Pubblichiamo questa recensione nel centenario della morte di Alfred Russel Wallace. Buona lettura!
Alfred Russel Wallace nacque, ottavo di nove figli, nel 1823 nel Galles. Durante un’adolescenza e una giovinezza piuttosto tribolate, a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia, ebbe modo di accostarsi, da un lato alle scienze della natura – imparò la botanica da autodidatta, per esempio – e, dall’altro alle idee sociali di Malthus e al socialismo utopistico di Owen. Dopo essersi impiegato come insegnante di inglese, aritmetica, agrimensura e disegno, conobbe il quasi coetaneo H. W. Bates, che sarebbe divenuto uno dei più importanti entomologi del secolo XIX, col quale iniziò un importantissimo rapporto sinergico di crescita scientifica che culminò con il primo dei due grandi viaggi compiuti da Wallace: dall’aprile 1848 all’agosto del 1852, dapprima con Bates e poi da solo, Wallace esplorò e raccolse ingenti quantità di dati e materiale naturalistico in Amazzonia, prima tra Pará e Manaus, poi lungo i corsi del Rio Negro e dello Uaupés. Sfortunatamente la nave su cui stava tornando in patria esplose in pieno Oceano Atlantico il 6 agosto e Wallace, che venne salvato assieme ad altri naufraghi da una nave di passaggio solo dopo dieci giorni di permanenza in alto mare, perse tutta la collezione che aveva accumulato in quattro anni di lavoro.
Due anni dopo, all’età di 31 anni, Wallace partì per il secondo, e più importante per la sua formazione e produzione scientifica, viaggio ai Tropici. Dall’aprile del 1854 all’aprile del 1862 percorse in lungo e in largo il Sud-est asiatico e in particolare l’arcipelago della Sonda, da Singapore al Borneo, dalle Molucche alla Nuova Guinea, anche qui raccogliendo materiale naturalistico e soprattutto dati e osservazioni.
La seconda parte della lunga vita di Wallace (che scomparve nel 1913) si svolse invece prevalentemente tra le mura domestiche in Gran Bretagna e fu in buona parte dedicata allo studio e all’elaborazione teorica.
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Alfred Russel Wallace |
Tale è l’impianto biografico sul quale si sviluppa il libro di Bueno Hernández e Llorente Bousquets. Su questa base si dipana nel volume un lungo e affascinante percorso storico scientifico che conduce il lettore attraverso il complesso di osservazioni, di speculazioni teoriche, di battaglie culturali che portarono il naturalista inglese a produrre alcuni dei più appassionanti contributi scientifici nell’ambito delle scienze della natura del XIX secolo.
Wallace è stato a lungo considerato, tra gli amateurs ma anche tra molti addetti a lavori non direttamente interessati alla sua figura, un personaggio minore nell’ambito degli studi naturalistici dell’Ottocento. Ironicamente si potrebbe affermare che la sfortuna principale di Wallace sia stata il concepire una teoria evoluzionistica molto vicina a quella di Darwin e praticamente in contemporanea con il padre dell’evoluzionismo moderno. L’aver poi lasciato molto modestamente a Darwin la paternità completa della teoria e l’essersi sempre riconosciuto pienamente nelle ipotesi darwiniane hanno fatto sì che si sia diffusa l’opinione che le idee di Wallace non abbiano rappresentato altro che lo sviluppo parallelo dell’evoluzionismo darwiniano. Lo stesso Stephen J. Gould, nel suo recente e monumentale testamento scientifico La struttura della teoria dell’evoluzione non riserva al naturalista gallese che poche e, tutto sommato, superficiali considerazioni.
Negli ultimi anni tuttavia, si è assistito a un fiorire degli studi e delle opere di divulgazione intorno alla figura e al pensiero di Wallace. La grande maggioranza di questi contributi, è apparsa, comprensibilmente, in lingua inglese e non ne è disponibile una versione italiana. Il volume di Bueno Hernández e Llorente Bousquets invece, a testimonianza anche della vivacità degli studi naturalistici e biogeografici in America Latina, è uscito in lingua spagnola ed è stato prontamente tradotto e edito in italiano a cura di Mario Zunino, biogeografo e entomologo all’Università di Urbino.
Situandosi, come si diceva, nella scia di un rinnovato interesse per Wallace, il libro in questione si muove agilmente tra la sponda della storia dell’investigazione «di campo» che il naturalista compì durante i due periodi di permanenza ai Tropici e quella dello sviluppo delle sue idee, in particolar modo nel campo della biogeografia. In effetti, Wallace, che si occupò, come era normale per i naturalisti ottocenteschi, di molti aspetti diversi della biologia, di entomologia e di evoluzionismo, di uccelli e di palme, lasciò il suo contributo fondamentale alle scienze della vita probabilmente proprio nel campo dello studio della distribuzione geografica degli esseri viventi.
Wallace, a partire da una critica serrata al creazionismo fissista, corroborata anche dalle personali convinzioni agnostiche e socialiste, dedicò una buona parte della sua vita di pensatore scientifico all’approfondimento delle teorie biogeografiche sviluppate in chiave evoluzionistica. I contributi del suo pensiero sono tuttora fondamentali in molti campi dell’indagine biogeografica, dalla discussione su significato e valore delle regioni zoologiche, al rapporto tra cambiamento geografico e cambiamento della vita, dal problema della dispersione e della colonizzazione di nuove aree geografiche alla questione (centrale per l’epoca di cui si parla) dell’esistenza di ponti continentali nel passato che spiegassero la distribuzione attuale degli organismi.
L’aspetto più stimolante del libro, tuttavia, soprattutto dal punto di vista del non specialista, non è tanto l’insieme dei problemi con cui Wallace si cimentò, ma il processo mentale e culturale che sottostà allo sviluppo del pensiero di Wallace. Fu, in effetti, un processo lungo, che portò il nostro naturalista ad abbandonare, nel corso del tempo, un dato modello di interpretazione dei problemi, definito «estensionista», per abbracciarne uno decisamente «permanentista», di stampo, tra l’altro, più nettamente darwiniano. In questo secondo modello, al contrario di quello estensionista, le caratteristiche geografiche della superficie terrestre venivano viste come sostanzialmente permanenti nel tempo e le distribuzioni delle specie giustificate soprattutto in termini di dispersione delle specie stesse nello spazio. Va ricordato a tale proposito che solo più di cento anni dopo sarebbe stata proposta una teoria, quella della tettonica a zolle, in grado di spiegare, chiaramente e una volta per tutte, i grandi cambiamenti strutturali della superficie terrestre.
Questo divenire del pensiero biogeografico ed evoluzionistico di Wallace, si diceva, è l’elemento più affascinante, e di valore generale, che si ricava dalla lettura del volume. Anche per questa storia umana e scientifica è possibile adoperare la definizione che applicò E. Mayr, notissimo evoluzionista del Novecento, allo sviluppo della teoria darwiniana: «un lungo ragionamento.
Alfredo Bueno Hernández, Jorge Llorente Bousquets
A cura di M. Zunino
L’evoluzione di un evoluzionista
Alfred Russel Wallace e la geografia della vita
Bollati Boringhieri, 2004, pp. 174, € 24,00
Trad. F Zunino