Nell’ormai lontano 2008 uscì un’antologia da Mondadori, curata da Sandrone Dazieri, editor di Licia Troisi (Cronache del Mondo emerso + Le guerre del Mondo emerso + numerosi altri libroni per qualche migliaio di pagine di fantasy rinunciabilissima) e scrittore lui stesso. Titolo: «I confini della realtà», collana Strade Blu, sottotitolo «Antologia del fantastico». La nota introduttiva del curatore non superava le 3000 battute, e questo era un brutto segno. Segno anche peggiore che l’unico riferimento – peraltro non letterario – sia quello alla (mitica ma ormai remotissima) serie televisiva «The Twilight Zone», presentata in Italia come «Ai confini della realtà».
Dieci gli autori convocati per l’antologia. Ma di questi soltanto tre gli autori di narrativa fantastica : la già citata Licia Troisi, Tullio Avoledo e Chiara Parazzolo. Eraldo Baldini, Gianni Biondillo e Marco Vichi sono prevalentemente autori di gialli e thriller. E gli altri?
Carla Vangelista è la coautrice con Silvio Muccino di Parlami d’amore [!], Violetta Bellocchio ha lavorato per Radio Rai2 e ha pubblicato qualche racconto di incerta natura, Pino Corrias è dirigente RAI e ha pubblicato qualche saggio, L’ultimo romanzo di Luca Di Fulvio, infine: La gang dei sogni, è un romanzo di formazione ambientato nell’America degli anni Trenta.
L’abito non fa il monaco, d’accordo. E poi qui siamo «Ai confini della realtà» ovvero nella zona grigia dove il reale e il fantastico si sovrappongono e si sostituiscono. Non c’è motivo per pensare che gli autori debbano per forza essere maestri o anche soltanto decenti conoscitori del fantastico.
Non c’è motivo per pensare, come no.
Però aiuta.
Aiuta a evitare al lettore ben 330 pagine per la maggior parte riempite di echi flebili di cose già lette. Aiuta a evitare Troisi che racconta una storia già letta mille volte – l’uomo rimasto solo al mondo – e risolta in maniera cervellotica e dilettantesca. A non rileggere lo svolgimento maldestramente contorto di una leggenda metropolitana – la bella autostoppista che lascia sulla propria tomba la giacca avuta in prestito da chi le ha dato un passaggio – perpetrato da Gianni Biondillo. Solo due esempi ma che rendono bene il tono e il livello dell’antologia.
Sandrone Dazieri |
A voler salvare qualcosa e qualcuno ci sarebbe Avoledo, autore di un racconto confuso, sbilanciato, steso con uno stile ultraomologato e con il consueto finalino a sorpresa, ma capace di qualche suggestione sia pure non troppo originale (tra P.K. Dick e John Saul) e Chiara Parazzolo con un racconto di gusto cyberpunk con un debito forse un po’ troppo ingente nei confronti di Matrix.
In quanto agli altri…
Svelto e curioso – ma inconsistente – il racconto di Bellocchio, scenografico e rumoroso ma gratuitamente assurdo quello di Corrias, grottescamente prevedibile (e piuttosto cretino) quello di Vangelista, irritante nella sua colta vacuità quello di Di Fulvio, semplicemente banale e logoro – troppo uso di un’idea già poco originale – quello di Baldini. Il racconto di Vichi, infine, non è poi tanto male. Peccato si tratti semplicemente di un raccontino giallo con colpo di scena finale come se ne potevano leggere su «Il giallo Mondadori» di molti anni fa.
Se questo è il quadro del fantastico contemporaneo italiano c’è veramente di che chiudere bottega e tornare a casa. Nulla da stupirsi o da eccepire se poi gli unici libri che escono sono noir de noantri o cloni fantasy di terza generazione. A mancare in questa antologia – ed è questa la scoperta più agghiacciante, il suo vero aspetto terrificante – è non solo l’assenza di idee originali ma la capacità puramente tecnica di condurre in porto efficacemente un racconto fantastico di trenta-quaranta cartelle. Non tanto e solo un problema « di stile » – anche se l’enfasi ermetica di Violetta Bellocchio e l’italiano affaticato e sciatto di Carla Vangelista sono discreti esempi di come NON si scrive – quanto un problema di «artigianato» e, prima ancora, di mancanza di riferimenti adeguati. I racconti di questa sciagurata antologia, in sostanza, mostrano quasi tutti una desolante afasia descrittiva – luoghi anonimi, personaggi stereotipi -, presentano storie inconsistenti o mal progettate e incongrue in rapporto alle dimensioni del testo previste. Montagne che partoriscono topolini, come nel racconto di Avoledo, o semplicemente topolini rachitici. In quanto alle chiuse, poi, prevalgono i finali a sorpresa ma ovvi e macchinosi, privi del dono di illuminare come un lampo notturno il paesaggio. Paesaggio comunque fin troppo usuale, dato per scontato fin dalle prime righe, insulso e anodino come in una pagina di Moccia.
Tullio Avoledo |
Il limite è probabilmente nell’intera operazione, concepita straccamente e condotta in modo approssimativo. Mal scelti gli autori – per la maggior parte del tutto estranei al fantastico e quindi almeno in parte incolpevoli del deficit di conoscenza dei suoi meccanismi di base – e poco curati i testi. Ma il problema vero e drammatico è che questa discutibile antologia costituisce l’unica concessione al fantastico senza aggettivi (quindi non fantasy o horror) dell’intera produzione mondadoriana dell’ultimo anno. Il lettore semplicemente curioso ne trarrà probabilmente conclusioni errate sul valore intrinseco della narrativa fantastica ed eviterà altri acquisti avventati. Un prezzo davvero troppo alto per lusingare qualche vanità.
Sandrone Dazieri (cur.)
I confini della realtà
A. Mondadori, 2008,
pp. 336, € 16,00
P.S.: piccola consolazione per noi appassionati di fantastico, il libro è uscito di catalogo molto rapidamente e per i masochisti è tuttora disponibile al 55% di sconto…