa di orribile pronto a colpire, fisicamente e psicologicamente, gli invasori. La storia dell’edificio, gli atti di orrore ben materiale che vi si sono svolti, non sono altro che il combustibile che mette in moto e mantiene in moto una macchina la cui sola funzione è quella di annientare qualsiasi cosa non sia Hell House.
    Plagio in potenza, si diceva.
    La risoluzione, tuttavia, affranca completamente Hell House da Hill House, rivelandoci una storia completamente diversa, un diverso orrore, una diversa dimensione spirituale.
    Se nel lavoro della Jackson è la casa a essere malvagia, e l’infestazione ne è una conseguenza, per il ben più materialista Matheson non è più possibile trovare un alibi – è la malvagità umana, all’origine di tutto.
    Curiosamente (o forse no – ma perché finiamo sempre a fare questi discorsi?) il romanzo di Matheson non ha avuto in Italia la stessa fortuna di quello della Jackson – dopo la prima edizione, 1974, da Rizzoli, è stato ristampato una volta sola, dieci anni or sono, dalla Fratelli Fabbri Editori (1995).
    Un peccato, considerando l’importanza del romanzo nel panorama del fantastico.
    Non possiamo che sperare, ora, che Adelphi, dopo aver magari esaurito il catalogo di Shirley Jackson, ci proponga anche il lavoro che di Hill House non è solo un cambio di vocale, ma anche un sostanzioso contrappunto.

    E poi?

    Una scena da «Shining»

    Ecco il classico gioco da fare attorno a un tavolo, in una fredda notte d’inverno, quando si hanno a portata di mano un po’ di amici malati di libri.

    Qual’è la miglior storia di spettri moderna mai scritta?
    Ammesso che esista, naturalmente.
    Provateci.
    Nasceranno discussioni interessanti.
    A livello ufficiale, qui da noi, la giuria è ancora in camera di consiglio.
    Fra i romanzi, Shining di Stephen King, è un concorrente favorito – popolarissimo il libro, definitiva dimostrazione che la cocaina faceva bene a Stephen King, iconico e felicemente infedele all’originale il film che Kubrik ne trasse nel 1980, Shiningè patrimonio dell’immaginario collettivo.
    Altrettanto popolare, ma più elevato letterariamente, è certo The Turn of the Screw (Il giro di vite, Garzanti), di Henry James, dal quale sono stati tratti numerosi adattamenti, da quello di John Frankenheimer, del 1959, con Ingrid Bergman, a quello definitivo del 1961, con Deborah Kerr, diretto da Jack Clayton.
    Forse un po’ troppo freddo e letterario, ma certo un’altra pietra miliare del genere.
    Il pubblico più avveduto potrebbe anche ricordare Ghost Story, di Peter Straub, che in Italia venne pubblicato da Sperling & Kupfer ed ebbe pure un insipido adattamento cinematografico, meritevole di essere ricordato solo per il fatto di allineare Fred Astaire, Melvin Douglas e Douglas Fairbanks jr. fra i protagonisti. Il romanzo è un colossale (anche in termini di stazza) tributo all’opera di M. R. James, e se fallisce, nell’opinione di alcuni, è per aver mirato troppo in alto.
    Un po’ quello che accade col recente The Uncanny (Spettri, Longanesi e poi TEADue), del giallista Andrew Klavan, sul quale l’opinione di fallimento all’ultimo capitolo è più diffusa; Ghost Story ha i suoi onesti estimatori, The Uncannyno.


    L’autore di questo pezzo – considerando sia Hill House sia Hell House fuori concorso – propenderebbe per Haunted, dell’inglese James Herbert, pubblicato a suo tempo da Sperling & Kupfer col titolo di Stregata; prima di una serie di storie su un investigatore psichico che non crede all’esistenza degli spettri ma possiede il potere di percepirne la presenza, la storia riesce a mettere in gioco un livello di crudeltà paragonabile a quello del Belasco di Matheson, pur facendo leva su emozioni e motivazioni completamente diverse. E Our Lady of Darkness, di Fritz Leiber (pubblicato a suo tempo da Nord come Nostra Signora delle Tenebre) ha sempre un posto speciale nel nostro cuore e nelle nostre classifiche, ammesso che sia una storia di spettri.

    Ma la vera storia di spettri è breve.
    E la narrativa breve offre troppi titoli di qualità per permettere una selezione non diciamo di un solo titolo, ma anche di una decina di «fondamentali». Il fatto che le antologie abbondino, ma che spesso si basino su criteri discutibili o offrano traduzioni zoppe non è che una fonte di frustrazione per l’amante dello spettrale.

    Che tuttavia continua a cercare.

    da LN LibriNuovi out-of-print n. 31 – settembre 2004

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