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    M. Toews – Un complicato atto d’amore

    • di Melania Gatto
    • Luglio 6, 2005 a 6:27 pm

    Miriam Toews
    Un complicato atto d’amore
    Adelphi
    € 16,00
    trad. M. Pareschi

    A rigore lo si potrebbe definire un romanzo di formazione. Un Bildungsroman, a volerlo dire come si comanda. La protagonista ha sedici anni, si chiama Nomi – contrazione di Naomi – e vive a East Village, anonimo paese sperduto nella prateria canadese.
    Sua madre, Trudie, è scomparsa una notte senza lasciare messaggi nè dare più notizie di sé. Partita poco dopo la partenza di Tash, sorella maggiore di Nomi. Se nella scomparsa di Trudie c’è qualcosa di misterioso in quella di Tash di mistero ce n’è assai poco. Tash è andata via con un tizio, semplicemente nauseata dalla vita morigerata, temperante e profondamente ipocrita della comunità mennonita che popola East Village.
    I mennoniti sono «la sottosetta più sfigata a cui si possa appartenere». Fondata da un certo Menno Simmons mezzo millennio fa in Europa e regolarmente perseguitata fino a fuggire in Canada è la tipica setta ultrareligiosa per la quale vale la pena di vivere una vita infelice nell’aldiquà per poi godere i benefici del sacrificio nell’aldilà. Comunque per avere un’idea di cosa sia l’immaginario credo mennonita vi basterà compilare mentalmente un breve elenco delle cose che vi divertono e quindi stabilire che tutte, senza eccezione, sono tranelli del Maligno.
    Ovviamente a East Village si vive male e si vive anche peggio se si hanno sedici anni. Lo zio di Nomi (e fratello della madre), Hans, è la Bocca di Dio, ovvero il predicatore della comunità. Intollerante e mellifluo, Hans pratica la lucida e ipocrita crudeltà dei tutti i fanatici religiosi. Infatti è incapace di dimostrare dolore per la scomparsa della sorella che giudicava già perduta.
    Nomi, rimasta sola con il padre, Ray, vivacchia, frequenta saltuariamente scuola e tempio, si mette con un ragazzo che se ne vuole andare appena possibile da lì e non smette di interrogarsi sul destino della madre e sulla scelta di Tash. Nel libro, scritto in prima persona, le descrive, le interroga, ne ricostruisce desideri e paure, speranze e insofferenze. Il padre, Ray, è un uomo tranquillo, probabilmente davvero un uomo pio. Incapace di giudicare e condannare e in apparenza rassegnato alla lenta autodistruzione della famiglia. Nomi gli vuole bene anche se pensa che è «la parte migliore della famiglia a essersene andata».
    Diversi autori nordamericani hanno scritto di fanatismo, insofferenza, ipocrisia delle piccole comunità di provincia autosegregatesi in un canone religioso oppressivo e onnipresente. Spesso il gusto polemico, il piacere del paradosso ha finito per prevalere sul racconto del quotidiano e sulla psicologia dei personaggi, sulle storture nate dal vivere dentro un universo etico elementare, dove esistono – come scrive Nomi – soltanto tre possibilità: «Essere buonissimi, essere cattivissimi o essere bravissimi nel fingersi buonissimi».
    Il libro di Toews non è l’ennesima versione del romanzo colto che prende per i fondelli i fanatici religiosi, è il racconto – a tratti atrocemente comico – di una gioventù forzata e dolorosa raccontato con i modi un po’ sommari e confusi di un’adolescente priva di punti di riferimento. Un ottimo libro con un finale eccellente.

    La versione completa di questa recensione apparirà nel numero 35 di LN-LibriNuovi in uscita nel mese di settembre 2005

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