Edward O. Wilson
Il futuro della vita
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Edward Wilson è un personaggio molto conosciuto nel mondo della biologia contemporanea, e non solo tra gli specialisti, per molte ragioni. In primo luogo è un entomologo importante, specialista nello studio degli insetti sociali ed in particolare delle formiche. È uno dei fondatori della sociobiologia, che al di là dei giudizi di merito, costituisce un corpus di idee estremamente stimolante e che ha contribuito a vivacizzare il dibattito teorico nella biologia degli ultimi venti anni. Poi è un conservazionista impegnato e progressista ed è stato ad esempio tra i dirigenti del WWF statunitense per lunghi anni. È inoltre un ottimo divulgatore, nella migliore tradizione angloamericana recente di scienziati «scrittori» che sanno comunicare idee importanti senza rinunciare ad affascinare il lettore. Infine, last but not least, Wilson è affetto da quel particolare malanno, noto come biofilia, che lo spinge inesorabilmente, come lui stesso confessa, ad interessarsi di tutti gli aspetti della vita con insaziabile curiosità e che gli procura una sorta di profonda empatia positiva nei confronti di ogni forma vivente.
Wilson non è evidentemente un estremista; al contrario è un uomo di scienza che pur nutrendo una fortissima spinta «sentimentale» verso il problema della conservazione della vita sulla Terra, non si nega (e non nasconde agli altri) il carattere estremamente complesso della questione. Il nostro autore sa benissimo che ad una maggioranza di esseri umani attanagliati per la maggior parte dal problema di sbarcare il lunario o, in misura molto minore, immersi nel lusso un po’ obnubilante del consumismo, e in tutti i casi del tutto estranei alla sofferenza della biodiversità, non si può proporre semplicemente un’etica ambientale fondamentalista. Bisogna che la difesa della biodiversità si riveli distintamente un vantaggio strategico per la specie umana e per l’economia della nostra società. Bisogna che l’affaire esca dalle conventicole dei conservazionisti (cui peraltro Wilson ribadisce il suo appoggio) e divenga una questione di massa.
L’autore è sicuramente un ottimista, un po’ all’americana per intenderci. Certamente è più ottimista di chi scrive queste righe che non riesce a condividere sic et simpliciter questa visione della realtà. Però è un uomo di coraggio se, in un libro in fondo moderato e prudente, arriva a sostenere che l’obiettivo strategico del movimento conservazionista deve essere quello di lasciare il 50 per cento del pianeta alla vita selvaggia.
Visto in questa prospettiva il ragionamento di Wilson è impegnativo e accattivante, nonostante lo stile un po’ american way of life lo renda non sempre immediato per il lettore europeo, anche, forse soprattutto, per coloro che ne condividono l’anelito di fondo.
La versione completa di questa recensione apparirà sul numero 33 di LN-Librinuovi, marzo 2005