Philip K. Dick
In senso inverso
Fanucci
€ 7,50
trad. P. Prezzavento
Un romanzo assurdo, completamente assurdo. Che anche a voler essere buoni non sta in piedi da nessuna parte. Eppure un gran libro, con quelle tre o quattro invenzioni che fanno perdonare tutte le assurdità che nemmeno il talento di Dick riesce a nascondere.
Sulla terra il tempo ha preso a scorrere in senso inverso. I morti risorgono dalle tombe, i vivi rimpiccioliscono fino a essere riassorbiti nell’utero e tornare anonimi ovuli e spermi. I libri pubblicati devono essere restituiti e cancellati, qualunque processo organico – compresi quelli legati all’alimentazione – debbono procedere in senso inverso.
La fase Hobart – come viene definito il processo – non si è ancora completata. Sulla terra coesistono i nati nel periodo precedente all’inversione e i rinati. Le compagnie di pompe funebri hanno adesso il compito di scavare per recuperare coloro che ritornano, mentre il desiderio sessuale incontrollabile di alcune donne è il sicuro indizio di un’imminente scomparsa.
In questo bizzarro mondo Sebastian Hermes, un rinato, conduce un Vitarium, ovvero una piccola società che ha per compito il recupero e la cura di coloro che sono appena ritornati dalla morte. Gli affari di Hermes non vanno troppo bene. Oltre a questo egli è innamorato di una donna parecchio più giovane di lui che, fatalmente, si avvia verso l’infanzia.
A Hermes capita una rinascita molto importante e molto pericolosa, quella di un leader politico-religioso il cui ritorno è atteso per motivi molto differenti da opposte fazioni politiche. Ente supremo del mondo inverso è la Biblioteca, istituzione divenuta fondamentale nel garantire l’ordinato procedere – anzi retrocedere – delle cose. Come spesso accade nei romanzi di Dick l’ente che riassume in sé il massimo potere procede per vie traverse e imperscrutabili e nasconde a tutti, ovviamente per il bene pubblico, il grado più profondo della realtà. A Sebastian Hermes, uomo mediocre, reduce dalla parentesi della morte che non è riuscito a renderlo migliore, il compito di affrontare senza comprenderle le regole rovesciate del mondo inverso.
Praticamente contemporaneo del capolavoro Ubik, Counterclock world è uno dei romanzi meno fantascientifici nella già poco fantascientifica produzione di Dick «Escursione nella dimensione del fantastico e nel gotico», scrive giustamente Carlo Pagetti nell’introduzione. Oltre a questo un romanzo votato in partenza al fallimento per l’impossibilità di raccontare in modo coerente e ragionevole un universo dal segno rovesciato. Ma i temi della rinascita, del ritorno, della necessaria morte di ogni trascendenza, della mediocrità di un ritorno annunciato, di una vecchiaia precoce e di un’infanzia tardiva sono largamente sufficienti a tenere il lettore incatenato alla pagina, un po’ incredulo e un po’ affascinato. Anche per me, che sono letteralmente invecchiata sulle pagine di P.K. Dick, risulta difficile spiegarmi il fascino di un romanzo tanto sghembo e assurdo. Posso solo supporre che il fascino nasca dalla capacità di ampliare il valore metaforico e straniante tipico della sf fino a lambire i territori della nascita e della morte, rendendoli curiosamente nuovi e inesplorati. Da questo punto di vista In senso inverso è un romanzo davvero esemplare nell’illuminare il percorso tipico della narrazione speculativa. Nulla di quanto ci circonda e che riteniamo familiare dev’essere dato per compreso in maniera definitiva. È sufficiente un perché privo di risposta a ricondurci all’inizio del gioco.