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    Aria

    Yu Miri – Oro rapace

    • di Massimo Citi
    • Febbraio 17, 2005 a 1:29 pm

    Yu Miri
    Oro rapace
    (Feltrinelli)

    Raccontare sentimenti embrionali, descrivere una mente immatura, insieme fragile e violenta è una specie di impossibile sfida, per un bravo scrittore. La sensibilità, l’empatia, la capacità di immaginare e immedesimarsi sono gli strumenti della migliore scrittura e, a prima vista, pare impossibile rovesciarli nel loro opposto, nel racconto veritiero di una mente cieca e rudimentale.
    Eppure pare proprio che Yu Miri, autrice giapponese trentaduenne di origine coreana, in questo romanzo sia riuscita a vincere la sfida.
    Kazuki, il protagonista, ha solo quattordici anni. Suo padre, Hidetomo, è il proprietario di una catena di pachinko (una specie di flipper verticale molto diffuso in Giappone), sua madre si è convertita a un buddhismo fondamentalista e vive lontano dalla famiglia; il fratello maggiore, Koki, è affetto da una malattia ereditaria che lo mantiene in un’innaturale condizione infantile mentre la sorella, Miho, fa la prostituta per il semplice desiderio di degradarsi.
    Kazuki detesta i genitori che gli appaiono, sia pure in modo diverso, altrettanto assurdi e lontani da lui. Vuole bene in modo distaccato alla sorella che però non riesce a comprendere e ama il fratello maggiore di un amore esclusivo che nasce soprattutto dal desiderio di proteggerlo. I suoi legami veri sono con persone che non hanno nulla a che fare con la famiglia.
    Il padre, Hidetomo, si preoccupa esclusivamente che i figli abbiano le giuste possibilità – le migliori scuole, denaro a volontà – ma, per il resto, è un uomo violento con desideri e modi rozzi. In un suo modo contorto e oscuro ama Kazuki ma è incapace di manifestargli il suo affetto se non riempiendogli le tasche di denaro e, talvolta, conducendolo con sé in ufficio per presentarlo ai propri dipendenti.
    Kazuki dovrebbe andare a scuola ma non lo fa. Frequenta amici più grandi di lui, ha fatto esperienza di droghe ed è convinto che il suo compito sarà quello di sostituire il padre alla guida dell’azienda. Non ha idee precise sul denaro, ma conosce il suo potere. È insieme viziato e trascurato: una combinazione comune nei bambini di fine millennio, ed è soggetto ad attacchi d’ira incontrollabili:

    Quando Kazuki si arrabbiava non lo faceva per attirare l’attenzione su di sé, voleva solo abbandonarsi all’ira. L’epicentro di quel “terremoto” era dentro di sé, ma lui non possedeva la forza necessaria per poterlo reprimere.

    Si caccia in un grosso guaio ed è così costretto a chiedere l’aiuto del padre. Con il suo abituale cinismo Hidetomo risolve il problema ma, anche se fatica ad ammetterlo persino con se stesso, comincia a essere davvero allarmato. Nella sua concezione semifeudale del mondo Kazuki rappresenta il suo successore, colui che erediterà il suo dominio, un impero edificato sulla passione per il gioco di milioni di sarariman frustrati e stanchi.
    Hidetomo legge biografie di grandi manager e ha scoperto che alcuni di loro sono stati iniziati all’attività del padre all’età di tredici anni. Fa così partecipare Kazuki alle riunioni aziendali, presentandolo come il suo successore.
    Quando il padre giunge a minacciare di rinchiuderlo in un collegio, Kazuki perde il lume degli occhi e, usando una spada da samurai della collezione paterna, lo uccide e nasconde il cadavere nel sotterraneo dove Hidetomo custodisce i tesori di famiglia.
    Ci si aspetterebbe che in Kazuki cominciasse a germogliare il rimorso, ma il ragazzo ha compiuto il delitto per difendersi da una minaccia per lui terrificante e non ha nulla di cui pentirsi. Viceversa è molto preoccupato per l’immane compito di dover dirigere l’azienda paterna, oltre che angustiato dalla presenza del cadavere nel sotterraneo, il cui odore finirà per invadere la casa, smascherandolo.
    La scomparsa del padre non preoccupa nessuno per un po’, anche perché Kazuki ha detto che Hidetomo è in Corea dalla sua amante, ma dopo i primi controlli i funzionari dell’azienda paterna sospettano che gli sia capitato qualcosa di grave. Ovviamente nessuno si sogna di prendere in considerazione Kazuki come possibile nuovo titolare, mentre Mai, l’amante del padre, lo seduce per ottenere un vitalizio che la sistemerà per sempre. Proiettato bruscamente nel mondo degli adulti, Kazuki è convinto che il denaro possa risolvere ogni problema. Frustrato e tormentato dall’ingombrante presenza del cadavere, fantastica di vendette e di clamorosi riscatti, si vede già adulto e rispettato ma non capisce i sentimenti degli altri verso di lui, giunge ad allontanarsi da Kanamoto, un ex membro della yakuza che gli è sinceramente affezionato, e colleziona errori come se qualcosa dentro di lui cospirasse per perderlo.
    Quando la pressione raggiungerà un livello insostenibile Kazuki non potrà che arretrare, cercare un’inutile via di fuga verso l’infanzia definitivamente perduta.

    Oro rapace (tit. dell’edizione originale giapponese: Gold Rush) è un romanzo intenso e disperato, che non scade mai in un facile pulp o inciampa in un involontario grottesco. I personaggi che vi appaiono – che grazie a un’interessante e inconsueta tecnica narrativa abbiamo l’opportunità di conoscere da vicino – non hanno nulla di esagerato o falso: sono individui normali, ritratti senza enfasi nelle proprie miserie e disperati appetiti.
    Kazuki, ed è questa la nota più angosciosa della vicenda, non è un assassino nato, ma soltanto un adolescente immaturo che non riesce a sopportare nessuna frustrazione. Si tratta di un genere di giovane divenuto molto comune, non solo in Giappone, e probabilmente ognuno di noi ne ha conosciuti. Ma Yu Miri non ha scritto Oro rapace per fare del facile moralismo, ma per cercare di narrare lo smarrimento e l’ansia di quanti crescono in un mondo dove l’isolamento e la fatica di vivere spingono a credere che il denaro sia l’unico antidoto alla paura.
    Un’ultima nota sull’autrice: Yu Miri è nata in Giappone da una famiglia coreana ed è quindi, secondo la vecchia terminologia nipponica, una hinin, ovvero un individuo di una stirpe inferiore. Curioso notare come ella, a differenza di altri autori giapponesi anche contemporanei, non mostri evidenti legami con la tradizione letteraria dell’arcipelago e, forse per la sua origine straniera, conservi un distacco e una lucidità nella narrazione del Giappone contemporaneo che non è così facile incontrare.

    da LN-LibriNuovi 17 – primavera 2001

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