Deliri satanici e ossessioni dal diritto canonico alla fiction
Di qui alla II puntata
Parte seconda: The Exorciste il suo lemmario
2.1. Mr. Blatty, mr. Friedkin e il papa
Nella prima parte di questa relazione abbiamo visto come la percezione moderna di esorcismo e possessioni e la relativa spendita nell’ambito della fictionattingano a un ricchissimo, plurimillenario bacino di suggestioni. Ma un punto di svolta in questa storia è rappresentato dalla stagione dei primi anni Settanta, quando l’immaginario collettivo è fortemente colpito da un trittico di eventi ravvicinati: due artistici, cioè l’uscita del libro The Exorcist e la sua trasposizione su schermo, e uno pastorale, il famoso «discorso sul diavolo» di papa Paolo VI.
Il libroThe Exorcistdi William Peter Blatty appare nel ’71 ed entra immediatamente nella lista dei bestseller, restando per quasi sessanta settimane al primo posto1. La storia di Blatty, che ha studiato dai gesuiti e guarda al tema da un’ottica fondamentalmente cattolica2, finisce col riflettere più generali inquietudini del tempo sul tema del Male e sulla fragilità del mondo contemporaneo. All’origine della trama, si trova un episodio di veridicità oggi discussa, del quale Blatty ha avuto notizia proprio da amici legati alla Compagnia di Gesù: la presunta possessione di un quattordicenne, forse «Robbie», a Mount Rainier (Maryland) nel ’49, e l’esorcismo condotto dai padri William Bowdern e Raymond Bishop – una storia che in tempi recenti è divenuta oggetto della docufiction In the Grip of Evil di Charles Vanderpool, 1997, e del modesto film Possessed, di Steven E. De Souza, 2000. Blatty in realtà tratta l’episodio molto liberamente, ed è bene sottolineare come il suo romanzo veda concatenarsi eventi che nessun repertorio ha mai registrato tutti insieme (qualunque valore si dia, è ovvio, alle testimonianze). Un superesorcismo, insomma, che inscrive l’opera nel mondo della fictione non le attribuisce, come talora si è preteso, un valore di verità documentale. Anche se è vero che il romanzo, teso e letterariamente convincente, richiama con fedeltà non banale alcune categorie di mistero che interpellano credenti come laici, al di là del tentativo di risposta offerta.
Probabilmente in risposta a una certa perplessità dei fedeli a fronte del riemergere del tema demoniaco, l’anno successivo il papa stesso lo riprende con parole che suscitano scalpore e vastissimi echi di stampa. Il discorso che all’udienza generale del 15.11.1972 (e riportato sull’Osservatore Romano del giorno dopo) rompe anni di silenzio quasi imbarazzato delle gerarchie, ripropone la lettura tradizionale della Chiesa nei termini problematici propri dell’intellettuale Montini. La definizione di un’entità maligna, «essere spirituale vivente, corrotto e corruttore», viene ascritta a una dimensione di dramma cosmico e mistero rilevante ai fini di una vigilanza cristiana, senza diffondersi in più specifiche (e azzardate) analisi angelologiche. Ancora a distanza di anni il testo risulta interessante per un approccio linguistico problematico e «nuovo» rispetto a quello che in genere tornerà in documenti e pronunzie magisteriali.
E finalmente alla fine del ’73 – più precisamente il giorno dopo Natale – appare il film di William Friedkin, la cui lavorazione è in realtà iniziata vari mesi prima del discorso del pontefice (primo ciak 14.8.1972). È difficile comprendere oggi appieno l’impatto che «La più bella storia d’amore mai raccontata», come la definirà Ray Bradbury, reca all’epoca sul pubblico. L’uscita di The Exorcist(in Italia L’esorcista) dà la stura a un moltiplicarsi di reportage e analisi sulla materia; tra gli effetti collaterali, la diocesi di Chicago viene sommersa da richieste di esorcismo, e ancora parecchi anni dopo la programmazione televisiva del film vedrà impennate di contatti allarmati coi vescovadi. Curiosamente, una parte vivace e attenta della critica italiana dell’epoca travisa il film, bollandolo come polpettone clerico-reazionario e fascista: e rimando senz’altro ai lucidi interventi che Danilo Arona ha dedicato alla «riscoperta» di questo capolavoro del Novecento3. Che non soltanto influenza profondamente il cinema horror, ma riesce a mettere a nudo i fantasmi del sociale e la libido demoniaca della società dello spettacolo in cui tutti oggi viviamo. The Exorcistrappresenta l’irruzione sugli schermi di un disagio che colpisce il pubblico al di là di ogni fede o cultura, l’espressione artistica di un Male che una società postcristiana continua a temere e va molto al di là dello specifico teologico.
Un risultato che, va detto, è in gran parte dovuto alla straordinaria regia di Friedkin, fortemente voluto da Blatty che a sua volta cura la sceneggiatura. Per il ruolo della posseduta, Regan Theresa MacNeil, è arruolata la giovanissima Linda Blair; ma la voce del demonio fluisce dalle labbra di Mercedes McCambridge, al cui timbro verrà mixata una registrazione, abbastanza malriuscita, tratta da un vero esorcismo. Per il sacerdote anziano padre Lankester Merrin, è convocato il carismatico – e agnostico – Max Von Sydow; il giovane padre Damien Karras trova invece il viso tormentato del commediografo Jason Miller4, nonostante Jack Nicholson aspirasse alla parte. A interpretare Chris MacNeil, madre di Regan, è poi Ellen Burstyn, e per padre Dyer viene chiamato il reverendo William O’Malley – lo stesso che, per la tensione creatasi tra i lavoranti, sarà richiesto di un esorcismo e finirà con l’impartire una più semplice benedizione sul set. E infine Lee J. Cobb interpreta il detective tenente William Kinderman – una figura che, secondo Blatty, risulterà di diretta ispirazione per il tenente Colombo5.
Proprio per i contraccolpi emotivi che la lavorazione reca – e che vengono amplificati, ovviamente, per motivi pubblicitari – si enfatizzeranno voci su incidenti e decessi più o meno legati al set. E tutto contribuirà a rendere The Exorcistun film-leggenda, che in ogni caso avrebbe cambiato la storia del cinema.
Non è questa la sede, ovviamente, per un’analisi della pellicola – sulla quale si sono cimentati saggisti delle più varie discipline. Interessa invece almeno un sintetico esame di concetti e parole-chiave dell’opera: quelli, in sostanza, dell’esorcismo regolamentato dalla Chiesa cattolica, e che da The Exorcisttransiteranno in modo più o meno travisato in un impressionante profluvio di scongiuri su grande schermo.
2.2. Esorcismo / esorcista
Nell’opera di Blatty & Friedkin compare – come spesso nella fiction – un tandem di due «buoni», un personaggio anziano e fisicamente fragile e l’altro giovane (in qualche modo) suo discepolo: in questo caso i padri Merrin e Karras. E il primo è anche un archeologo, nel nord dell’Iraq, a rinnovare radicalmente il topos dell’horror per cui scavi di antiche rovine rappresentano il prequel d’inconcepibili orrori. In ogni caso il ruolo liturgico dell’esorcista, largamente dimenticato al tempo del romanzo di Blatty, trova col film una sorta di pubblico riconoscimento.
Il termine esorcismoviene dal greco exorkìzein, in riferimento a òrkos, «giuramento (imposto a un demone)», e in relazione / opposizione a eporkìzein «chiamare dall’alto», nel senso dell’invocazione del Dio. In termini generali può definirsi come un insieme di pratiche e riti per scacciare una presunta presenza demoniaca (sul concetto di demonedovremo tornare) da una persona, un animale, un luogo. Oppure, più analiticamente, come uno scongiuro contro il demone per obbligarlo ad evacuare un luogo, ad abbandonare una situazione, a ridare la libertà a una persona tenuta più o meno in suo potere, sia sotto forma di ordine in nome del Dio – cioè con formula imperativa – sia sotto forma di supplica al Dio – cioè conformula deprecativa o invocativa. Come vedremo, la distinzione tra le due formule assume rilievo nell’ambito di un attuale dibattito tra operatori e gerarchie ecclesiastiche.
Nello specifico della Chiesa cattolica, l’esorcismo è una preghiera con cui la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e sottratto al suo dominio. Più precisamente si tratta di un sacramentale (non un sacramento), e come tale la sua efficacia dipende dalla fede di chi lo amministra, di chi lo riceve e delle persone presenti. La sua pubblicità, richiesta sia per la dimensione comunitaria di cui il rito è espressione, sia per un’ovvia prudenza verso abusi e ambiguità, non può dunque tradursi in una spettacolarizzazione davanti a semplici curiosi.
L’esorcismo è attualmente normato da un solo canone del Codice canonico, il 1172 (che peraltro non lo definisce) e da un testo regolamentare, frutto di una rielaborazione plurisecolare di cui già qualcosa si è detto nella prima parte di questo intervento.
Il canone 1172 suona: «1. Nessuno può legittimamente condurre esorcismi sugli ossessi, se non abbia ottenuto dall’Ordinario del luogo [cioè il vescovo]una peculiare ed espressa licenza. 2. Questa licenza sia concessa all’Ordinario del luogo a un prete dotato di pietà, scienza, prudenza e integrità di vita.»Il riferimento alla «peculiare ed espressa licenza» guarda essenzialmente al cosiddetto «grande esorcismo» per i posseduti e a una parte di quello di Leone XIII, dunque per gli altri riti liberatori si è in genere riconosciuta competenza a qualunque sacerdote. E nessun problema sorge ovviamente per gli elementi esorcistici – in senso lato – presenti nei sacramenti e in parecchi riti di sacramentali, elementi peraltro già ridotti dalle riforme liturgiche.
Per ciò che attiene al regolamento, gli ultimi anni hanno visto succedersi testi diversi, a partire dal vecchio Rituale romanumdel 1614. Questo, edito per l’ultima volta nel 1952, aveva subito nel corso della sua storia varie modifiche: e la più significativa risale al tempo di Pio XII, quando i sintomi di possessione esemplificati nel testo vennero qualificati come indizi possibili, anziché prove sicure. Si sottolineava così la necessità di un discernimento che poggiasse su un quadro diagnostico globale, in cui il punto focale risulterebbe costituito dall’avversione verso il sacro: e con questa precisazione, i criteri sono transitati senza modifiche nel nuovo rito. All’epoca di The Exorcist è dunque ancora in pieno vigore il Rituale romanum, e a quello fa riferimento gran parte del cinema in materia di esorcismi.
Si sollecitava però la revisione di un testo tanto vecchio: e, per il nostro Paese, nel 1991 viene concesso alla CEI e distribuito ai vescovi e ai sacerdoti da loro incaricati un Rito degli esorcismi ad interim in lingua italiana. Sette anni dopo, nel 1998, arriva finalmente il nuovo rito nell’edizione tipica latina con il titolo De exorcismis et supplicationibus quibusdam, che rivede e sostituisce il Titulus XII del Rituale romanum; e nel 2001 tale regolamento è recepito dalla CEI.
Il nuovo rito incontra però forti contestazioni tra gli esorcisti, dei quali si fa portavoce il decano padre Gabriele Amorth. Pur apprezzando il testo nella parte teorica, sull’inquadramento teologico del sacramentale, gli operatori rimproverano al nuovo rito alcune pesanti pecche, imputate all’ignoranza pratica in materia da parte della Commissione incaricata. A partire dal divieto di celebrare esorcismi in caso di maleficio – nel quale la Commissione mostra così di non credere – mentre, secondo gli operatori, nel novanta per cento dei casi la possessione dipenderebbe da simili cause magiche.
Altre critiche riguardano la previsione secondo cui «Il sacerdote esorcista procederà alla celebrazione dell’esorcismo nella forma imperativa solodopo aver raggiunto la certezza morale sulla reale possessione diabolica del soggetto. Nel discernimento si servirà innanzitutto di criteri tradizionalmente seguiti per individuare i casi di possessione diabolica […]e potrà avvalersi del confronto con sacerdoti esorcisti di consolidata esperienza e, in alcuni casi, della consulenza di persone esperte di medicina e di psichiatria. Di fronte a disturbi psichici o fisici di difficile interpretazione il sacerdote non procederà al Rito dell’esorcismo maggiore, ma accoglierà ugualmente le persone sofferenti con carità, le raccomanderà al Signore e le inviterà a servirsi delle preghiere previste dal “Rito degli esorcismi” per l’uso privato»(n. 12). Dove, col lodevole intento di non aggravare un caso clinico inducendo psicosi demoniache o peggiorandole, viene impedita la pratica – che gli operatori giudicano invece importante – di utilizzare l’esorcismo per smascherare la presenza demoniaca.
E ancora, padre Amorth e confratelli biasimano l’omissione di riferimenti all’antico uso dell’interrogatorio del demone, che risulterebbe invece fondamentale per conoscere nome, numero, tempo di uscita degli invasori. Ed è appena il caso di rammentare quanto il dialogo col demone in The Exorcistcostituisca una fondamentale parte drammatica della vicenda.
Sempre nel senso della scarsa funzionalità del nuovo rito giocherebbe poi la sottolineatura al n. 13 del regolamento: «Molto opportunamente, in una visione di fede, il “Rito degli esorcismi”dispone che la formula deprecativa o invocativa […]sia ritenuta prioritaria rispetto a quella imperativa […]. Esso prescrive infatti: “L’esorcista dice la formula invocativa dell’ esorcismo maggiore. Se lo ritiene opportuno, aggiunga anche la formula imperativa”». E la tensione a riportare quanto più possibile il sacramentale all’ottica della preghiera viene contestata dagli operatori sulla base di una ben diversa efficacia della formula tradizionale imperativa, che enfatizza l’aspetto del combattimento con lo spirito possessore.
Se l’osservatore esterno non può che rimanere perplesso da questo tipo di dibattito, a seguito delle lamentele si è permesso all’esorcista, in forza di una separata Notificatio, di usare ancora il rito vecchio qualora il suo vescovo ne abbia domandata facoltà alla Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti.
Per quanto poi attiene al profilo dell’operatore, il regolamento riecheggia le parole del Codice canonico: «Ministro del Rito dell’esorcismo è esclusivamente un sacerdote che per la sua pietà, scienza, prudenza e integrità di vita sia ritenuto dall’Ordinario idoneo a tale ministero e da lui espressamente autorizzato ad esercitarlo»(n. 11). Ed emblematica nel connotare la figura dell’anziano esorcista del film è la scena in cui padre Merrin, mentre attorno succede di tutto, riesce a soffermarsi con delicatezza su quanto sia bello il nome «Theresa» della ragazzina.
2.3. Infestazione / ossessione / possessione
Secondo la lettura tradizionale, la presenza demoniaca può recare tipi diversi di disturbo, a partire dalla tentazioneordinaria. Il passo seguente sarebbero le cosiddette idee dominanti, idee fisse nella quotidianità; ma per i successivi si entra nel campo dello straordinario. Tale è anzitutto il caso della vessazione– tramite fastidi fisici, pruriti, graffi, ecc. – e, in prosieguo, dell’ossessione, o infestazione personale. In quest’ultimo caso il demoneriuscirebbe a impossessarsi della persona (obsedeocome «sedersi comodamente, da padroni») e strumentalizzarla al di là della sua volontà, eccitandone le forze fisiche in grado superiore alla normale portata, ma ancora senza un totale controllo. Val la pena rammentare quanto simili motivi abbiano trovato fortuna nell’arte: il tema delle tentazioni di sant’Antonio ha sviluppato alla massima latitudine questa costellazione di fattispecie, costituendo una di quelle strutture-tipo che nutrirono per secoli un fantastico pittorico con forti e originalissime venature orrifiche.
Si parla invece di infestazione localequando l’influsso demoniaco operi su una casa, una camera, o anche uno spazio aperto, attraverso rumori, grida, odori nauseanti, immagini tetre, secrezioni dai muri. Anche su questo tema si è avuta una grande ricchezza di sviluppi artistici, soprattutto nella fiction cinematografica che ha recepito e sviluppato al massimo grado tutta una letteratura su case infestate da spiriti variamente minacciosi.
E contro tali tipi di influssi demoniaci il rituale ha previsto tipi «minori» di esorcismo, in particolare il cosiddetto «piccolo esorcismo» del vecchio Rituale per le infestazioni locali.
Quando invece il demone riesca a prendere possesso in forma completa di un soggetto umano, inibito per tempi più o meno lunghi nel disporre delle proprie funzioni psichiche, si avrebbe la possessione. Nell’antica prassi liturgica i posseduti erano definiti energumeni, da «agire all’interno, agire su»: e il riferimento è in genere a un soggetto umano vivo. La tradizione ricorderebbe in effetti casi di possessione sia di cadaveri – ciò che fornì in passato a certi demonologi una chiave di interpretazione per il vampirismo – sia di animali, come il famoso branco di maiali dell’episodio evangelico, che aprono tuttavia a problemi complessi non affrontabili in questa sede. E proprio contro la possessione si rivolge quello che sotto il vecchio Rituale si definiva il «grande esorcismo».
Per quanto attiene alla sintomatologia della possessione, una teoria sistematica si sviluppa solo lentamente: basti pensare che per Guglielmo di Alvernia, morto attorno al 1200, possono bastare semplici convulsioni. Certo i resoconti medioevali appaiono infarciti di elementi sensazionalistici e motivi apologetici, teologici, persino politici; e tuttavia l’uso di protocollare meticolosamente i decorsi (spesso con un notaio autorizzato) ha caratteri di pionierismo in campo medico, e si presenta di enorme interesse per la storia della medicina, la sociologia, nonché ovviamente la psichiatria. Alcuni elementi registrati dai resoconti, peraltro, accomunerebbero ambiguamente esperienze estatiche di ispirati e stati di possessione: si pensi al cosiddetto «parlare le lingue» e alle levitazioni. D’altra parte l’esorcista, ammoniva il Rituale romanum, «In primis, ne facile credat», parole ripetute nella traduzione letterale nel nuovo rito: e i principali sintomi ravvisati dalla tradizione e confluiti – in termini indiziari – nel regolamento odierno sarebbero tre.
A partire dalla xenoglossia, quando cioè il soggetto risulti in grado di condurre un dialogo in una lingua che non conosce; il che però differisce dalla glossolalia – i farfugliamenti estatici – e dalla criptoamnesia, in cui il soggetto semplicemente non ricorda di aver appreso i relativi rudimenti linguistici. Il secondo indizio sarebbe poi rappresentato dalla conoscenza di cose lontane e nascoste, tali in sostanza che il soggetto non possa averne notizia; e il terzo da forze fisiche innaturali rispetto a sua età e condizioni. Una posizione particolare rivestirebbe peraltro l’avversione al sacro; e la dottrina enumera altri indizi minori di tipo sensorio / fisiologico o invece paranormale, ma sempre in riferimento a una particolare «tonalità» maligna delle manifestazioni. Nel riproporre «Secondo una prassi consolidata» i tre criteri principali, il nuovo testo specifica: «Si tratta […]di segni che possono costituire dei semplici indizi e, quindi, non vanno necessariamente considerati come provenienti dal demonio. Occorre perciò fare attenzione anche ad altri segni, soprattutto di ordine morale e spirituale, che rivelano, sotto forma diversa, l’intervento diabolico. Possono essere: una forte avversione a Dio, alla Santissima Persona di Gesù, alla Beata Vergine Maria, ai Santi, alla Chiesa, alla Parola di Dio, alle realtà sacre, soprattutto ai sacramenti, alle immagini sacre. Occorre fare attenzione al rapporto tra tutti questi segni con la fede e l’impegno spirituale nella vita cristiana; il Maligno, infatti, è soprattutto nemico di Dio e di quanto mette in contatto i fedeli con l’agire salvifico divino». Resta il fatto che si tratti di un giudizio di coscienza dell’esorcista dopo che siano state esperite tutte le cure psichiche, e non mancano casi di operatori che ammettono di non essersi mai imbattuti in un vero caso di possessione. E va rammentato che per i casi di scissione della personalità e personalità multipla, l’unità del concetto di sé non è affatto data come qualcosa di immutabile, ma dipende da tutta una serie di fattori psico e sociodinamici.
Delicato è il tema della responsabilità morale del soggetto perseguitato: l’agiografia riporta interi cataloghi di santi offesi fisicamente e psichicamente da presenze demoniache. In generale si tende a ravvisare forme di responsabilità nei casi delle idee dominanti e delle infestazioni – anche se, per quella locale, potrebbe trattarsi piuttosto della traccia di eventi «gravi» avvenuti sul posto, come un vecchio suicidio. Tra le cause dirette – almeno le più frequenti – gli esorcisti annoverano forme varie di fragilità spirituale, per appassimento della fede o condizione abituale di peccato, e l’adesione a superstizioni, pratiche magiche o spiritistiche, o a maggior ragione culti satanici. Tra le cause indiretteravviserebbero invece fatture e malefici (di legamento, amatorio, venefico, ecc.); oppure maledizioni – essenzialmente da parte dei genitori, da parte del povero (che in quanto tale troverebbe particolare ascolto innanzi a Dio) o di operatori del sacro. Su quanto simili convinzioni appaiano discutibili e vengano contestate all’interno della stessa Chiesa cattolica già si è accennato. Mentre in The Exorcistla presenza di una tavoletta Ouija con cui la ragazzina si è dilettata di giochetti spiritistici finisce col catalizzare tutta una più ampia situazione familiare di freddezza e superficialità.
2.4. Diavolo / demoni
Qualche parola va detta poi sul fronte di un’identità demoniaca: a partire dalla distinzione scritturistica tra il diavolo o Satanache vediamo tentare Gesù, e i demoni che paiono offendere le sfere della psiche e del corpo ma senza un vero potere morale. Benchè la lettura tradizionale – cui gli esorcisti guardano – utilizzi i termini «diavoli», «demoni» o «spiriti impuri» come sinonimi, non manca in teologia che distingue tra un diavolo-realtà teologica e una molteplicità di demoni espressione di oscure patologie psichiche. Con tutta la problematicità, beninteso, di una persona diaboli a fronte della creatura che il giovane teologo Ratzinger nel 1974 definiva come non-persona, disgregazione, dissoluzione della persona, senza faccia e forte della propria inconoscibilità – e tanto più considerando come il significato etimologico di personasia in realtà quello di «maschera». Ma la formulazione probabilmente più felice resta in fondo quella de Il nuovo catechismo olandese: «Satana è la malvagità che fa rabbrividire e che vediamo agire nell’umanità e la cui malizia supera spesso in tal modo la malizia individuale che non possiamo fare a meno di domandarci: qual forza è dunque qui all’opera? È una potenza puramente umana?»(Elle-Di-Ci, Torino-Leumann 1969, p. 583). Un doppio interrogativo che il redattore Edward Schillebeeckx «non ha ritenuto di forzare, pur mantenendo aperta la forza allusiva» (Italo Mancini, Commiato dal diavolo, in: L. Kolakowski, La chiave del cielo – Conversazioni con il diavolo, Queriniana, Brescia 1982, p. 43). E che incontra lo sguardo dell’agnostico Friedkin nell’evocare la cifra di un male-mistero, sepolto nei nostri cuori o levigato come una maschera oscura sui nostri stessi volti.
Del resto nella cultura della Palestina di Gesù il termine «demone» svela una babelica ampiezza semantica, abbracciando fenomeni diversi. Già nell’antico mondo biblico troviamo tutto un fiorire di realtà «demoniache»: lo Sheol dei morti, l’Abisso Tehom, la «peste che cammina nelle tenebre» e il «contagio che infierisce a mezzogiorno» (Salmo 91,5), demoni notturni o meridiani responsabili di certi malanni, ecc., in termini di estrema ambiguità semantica. E non si può che rimandare al già citato Satana, una biografiadi Henry Ansgar Kelly, che felicemente conduce il lettore nel ginepraio delle equivocità filologiche legate al diabolico.
Senza comunque pretendere di tracciare in poche righe un Bignami della demonologia, il transito degli spiriti maligni dalle convinzioni dell’antico Israele alla lettura cristiana li inquadra come verità «marginali», ai limiti del Messaggio e insieme dell’orizzonte cosmico. E l’unica dichiarazione dogmatica della Chiesa in materia è quella del capitolo Firmiterdella professione di fede del Concilio Lateranense IV (1215), sulla temporalità e caduta volontaria degli agenti del male, nell’ambito della condanna del dualismo cataro: «Crediamo fermamente e confessiamo apertamente che uno solo è il vero Dio. […]Con la sua forza onnipotente fin dal principio del tempo creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature: quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre, e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo. Il diavolo, infatti, e gli altri demoni da Dio sono stati creati buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi. L’uomo poi ha peccato per suggestione del demonio»(DS 800).
Come dice Dostoevskij, «i demoni esistono indubbiamente, anche se il modo di intenderli può essere abbastanza vario». Dove però l’ambiguità tra patologia, presenza altra, schegge impazzite di personalità alternative, fenomeni parapsichici e relative zone d’ombra non sposta la questione fondamentale: che resta in fondo la sofferenza del posseduto, con o senza virgolette, alla ricerca di una risposta adeguata dopo il fallimento di ogni altra terapia. E che cerca una risposta nel linguaggio profondo a lui adeguato.
(3 – Continua)
1 Per l’ultima edizione italiana, cfr. William Peter Blatty, L’esorcista, collana Fuori Collana, Fazi 2009.
2 Sull’autore, fondamentale il testo American Exorcist. Critical Essays on William Peter Blatty a cura di Benjamin Szumskyi, McFarland & Company, Inc., Publishers, Jefferson, North Carolina, and London, 2008, comprensivo di uno scritto di Davide Mana. Certo sarebbe limitante ridurre il complesso della produzione blattyana al titolo più noto, e il volume offre un prezioso scandaglio anche su opere non conosciute in Italia.
3 In particolare, si veda il volume di Danilo Arona e Daniela Catelli, L’esorcista. Il cinema, il mito, Falsopiano 2003. Cfr. anche Daniela Catelli, L’esorcista – 25 anni dopo, Puntozero 1999, e Michel de Certeau, La lanterna del diavolo. Cinema e possessione, Medusa 2002.
4 Il tema dell’esorcista che si lascia invasare per liberare la vittima – come accade a padre Karras – richiama il caso storico di padre Jean-Joseph Surin, spedito a Loudun dopo il rogo dello sventurato parroco Grandier, e che si offrì per espiare i sacrilegi consumati nel villaggio. Per più di vent’anni sarà vittima di sofferenze indicibili, della cui natura ovviamente si discute ancora.
5 Merita rammentare che la colonna sonora include brani del compositore polacco Krzysztof Penderecki, già autore della citata opera in tre atti Die Teufel von Loudun (1969).