Il romanzo fu scritto tra il 1969 e il 1972 ma tenuto nel cassetto vista la certezza di essere sequestrato e assicurare il carcere agli autori. Vedrà la luce soltanto nel 1987, uscendo a puntate fino al 1989 sulle riviste Raduga e Neva. In italiano è uscito soltanto nel 2020 grazie all’impegno dell’editore Carbonio – al quale si deve un’altra importante traduzione, quella di Chiocciola sul pendio – e al lavoro del traduttore Daniela Liberti.
Si tratta di un romanzo di sf?
Diciamo che sulla base delle abituali griglie per inserire un romanzo in un genere o in un altro, La città condannata non può annoverarsi nella categoria “fantascienza”. Certamente fantastico – con qualcosa di buzzatiano nell’ambientazione e nella sensazione di straniamento capace di evocare nel lettore – spesso grottesco o sinistramente assurdo, kafkiano, in una parola, e anche paradossale e spesso tragicomico, ma senza nessuna possibilità di inserire la strana Città dove è in atto un Esperimento nel novero delle immagini tipiche della sf.
È importante?
No, non lo è.
Personalmente ciò che ho sempre amato della fantascienza è proprio la sua componente fantastica, ben regolata – o guidata o suscitata dal gusto per la speculazione scientifica – ma il mio peccato originale è nel piacere per il fantastico “puro e duro”, temperato da una cornice “razionale” ma apprezzabile anche nella sua apparente semplicità. “Apparente” perché il gioco del fantastico consiste proprio nel correre sul filo tra il reale e l’assurdo, l’inconcepibile e l’inatteso, un equilibrio che soltanto pochi autori – gente come Julio Cortazar, Henry James, E.T.A. Hoffmann, Leo Perutz, solo per citare i primi che mi vengono in mente, – sono in grado di mantenere per la durata di un racconto o di un romanzo.
La vicenda de La Città condannata prende le mosse da una situazione apparentemente prosaica: un gruppo di netturbini, tra i quali Andrej Voronin, un astronomo leningradese, svolgono il loro lavoro nella notte della Città, ovvero nel tempo che non è segnato dalla presenza di un grande sole che li illumina come una colossale luce al neon e che a intervalli relativamente regolari lascia posto al buio, «a un impenetrabile cielo scuro, privo di stelle».
La Città è parte di un Esperimento del quale ognuno dei cittadini proviene da un diverso luogo ma è comunque in grado di comprendersi, ognuno parlando nella propria lingua:
Ricorda tutte le volte che mi ha chiesto com’è possibile che uomini di diversa nazionalità riescano a parlare la stessa lingua senza sospettarlo minimamente? […] E come dimostrò a Kenshi che parlava russo, mentre Kenshi le dimostrò che era lei, invece, a parlare giapponese?
Cornice della vicenda è un luogo decisamente peculiare, una Città dove:
Piani di ammassavano su case e non c’era un solo edificio che somigliasse a un altro; poi divenne visibile l’incandescente Muro Giallo che, a destra, svettava verso il cielo, mentre a sinistra, negli spazi sopra i tetti, apparve uno spazio vuoto di colore blu, come se lì ci fosse il mare […]
Nella Città ogni mestiere è di durata limitata, facendo in modo che ognuno cambi frequentemente attività, così Andrej, il protagonista diviene dapprima un “inquirente” e in seguito un “redattore”, poi un “signor consigliere”, fino a guidare un’assurda spedizione a Nord, alla ricerca di una possibile e mitica “Anticittà” e dove incontrerà le statue, di ogni forma e dimensione, sfuggite ai propri basamenti e che vagano in un paesaggio onirico e allucinante.
Ma per giungere a questa chiusa Voronin dovrà affrontare e tentare inutilmente di risolvere i tanti problemi di una città che sopravvive senza un motivo preciso, simile a una rappresentazione in chiave stralunata di una località media dell’URSS, dove la coda per il cibo è un dato quotidiano, dove misteriosi babbuini mettono a rischio la vita di ogni giorno, dove un assurdo Edificio Rosso, capace di trasferirsi nottetempo da una via all’altra e nel quale avvengono enigmatiche scomparse, può turbare profondamente la vita dei residenti.
La Città è il luogo di un Esperimento del quale nulla è spiegato ma nel quale Voronin è uno dei tanti a confidare e a voler sostenere. A disposizione di ognuno c’è un’entità pronta a fornire suggerimenti e consigli di dubbia utilità, un Mentore che agisce:
Nell’interesse della bieca, oppressa, completamente innocente, ignorante maggioranza…
Ad affiancare Andrej e a sostenere – o boicottare – la sua ingenua, assoluta buona volontà, l’ebreo Ilja Katzmann, individuo ambiguo, grossolano o volgare, spesso puerile, ma raffinatamente acuto, ironico e sardonico, in grado di mettere profondamente in crisi le convinzioni di Voronin, Selma Nagel, la prostituta, dotata di una sua complessa dirittura morale e che irride le ridicole convinzioni di Andrej, gli ex-militari tedeschi, in primo luogo Heiger, in qualche modo fedeli alla città nel nome di una disciplina mai dimenticata e gli altri comprimari, Wang, Kenshi e il colonnello, che lo seguirà nell’assurda spedizione al Nord.
Non è difficile immaginare perché il romanzo rimase per più di vent’anni chiuso in un cassetto: il caos sociale e i tentativi patetici del buon Andrej di sostenere un Esperimento fallimentare, viene descritta dai due autori con amara e divertita precisione, tanto da risultare evidentemente intollerabile per il regime sovietico.
Il libro finì per uscire nel periodo della Glasnost, quando la censura comunista era divenuta impotente, a raccontare il fallimento definitivo dello scontro tra ordine e caos.
A conclusione del testo, una breve presentazione scritta da Boris Strugackij che racconta la storia non facile del romanzo e lo scopo fondamentale della loro opera, una risposta possibile alla domanda: «come si può vivere in una condizione di vacuum ideologico?»
Nel contempo fornisce al lettore alcune chiavi del carattere del protagonista:
[…] e che dire dello stesso protagonista, Andrej Voronin, un membro del Komsomol, un leninista, uno stalinista, un comunista ortodosso, un combattente per la felicità del popolo , che con tale disinvoltura e naturalezza si trasforma in un burocrate di alto livello, in un signorotto, in un capetto che fa l’elegantone e si abbuffa, in un arbitro dei destini umani? E di come […] diventa un buon amico e poi il compagno d’arme di un nazista matricolato, e di come si scopre poi quante cose abbiano in comune questi due antagonisti ideologici?
Un romanzo che merita l’attenzione del lettore affascinato dalla sua tensione filosofica e nel contempo appassionato da una narrativa fantastica non comune.
Arkadij e Boris Strugatckij, La città condannata, Carbonio 2020, coll. Cielo Stellato, (ed.or. 1988, 1989), € 18,00, trad. Daniela Liberti.
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