Un vecchio romanzo di Alan Dean Foster

Basterebbero i nomi della traduttrice e del curatore della collana, per suscitare interesse. Ma aggiungerò il commento scritto a suo tempo da Lester del Rey su Analog, che termina così:
«Un’eccellente storia di avventura che ha dietro di sé un significato molto, molto più grande».
Questo piccolo gioiello mi è tornato in mano mentre frugavo tra gli scaffali della libreria. Mi era piaciuto, ma l’avevo letto tanti anni fa, quando il rapporto tra i Sapiens e il pianeta era già compromesso ma non così palesemente sull’orlo della catastrofe. I sintomi c’erano già tutti, ma solo alcuni autori di fantascienza ne avevano un’immagine davvero chiara.
Alan Dean Foster, nato nel 1946 a Los Angeles, viene definito da Valla “uno scrittore alla produzione evasiva, ma godibile e divertente”. Però, continua il curatore, Terra di Mezzo è qualcosa di più e di sorprendente: “è assai prossimo al Mondo della Foresta di Ursula Le Guin”.
Le Guin scrisseThe world for word is Forest nel 1968, Midworld fu pubblicato nel 1975. Il confronto fra i due romanzi è illuminante:
– Entrambi i romanzi dipingono un mondo interamente coperto da una foresta, e viene il dubbio che siano stati ispirati da un milieu comune che potrebbe essere l’America della guerra del Vietnam (di sicuro lo è quello di Le Guin).
– I due mondi ospitano terrestri profondamente adattati alla vita nella foresta, che vengono invasi da terrestri alla ricerca di beni introvabili su Terra.
– Tutti e due i romanzi hanno come temi principali ambientalismo, pacifismo, colonialismo, razzismo.
Le date delle due edizioni originali possono suggerire che Foster si sia ispirato in qualche modo al romanzo di Le Guin e che Midword sia una copiatura, una riscrittura o, nell’ipotesi migliore sia un omaggio a The world for word is Forest?
Niente affatto. Il romanzo è letteralmente la delizia dei biologi ma anche, come scrive il grande Lester, “molto di più”.

La vicenda si svolge su un pianeta che i locali chiamano semplicemente “mondo” e che i terrestri non si danno nemmeno la pena di battezzare.
Mondo senza nome.
era verde.
Verde e gravido.
[…] Non ospitava la vita. Sulla sua superficie la vita esplodeva, prorompeva e si moltiplicava e prosperava al di là di ogni possibilità dell’immaginazione.
Gli alberi sono alti centinaia di metri, le loro radici pescano in
… un suolo così ricco che quasi viveva anch’esso, un magma verdeggiante sgorgava per inondare la terra.
Le loro cime svettano in un cielo sufficientemente caldo e luminoso da essere chiamato dagli abitanti L’inferno Superiore. Quello è il Primo Livello, al di sotto ce ne sono altri sei e il Settimo Livello è buio, oscuro, melmoso e popolato da ogni sorta di creature orripilanti. Nessuno mai vorrebbe cadere nell’Inferno Inferiore.
È su quel mondo fuori mano che un’astronave piena di coloni terrestri, fuori rotta per un incidente fatale, è costretta a scendere, secoli prima del presente narrativo. La maggior parte dei coloni ragiona con la prosopopea dei colonizzatori:
In quei tempi lontani l’umanità era abituata a dominare l’universo con la forza, quand’era necessario. Coloro che tentarono di attenersi a tale abitudine non riuscirono a mettere al mondo una seconda generazione […] Alcuni, meno prigionieri dell’orgoglio e più adattabili, sopravvissero ed ebbero figli. I loro discendenti […] maturarono e osservarono il mondo che li circondava con occhi diversi.
Secoli dopo, altri terrestri piombano sul pianeta senza nome. Appartengono al complesso sistema galattico che accomuna i romanzi di Foster e hanno le peggiori caratteristiche dei loro predecessori. Le stesse peculiarità di molti Sapiens del nostro tempo: capitalisti, predatori, avidi e ormai tanto lontani dalla natura da non saperla più riconoscere e rispettare.

L’incontro fra i discendenti dei coloni di un tempo e gli occupanti successivi avviene quando, due nuovi arrivati, Kimi e Jan, si schiantano con la loro lancia nella foresta, sfondando la vegetazione per diversi livelli. A salvarli dalla pericolosa fauna locale accorrono Born, il più audace e curioso fra i cacciatori del vicino villaggio, e Ruumahum, il suo fratello velloso.
I vellosi sono creature autoctone intelligenti, più grossi e molto più forti di un orso e verdi come la foresta. Umani e vellosi si abbinano, legandosi per la vita. Nessuno dei due sopravvive a lungo alla morte dell’altro.
Questo spiega Ruumahum a un cucciolo velloso che sta educando:
– tra i cuccioli si dice che noi non pensavamo e non parlavamo, prima che venissero gli umani…
– Non è una voce, piccolo: è la verità. Noi dormivamo, invece. […] Ma dormiva anche l’Uomo. Si pensa che ci siamo svegliati insieme.
Born e il suo velloso accettano di accompagnare Kimi e Jan verso la nuova stazione spaziale terrestre. Il viaggio fornisce a Foster l’occasione per evocare ogni sorta di forma di vita: dal diavolo celeste allo strisciargento, dal nuvolaglio agli akadi e alla pianta del temporale, e di esplorare tutti i sette livelli della foresta.
Nel corso del romanzo i rapporti fra i popoli di Born e di Ruumahum da una parte e la gente di Kimi e Jan dall’altra evolveranno da una cauta collaborazione alla più completa ostilità.
Una delle cose che mi ha affascinato maggiormente del romanzo è la sua struttura: chi legge conosce il mondo grazie alla coppia Born – Ruumahum e impara attraverso le loro azioni. I due non si dicono parole superflue perché già conoscono il loro mondo.
La chiusura di Midworld è sorprendente, suggestiva e complessa. A dire il vero, è proprio quella complessità che mi sfuggì tanti anni fa, alla prima lettura.
Solo a fine lettura chi legge si rende conto di aver ricevuto dall’autore ogni informazione utile a capire il mondo, ma di essere stato, come i terrestri presuntuosi, impreparato a immaginare il “molto di più” accennato da Del Rey.
L’altra cosa che ho molto apprezzato è la visione attualissima della foresta proposta da Foster. Un modo di considerarla che piacerebbe a due studiosi che, negli ultimi anni ci hanno illuminati sulla complessità delle relazioni vegetali:
Il professor Stefano Mancuso, fondatore, agli inizi del xxi secolo, della neurobiologia vegetale ed elaboratore della costituzione delle piante1


Suzanne Simard nel bell’articolo La vita sociale degli alberi2 pubblicato su Internazionale.
Nell’insieme Terra di Mezzo risulta anche un curioso e ovviamente inconsapevole precursore del genere solarpunk. Ma per darmi o meno ragione dovreste leggerlo fino in fondo.
Manco a dirlo il libro non è stato più ristampato e, purtroppo, la Nord non esiste più. È reperibile su ebay e su Amazon, essendo ormai scaduti i diritti di traduzione ed è recuperabile qui a un prezzo ragionevole:
https://www.delosstore.it/bazaar/4542/terra-di-mezzo/
in alternativa qui è rintracciabile gratuitamente:
https://it1lib.org/book/4277769/86c6e9?id=4277769&secret=86c6e9
qui una intervista all’autore
1 https://www.youtube.com/watch?v=m0-7yQLPBBg
2 https://www.internazionale.it/sommario/1389
Alan Dean Foster, Terra di Mezzo, Nord Argento n. 65, 1977, pp. 172, trad. Roberta Rambelli, Presentazione Riccardo Valla
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