Ugo Bertone
Gli Agnelli, una storia che non finisce
(Boroli ed.)
Negli ultimi anni, l’agiografia mondano-industriale (quella per cui l’impresa è un viatico al salotto e il salotto funzionale all’impresa) ha visto le proprie quotazioni schizzare alle stelle grazie al materiale fornito più o meno volontariamente dagli esponenti delle due grandi famiglie del capitalismo italiano – gli Agnelli e i Berlusconi.
Ancora ferma quest’ultima all’ingombrante capostipite, la scomparsa della terza generazione degli Agnelli è stata invece motivo del fiorire di una densa letteratura che ripercorre successi e crisi della dinastia torinese e – soprattutto – dei suoi componenti.
Non così l’agile testo di Ugo Bertone, già giornalista del «Sole 24Ore» collaboratore de «La Stampa» e attuale direttore di «Borsa e Mercati»; il quale propone una rilettura attenta e spesso critica degli ultimi anni di Fiat visti sì attraverso i suoi protagonisti, ma ripresi in stretto rapporto funzionale con l’azienda. Di qua l’esigenza di non fermarsi solo agli Agnelli, ma di inserire impietosi primi piani di manager – da Ghidella a Morchio, passando per Romiti, ovviamente – e uomini di potere che a favore o contro di Fiat hanno giocato.
Interessanti gli spunti che offre Bertone: bastino in questa sede i due principali. Il primo è il rapporto simbiotico dei grandi gruppi industriali con le banche; per Fiat, il rapporto di amore e d’odio con Mediobanca, che impone un Romiti plenipotenziario e allontana Umberto Agnelli dalla stanza dei bottoni. Il secondo è il rapporto proprietà-management, laddove gli interessi degli azionisti non coincidono con le voglie e le ambizioni dei manager, e offrono reali colpi di scena come l’abbandono di Morchio l’indomani della morte di Umberto Agnelli.
Ne emerge una figura dell’Avvocato certo non sminuita nel carisma, ma adombrata da un’impasse decisionale e un rifiuto del conflitto causa di scelte – o non scelte – dimostratesi inopportune. Ma ne esce rivalutata soprattutto la figura del fratello Umberto, l’ultimo e forse unico vero capace manager – tenuto in disparte per giochi di potere politico e finanziario – espresso da una famiglia che oggi appare in grande crisi, ma a cui l’Italia e Torino sono ancora legatissime.