
La chiocciola sul pendio, di Arkadij e Boris Strugackij, è stato pubblicato per la prima volta nel 1966 e (meritoriamente) ripresentato in Italia da Carbonio editore, «considerato dai fratelli Strugackij il loro romanzo più completo e significativo».
Il testo si apre con Perec, un anonimo impiegato in attesa di traferimento dall’Ispettorato per gli Affari della Foresta, entità burocratica dalle attività e finalità oscure, costruita a strapiombo sulla Foresta, così descritta:
… Le verdi paludi bollenti, i pavidi alberi nevosi, le rusalki che si riposano sulla superficie delle acque, sotto la luna […], gli aborigeni enigmatici e circospetti, i villaggi deserti…
Foresta nella quale, a quanto pare, nessuno di coloro che lavorano all’Ispettorato è mai andato, limitandosi a parlarne o a disquisirne con apparente competenza.
Segue l’apparizione di Kandid, cittadino di uno dei villaggi della foresta, a quanto pare altrettanto deciso ad andarsene per raggiungere una fantomatica città, forse posta su una collina o forse no, ma comunque al di fuori della cinta del grande bosco.
Le vicende di Perec (cognome a suo modo indicativo, cfr. Vita, istruzioni per l’uso) e di Kandid – voltairiano, se vogliamo – si inseguono capitolo dopo capitolo, in due storie parallele che non procedono in nessuna direzione, senza che nessuno dei due riesca ad allontanarsi davvero dal luogo nel quale si trova ma, come in certi sogni tormentosi, continuando a essere interrotti o deviati facendo incontri inattesi o sorprendenti ma anche assurdi, insulsi o deteriori, ad ascoltare storie incredibili o dementi, a doversi misurare con eventi improbabili o oggetti nati da una fantasia malata o felicemente demente. Il romanzo si rivela così un delizioso monociclo inchiodato, sul quale è possibile pedalare a perdifiato senza giungere da nessuna parte, una felicissima metafora dell’URSS degli anni ’60, tesa in una corsa a perdifiato per non andare in nessun luogo, we all road to nowhere, come cantavano i Talking Heads. E il peso di una burocrazia terrificante si respira ad ogni capoverso del testo, unendo affermazioni e dichiarazioni tuonitruanti alla mancanza di mezzi e di soluzioni o alla semplice affermazione dell’assurdo come strumento di potere.
[…] Ma l’originale sì che contiene questo movimento temporale! Il vettore! La freccia del tempo […]
“Dov’è, dunque l’originale?” Chiese cortese Perec.
Il direttore sorrise e disse:
“L’originale, naturalmente, è stato distrutto in quanto opera d’arte che non permette una duplice interpretazione. Sia la prima che la seconda copia sono state ugualmente distrutte, come misura precauzionale”.

Le cose non vanno meglio per Kandid, perseguitato da non meglio identificati morti viventi, oltre che da una fauna / flora invadente e pericolosa – spesso la distinzione tra piante e animali scompare – e da una moglie vittimista e inconcludente. I suoi rapporti con gli altri membri della tribù che popola il villaggio non sono buoni: fatti di noia, di stanchezza di parole troppe volte ripetute. E la foresta…
[…] si mise di nuovo a fischiare, ronzare, crepitare, sbuffare, di nuovo verso la cupola lilla si avventarono nembi di mosche e formiche. Una nube passò sulle loro teste, i cespugli si ricoprirono di sciami di insetti morenti o infiacchiti, immobili o frementi […]
Mentre Perec deve fare i conti con questo genere di messaggio:
Attenzione, attenzione! Tutti i collaboratori devono trovarsi sul posto secondo la disposizione numero seicentosessantacinque fratto Pegaso omicron trecentodue, direttiva ottocentotredici, per l’accoglienza trionfale del Padiscià senza seguito speciale, numero di scarpe cinquantacinque.
Un romanzo nel quale non è facile imbattersi e che richiede – opinione del tutto personale – perlomeno una doppia lettura per coglierne i riferimenti costanti al reale, oltre che per divertirsi come se non ci fosse un domani. Un romanzo di fantascienza? Fantasy? Horror? No, un romanzo profondamente politico e, come tale, interamente basato sull’assurdo.
Arkadij e Boris Strugatckij, Chiocciola sul pendio, Carbonio Editore, 2019, coll. Cielo stellato [ed. orig. 1966], pp. 272, € 16,50, trad. Daniela Liberti
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