1793 è ambientato nella Svezia della fine del XVIII secolo, l’anno successivo alla morte di Gustavo III, con il paese tormentato da una guerra sotterranea tra la nobiltà e la borghesia, sostenitrice del Ricksdag – gli stati generali svedesi – e governata da Gustav Adolf Reuterholm durante il periodo della reggenza, con il nuovo re, Gustavo IV Adolfo, che all’epoca aveva soltanto 14 anni.
Protagonisti della vicenda sono Mickel Cardell,
«un reduce dalla guerra contro la Russia che, nonostante abbia lasciato il braccio sinistro sul campo di battaglia, possiede ancora una forza quasi sovrumana»
e Cecil Winge,
«geniale procuratore ormai consumato dalla tisi».
La vicenda si apre con il ritrovamento nel quartiere di Södermalm di un cadavere orrendamente mutilato. A ritrovarlo è Cardell che, faticosamente, lo ripesca dalle acque fangose del Fatburen.
A occuparsi delle indagini viene incaricato Cecil Winge, un ottimo procuratore, anche se non particolarmente amato dai dirigenti, e colpito da una tisi molto avanzata, cosa che non gli impedirà comunque di svolgere, anche se con non poche difficoltà, il suo lavoro. Già perché la Svezia sotto il governo di Reuterholm è un luogo siffatto:
«Dovete tenere a mente che i requisiti più importanti per quel lavoro sono un’irriducibile fedeltà al regime attuale, accompagnata dalla tendenza al servilismo e all’adulazione.»
Ciò che man mano emerge faticosamente dalle indagini è la compromissione di una delle famiglie più in vista nella Svezia dell’epoca e che il colpevole dell’allucinante omicidio, lo ha compiuto per cancellare il peccato di una passione imperdonabile.
Un giallo affascinante per il tema e l’ambiente – sia pure con qualche passaggio un po’ prolisso – e con due personaggi che non è facile dimenticare ma con alcuni difetti (ovviamente secondo la mia personale sensibilità) che è altrettanto difficile rimuovere. Lo sforzo dell’autore di presentare la vita quotidiana nella Svezia dell’epoca lo porta talvolta a sottolineare in maniera eccessiva la brutalità endemica di alcuni ambienti, la sporcizia e l’incuria nella vita di ogni giorno, l’ubriachezza condotta a regola di vita, la rabbia che cova disordinatamente sotto la cenere, i soprusi compiuti dalle autorità costituite, il malaffare, la corruzione e la sostanziale disonestà di chiunque occupi una carica pubblica. Il quadro che ne deriva è quello di una società insieme falsa, bigotta e disperata. Jean Michel Cardell, per gli amici Mickel, appare così talvolta una sorta di sfortunato castigamatti in un mondo incapace di distinguere il giusto dall’ingiusto. In quanto a Winge, rappresentato nella parte finale della propria vita, è un investigatore dotato di un’etica cristallina e davvero geniale, capace di fingere o di mentire in nome di un livello più alto di giustizia, ma evidentemente destinato a una fine prematura.
Il romanzo, obbligato dalle premesse e dall’intreccio a giungere a rappresentare l’orrore puro, deve rialzare costantemente la gravità dei peccati commessi fino a mettere in scena un dramma probabilmente troppo carico di sangue e di orrore per risultare credibile fino in fondo. Lo so, c’è un problema di “sospensione di incredulità” e in questo devo ammettere la mia insufficienza di lettore. Preferisco non esprimere giudizi in merito, lasciando ai lettori il compito non facile di stabilire la necessità di taluni passaggi. In ogni caso non posso che plaudire lo sforzo, avvertibile senza difficoltà in mille episodi, sull’informazione storica e sociale, tali da riuscire a rappresentare una città come Stoccolma nel suo momento particolare e nel suo divenire storico.
Niklas Natt Och Dag, 1793, Einaudi Stile Libero, 2019 [ed.or. 2017] pp. 493, € 20,00, trad. Gabriella Diverio, Alessandra Scali
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