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    Aria

    Una fascinazione iperletteraria

    • di Consolata Lanza
    • Marzo 28, 2012 a 6:15 pm

    di Consolata Lanza

    Abbastanza particolare il romanzo di Rahimi che ha vinto nel 2008 il Premio Goncourt. Prima di tutto è stato scritto direttamente in francese, a differenza del bellissimo Terra e cenere che mi ha fatto conoscere quest’autore. Poi è costruito a telecamera fissa: letteralmente, vediamo e sentiamo solo i personaggi che passano nell’unica inquadratura, una camera da letto in una non descritta abitazione di una città di cui non sappiamo il nome, ma solo che vi si combatte. C’è un personaggio principale, una donna senza nome che ogni tanto esce dall’inquadratura, e un personaggio secondario, un uomo con gli occhi aperti ma sospeso in una non vita fatta di incoscienza, immobilità e silenzio. La donna lo accudisce, gli cambia la flebo, gli mette il collirio negli occhi secchi, lo lava. Gli parla. È suo marito. La donna è musulmana, lo sappiamo perché legge il Corano e prega, e talvolta il mullah viene a trovarla. Il tempo è scandito dal respiro dell’uomo e dai grani del rosario che la donna tiene in mano recitando i novantanove nomi di Allah, e su questi ne misura il trascorrere. La donna parla, e dalle sue parole veniamo a sapere che in casa ci sono due bambine, che il marito è stato ferito in combattimento e sopravvive con una pallottola nella nuca, che lei è sola, che nutre verso di lui profondi rancori legati alla loro vita comune, e molte altre cose. Man mano il suo discorso si fa sempre più intimo e più spudorato, tocca i suoi segreti più riposti, e fa del marito la sua syngué sabour, la pietra di pazienza alla quale gli uomini raccontano i propri dolori finché la pietra, troppo carica, scoppia. Dalle sue parole non sappiamo nulla della guerra, i suoi sono discorsi da donna, parla di corpo e sentimenti, persone, rapporti. 


    Altri personaggi fanno brevi apparizioni o compaiono nei discorsi della donna: un combattente rozzo e violento, un giovanetto balbuziente, una zia che conosce la vita, il suocero più padre del padre carnale, ma sono fuggevoli ombre. La donna segue un suo percorso che la porta a sovvertire le regole, a trasgredire tutte le leggi religiose e sociali. Il finale arriva come un pugno nello stomaco e confesso che mi è sembrato del tutto inverosimile e artificioso, ma artificioso è tutto il libro, iperletterario, e forse proprio in questo risiede il fascinamento sottile che prende durante la lettura. Certo un libro che vale la pena leggere, e che fa riflettere. Mi ha fatto pensare che gli scrittori espatriati prendono vizi e virtù (letterarie) del paese in cui scelgono di risiedere.

    Atiq Rahi

    Gli americanizzati sfornano libroni viscerali e didascalici, i francesizzati diventano rarefatti, intellettuali, un po’ noiosetti ma tanto ben scritti. Questo mi pare sia capitato anche a Rahimi, che pubblica libri smilzissimi ma comunque, a un certo punto fa un curioso omaggio a Khaled Hosseini e al suo cacciatore di aquiloni, affibbiando a un personaggio un destino identico, anche nelle parole, a quello del figlio di Hassan.

    Atiq Rahimi
    Pietra di pazienza
    Einaudi Supercoralli, 2009

    pp. 109, € 17,00

    Einaudi Tascabili, 2011
    pp. 114, € 9,50

    Einaudi EBOOK, 2010
    pp. 120, € 6,99

    Trad. dal francese
    Yasmine Melaouah

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