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    Aria

    Underground di Murakami Haruki

    • di Davide Mana
    • Luglio 17, 2015 a 12:51 pm

    underground
    Nota: questa recensione è stata condotta sulla traduzione in lingua inglese del testo di Murakami, pubblicata nel 2001 da Vintage Books con il titolo Underground, The Tokyo gas attack and the Japanese Psyche.

    Corridoi bui e luoghi sotterranei appaiono con frequenza nell’opera di Haruki Murakami.
    Ci sono i corridoi del Dolphin Hotel in Sotto il segno della pecora e in Dance Dance Dance, ci sono i pozzi del presente e del passato che fanno da filo conduttore ne L’uccello che girava le viti del mondo.
    Era solo questione di tempo, quindi, perché un testo intitolato Underground si aggiungesse alla collezione dei lavori di Murakami.
    Ma Underground non è un libro come tutti gli altri.
    Underground è la storia di un pessimo lunedì.
    In seguito all’attentato con il gas Sarin nella Metropolitana di Tôkyô il venti marzo 1995, abbandonata brevemente la narrativa, Murakami indossò i panni dell’investigatore chandleriano a lui così cari e, rintracciati dopo un anno i protagonisti, volontari e involontari, dell’attacco, pubblicò un primo volume di interviste alle vittime nel 1997 e un secondo volume, di interviste ai discepoli del santone Shoko Asahara, nel 1998.
    Non è un’accoppiata casuale – il più surreale narratore giapponese alle prese con uno dei più surreali eventi del XX secolo. Quella ricostruita da Murakami è una storia degna del miglior Ballard, fatta di quotidianità stravolta, di profezie di serie B, una insana collisione fra valori tradizionali abbandonati e nuovi valori latitanti.
    Se esiste un lato oscuro, un’area sotterranea della mente dell’uomo moderno, i fatti di Tôkyô 1995 ne rappresentarono una prima, prepotente eruzione nella quotidianità.
    Come sappiamo, non l’ultima, né la più devastante.
    Curioso, in un certo senso, che il libro esca proprio ora, a sei anni di distanza dalla pubblicazione originale, quasi che gli editori nostrani lo avessero schedato alla voce «gas nervini & guerra santa», argomenti per i quali c’era poca richiesta, finché i recenti avvenimenti politici e bellici non hanno causato una proliferazione di instant-book.
    Dobbiamo forse all’operazione Enduring Freedom la pubblicazione in italiano di un libro che in tutto il resto del mondo era uscito da almeno tre anni? Chissà.
    L’opera di Murakami cronista/investigatore non si allontana quindi molto dall’opera di Murakami narratore d’invenzione.
    Pur non raggiungendo le vette fantastiche dell’eccellente e pluripremiato Ghostwritten (David Mitchell, 2001), altro volume che prende le mosse da quel particolare lunedì di marzo 1995 (e che da noi non si è ancora visto, complice la solita editoria sonnacchiosa), Underground vuole esplorare più un paesaggio mentale sotterraneo che non la sotterranea rete di ben reali gallerie della Metropolitana di Tôkyô.

    HARUKI MURAKAMI

    Murakami Haruki

    Cammin facendo, Murakami demolisce alcuni miti che l’occidente ama coltivare sul Giappone: i soccorsi si rivelano inefficienti, le strutture mediche quasi ostili alle vittime, le vittime stesse, molte delle quali vennero ricoverate solo giorni dopo l’evento, troppo intente a proseguire con la propria vita per curarsi dell’essere state soggetti di un attentato. Prima dell’attentato, la società giapponese non è in grado di offrire un’alternativa alle promesse assolutamente demenziali del santone Shoko Asahara, e il sistema scolastico ha preparato le giovani generazioni a ubbidire ai superiori, sostituendo la lealtà al più elementare istinto di autoconservazione. Dopo l’attentato mancano gli strumenti che permettano a vittime e attentatori di fare proprio l’evento, avviando un processo di cicatrizzazione.
    Il risultato complessivo è il caos.
    Le vittime sono un campione casuale della popolazione di Tôkyô, individui accomunati dalla necessità di portare a termine il proprio impegno – andare al lavoro, fare la spesa, andare a scuola – nonostante l’incidente fortuito capitato sulla loro strada.
    In una perfida parodia del karoshi, la morte per superlavoro che affligge i salarymen giapponesi, anche avvelenati dal Sarin (gas sviluppato dai Nazisti e quindi, come prevedibile, spaventosamente efficiente) gli uomini e le donne di Tôkyô si recarono sul posto di lavoro, tenendo duro nonostante il dolore, la tosse, le difficoltà respiratorie e la crescente cecità, chiedendo infine scusa al senpai per la necessità di dover essere ricoverati d’urgenza.
    C’è curiosità fra i colleghi, e fra i passanti, ma le ambulanze arrivano con novanta minuti di ritardo ed intanto nessuno si ferma, neanche chi sta male, comunque, mentre a casa tutti guardano la diretta TV.
    Questo è il caos, quello vero.
    L’atteggiamento delle vittime verso i membri del culto Aum Shinrikyo (Suprema Verità) è vario e inaspettato. Uguali parti di responsabilità vengono attribuite ai media, alla polizia, ai servizi paramedici, agli astanti disorientati. Uno degli intervistati arriva a definire la partecipazione del culto agli eventi come «marginale». È come se la confusione scatenata dall’attacco coi gas nella metropolitana si fosse diffusa anche nelle strade di Tôkyô, nelle menti dei giapponesi.

    Aum-Shinrikyo

    Il simbolo di Aum Shinkryo

    I membri del culto, dal canto loro, sono un altro campione casuale di popolazione, quasi una copia conforme delle vittime, a cominciare dalla confusione evidente.
    Di varia estrazione, di solida educazione, sono persone per qualsiasi altro verso «a posto».
    Desideravano la vita eterna, il potere, la capacità di volare o di comunicare telepaticamente con i propri compagni, e il guru aveva promesso loro tutto questo e molto di più.
    Forse desideravano solamente un’esperienza spirituale «forte», suggerisce l’autore.
    E se le vittime sono accomunate da un senso un po’ surreale del dovere, i cultisti si distinguono per la propria dedizione al leader e per la ferma convinzione che quanto promesso si avvererà; per questo motivo molti degli intervistati arrivano a condannare l’attentato pur restando fedeli a Shoko Asahara e al suo insegnamento.
    Si tratta di persone intelligenti, di giovani con tutte le carte in regola per affermarsi nella società giapponese, o, forse ancora più drammaticamente, di individui adulti che tale affermazione pubblica avevano vissuto in passato; uno degli attentatori è un affermato medico, già membro del Ministero per la Scienza e la Tecnologia. Molti suoi compagni di culto provenivano dalla prestigiosa Università di Tôkyô, erano stati parte della intelligentsia nipponica, o avevano stretti legami familiari con la classe dominante.
    Erano i migliori, ed erano intenti a creare una società ideale, lontana dal consumismo e più fortemente spirituale.
    Si limitarono a gasare alcune migliaia di innocenti poiché era in gioco una guerra santa.
    La distruzione di massa come strumento per la ricerca del trascendente.
    Niente di nuovo, potremmo dire.
    In seguito ai fatti del 1995, Shoko Asahara venne arrestato, le immagini della sua cattura mostrate al pubblico con in sottofondo la cupa marcia che nei film Guerre Stellari accompagna il malvagio Darth Vader e il suo ancor più malvagio Imperatore.

    shoko asahara

    Shoko Asahara

    Come se il pubblico avesse bisogno di una chiara etichetta, una sorta di battesimo mediatico per un nuovo supercattivo.
    Il culto Aum Shinrikyo esiste ancora, e continua a gestire negozi e centri in varie località del paese. Per un breve periodo, i «manga» ufficiali del culto, fumetti che trasmettevano il messaggio del guru narrando dei poco probabili episodi della sua vita, una sorta di Vangelo post-moderno per immagini, sono andati a ruba, e ora costituiscono il «pezzo forte» di molte collezioni private di otaku occidentali.
    L’Università di Tôkyô continua a sfornare laureati svuotati di ogni individualità e fedeli a una distorta e aggiornata versione del bushido, le cui carenze si riflettono drammaticamente sull’economia giapponese.
    Lasciandosi tutto questo alle spalle, Murakami offre una ricostruzione del prima e del dopo, cartografando l’«area del disastro» (per restare su termini ballardiani) e offrendone una interpretazione.
    Forse semplicistica.
    Forse difficilmente condivisibile.
    Ma Undergound resta un libro da leggere poiché, da un po’ di tempo a questa parte, e non per nostra scelta, noi siamo tutti abitanti di Tôkyô.
    E nel nostro futuro ci potrebbero essere migliaia e migliaia di chilometri di underground.

    Murakami Haruki, Underground
    La narrazione a più voci dell’attentato alla metropolitana di Tokyo
    Einaudi, «Gli struzzi», 2003, ed.or. 1997- 1998, pp. 400, € 17.00, trad. Antonietta Pastore

    Idem Einaudi ET Scrittori 2011, pp. 450, € 11,00

    Idem Einaudi Super ET 2014, pp. 512, € 13,00

    Idem Einaudi eBook 2013, pp. 450, € 6,99

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