di Massimo Citi
Uscito per la prima volta in italiano per l’editrice Nord, La svastica sul sole (titolo orig.: The man in the High Castle, 1962) è considerato non solo uno dei più riusciti romanzi di P.K.Dick, ma anche una sorta di capofila in un genere poco apprezzato e poco frequentato, quello dell’Ucronia (o Controstoria o Storia Alternativa o Storia Fantastica) da sempre in stentata sopravvivenza ai margini della narrativa.
Il problema principale del genere, probabilmente, è il suo richiedere una competenza in materia storica non indifferente al lettore – se non sai com’è andata davvero non puoi cogliere la ricchezza (o la povertà) dei riferimenti schierati dall’autore. E non solo, la necessità di fornire una quantità ragionevole di riferimenti esterni al testo – la cosiddetta infodump dei romanzi di sf – rischia di appiattire la vicenda sulla sola dimensione parastorica, rendendo la lettura faticosa o improba.
Non mancano i capolavori e i romanzi di successo che fanno riferimento al genere, intendiamoci. In italiano sarà sufficiente ricordare il romanzo di Guido Morselli Contropassato prossimo, ovviamente poco letto e poco considerato, e, più di recente, I biplani di D’Annunzio di Luca Masali e L’inattesa piega degli eventi di Enrico Brizzi.
In lingua straniera basterà nominare libri come Il signore della svastica, di Norman Spinrad, Storia dell’assedio di Lisbona, di José Saramago, Il complotto contro l’America di Philip Roth e Fatherland di Robert Harris.
Tutto ciò detto e una volta sottolineato il rilievo del genere, è bene chiarire che P.K.Dick è riuscito nell’impresa di scrivere un libro molto particolare e davvero unico.
Lo lessi poco dopo la sua uscita in italiano, negli anni ’70, e lo rilessi con cadenza più o meno decennale fin all’ultima edizione di Fanucci, nella traduzione di Maurizio Nati, posto in vendita a 4,90 euro.
La prima volta lo lessi nell’attesa/timore di trovarvi una vera controstoria della Seconda Guerra Mondiale. Fui deluso, da questo punto di vista. I riferimenti di Dick sono scarsi, telegrafici, affidati a personaggi di terzo o quart’ordine e quindi scarsamente attendibili. Ma la lettura fu comunque destabilizzante, come sempre trattandosi di Dick.
Tanto che non potei fare a meno di rileggerlo.
L’America occupata e suddivisa tra Germania Hitleriana e Giappone Imperiale non è un tipico non-luogo come è comune in molta ucronia narrativa, ma possiede una dimensione curiosamente e inaspettatamente familiare al lettore. L’operaio ebreo Frank Frink, la sua ex-moglie Juliana, il negoziante Childan, l’addetto commerciale Tagomi sono una sorprendente collezione di soggetti smarriti che il lettore ha la sensazione di aver già incontrato in un romanzo di Lethem o di Fraser. O, forse, in un film o telefilm. Uomini e donne confusi e incerti, che reagiscono a una realtà apparentemente disordinata e cieca con l’uso costante dell’I-Ching, il libro cinese dei mutamenti, cercando di definire – o anche soltanto di capire – le tendenze profonde del reale.
Il mondo ucronico di P.K.Dick è un puro fondale, ma un fondale che non si limita a coprire lo sfondo de La Svastica sul sole ma che si allarga fino a minacciare il nostro mondo, le nostre convinzioni, la nostra visione del presente e del futuro.
I nazisti di Dick stanno colonizzando i pianeti del sistema solare. I giapponesi considerano tale impresa costosa e inutile. Nazisti e nipponici competono per il possesso del mondo, come, nella realtà, hanno fatto americani e russi. Il gioco delle parti, delle aggressività e delle finte dichiarazioni di amicizia, supera i confini dell’America occupata per lambire la nostra storia, fino a rendere tutti – personaggi e lettori – incapaci di comprendere davvero dove e in che tempo ci troviamo.
È un romanzo davvero curioso, La Svastica sul sole, capace di rendere il nostro mondo inconsistente come un riflesso nel finestrino d’un auto. L’inatteso strumento della ripetizione – nel libro si parla di un altro libro di ucronia, dove a vincere la guerra sono stati gli USA e la Gran Bretagna, ora divisi da una rivalità pericolosa per il futuro dell’umanità – in un mondo terzo, altrettanto lontano dalla nostra esperienza, che rende credibile il mondo invaso dalle potenze dell’Asse ma, nel contempo, rende più sottile, quasi inavvertibile la trama della realtà.
E le vite dei singoli personaggi sembrano attraversate dallo stesso vento di distruzione. Childan, legato al suo ruolo sociale di beniamino dei giapponesi, fatica a comprendere che cosa sta mutando nell’America occupata, Frink, terrorizzato dal suo essere ebreo in un mondo dove i nazisti sono tuttora alla ricerca degli ebrei sopravvissuti, Juliana, per qualche giorno inconsapevole amante di un killer stipendiato dai nazisti e che fatica a immaginare dove passa il confine tra le realtà contrapposte. E Mr. Tagomi, che per un attimo ha la possibilità di vedere il mondo – forse il nostro mondo – e se ne ritrae terrorizzato.
Il romanzo di Dick ha inevitabilmente creato qualche polemica, delle quali rende puntualmente conto l’ottima introduzione di Carlo Pagetti. L’evidente «simpatia» per i giapponesi che inevitabilmente emerge nel corso della narrazione, che lascia sullo sfondo la politica imperiale condotta in Asia negli anni immediatamente precedenti alla guerra. Non parla dello Stupro di Nanchino, Dick, né ricorda le varie unità 731 dell’armata nipponica, né l’altissima mortalità dei prigionieri di guerra in mano ai giapponesi, mentre non manca di ricordare l’olocausto nazista, moltiplicato all’ennesima potenza in un indefinito orrore in Africa e con la deportazione e il massacro degli ebrei della costa orientale degli USA. Ma scopo principale di P.K.Dick non è quello di creare un universo storicamente verosimile, né quello di mettere in scena il terrore di un mondo caduto nelle mani delle potenze dell’Asse, ma quello di suscitare un sottile orrore per lo scontro tra le potenze atomiche vincitrici della guerra nel nostro universo. Un orrore che trova la sua eco nel romanzo di Dick nell’operazione Edelweiss, congegnata dai Nazisti intransigenti come blitzkrieg atomica contro gli ex-alleati nipponici e sventata soltanto verso la fine del romanzo, grazie all’intervento di un ufficiale della Kriegsmarine tedesca.
Un romanzo bizzarro, ho scritto all’inizio di questa recensione. Un romanzo crudelmente sornione e amaramente ironico nei confronti del mondo americano degli anni ’60, qui rappresentato come subalterno ai «musi gialli» da sempre cittadini americani di serie B.
Se non avete mai letto un romanzo di P.K.Dick o un romanzo di ucronia, potrebbe essere davvero un’ottima occasione per iniziare.
P.K.Dick
La svastica sul sole
Fanucci, 2011(2)
Tit. orig.: The Man in the High Castle
pp. 302 – € 4,90
Trad. Maurizio Nati