Monica Alì
Sette mari tredici fiumi
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€ 8,50
trad. di M. Perrìa
Il robusto romanzo d’esordio di Monica Ali, nata a Dacca nel 1967 da padre bengalese e madre inglese, è davvero una bella sorpresa che si stacca nettamente dalla ormai pletorica produzione di scrittrici anglofone di origine indo-pakistana.
Nazneen, diciottenne cresciuta in un villaggio del Bangladesh, viene data in sposa con un matrimonio combinato a Chanu, che vive a Londra e ha più del doppio dei suoi anni. Nazneen è saggia, buona musulmana e del tutto consenziente alle nozze. Alle spalle si è lasciata gli spazi aperti, l’orizzonte sterminato delle risaie, il calore di una vita in cui non ha mai trascorso un attimo da sola, una figura materna dolorosa e negativa, una sorella amatissima, Hasina, che ha buttato via tutto in una fuga d’amore. Si ritrova a vivere in un alloggio popolare di un ghetto alla periferia di Londra, nel 1985, senza sapere una parola d’inglese. Si ingegna, nella sua stupefatta solitudine, di costruire un focolare accogliente per il marito, cucinando e mantenendo le tradizioni di ubbidienza e sottomissione. Stringe rapporti con altre donne nella sua condizione, ha figli e dolori, lotta con le difficoltà economiche, conosce l’amore e la rinuncia, vive fino in fondo la sua condizione di donna in bilico tra due mondi, l’impossibilità del ritorno e la consapevolezza di essere comunque straniera nella nuova patria.
Le dinamiche nella comunità di emigrati risaltano in maniera straordinaria. Il bellissimo personaggio di Chanu, velleitario, futile, sognatore e perdente, rappresenta l’emigrato di prima generazione, illuso di potersi realizzare in un paese che lo tollera solo in quanto marginale, mentre Karim, l’amante nato a Londra, riscopre le proprie radici islamiche e corteggia pericolosamente il fondamentalismo. Intorno si muove una folla di personaggi magnificamente delineati e vivi di vita propria, l’usuraia melliflua e crudele, il medico infelice, le ragazze ben coscienti di sé che scelgono in totale libertà il burqua, la donna combattiva e la bambina che vorrebbe solo essere uguale a tutte le sue coetanee inglesi, i violenti, i deboli che soccombono ai disvalori e ai vizi dell’Occidente. Tutti si scontrano con la difficoltà di trovare un punto di contatto tra il razzismo, nascosto o dichiarato, dei padroni di casa e l’incapacità (o il rifiuto) di accettare regole sociali aliene alla propria cultura. In questa durissima realtà Nazneen cerca, e alla fine trova, una sua strada sul filo sottile della realizzazione personale che porta alla libertà, al prezzo della solitudine amorosa. Un finale un po’ rétro che non spiace, anzi, mettendo l’accento sulla forza e la solidarietà femminile, riscatta l’inevitabile disagio che prende il lettore di fronte a un personaggio come Nazneen, tanto più intelligente del marito eppure schiacciata dalla consuetudine al silenzio.
In parallelo alla storia di Nazneen, le lettere di Hasina da Dacca raccontano una vicenda di inesorabile caduta, dolore, umiliazioni, impossibile riscatto. E qui la traduzione, molto efficace e fluida nelle parti in terza persona, non mi ha convinto affatto. Probabilmente il testo originale cerca di riprodurre, in inglese, la prosa illetterata di Hasina che scrive in bengalese. Ma perché renderla in un linguaggio così irreale, che nessuno, per quanto illetterato, userebbe mai? Forse sarebbe stato il caso di entrare nella testa del personaggio e pensare come si esprimerebbe, in italiano, una persona poco abituata alla penna. Così come le leggiamo le lettere di Hasina sono solo assurde. E un’altra pecca è la mancanza di un glossario. Non so se nell’edizione originale esiste, ma gli inglesi hanno una secolare familiarità con l’India, molte parole delle varie lingue locali sono entrate nell’uso comune, mentre il lettore italiano inciampa nei numerosi termini (giustamente) non tradotti.
Un romanzo estremamente avvincente che tocca temi di grande attualità e aiuta a capire, vedendoli dall’interno, senza facili soluzioni né giudizi, i nodi più scottanti della storia di oggi, indicando comunque una possibilità di salvezza se non storica, almeno individuale.