Ted Chiang, nato a New York, scrittore e tecnico per l’industria del software dello stato di Washington, è un mito, una piccola leggenda. Per me e per mia moglie, certo, ma non solo. La «nostra» leggenda – perché tale si può chiamare – ha inizio con un «Urania» che conteneva un racconto lungo, Storia della tua Vita, lunga storia della perdita di una figlia con una peculiarità assoluta: la madre sa fin dall’inizio il destino della figlia, anche prima di concepirla. La nozione, la conoscenza della madre è il filtro necessario, il riferimento costante dal quale il lettore non può mai separarsi, tanto più quando il racconto procede e diventano sempre più evidenti i contorni della vicenda. Un racconto superbo condotto con un’attenzione e una concentrazione assolute che giustamente vinse il Premio Nebula nel 1990. «Ma chi è questo Chiang?» si chiese mia moglie. Uno scrittore di sf, certo, ma non troppo noto e, a quanto sembrava, assai poco prolifico. Per un certo tempo, infatti, Storia della tua vita, rimase l’unico racconto in nostro possesso. Poi venne, in un’antologia della vecchia Nord, un altro racconto: L’inferno è l’assenza di Dio. Una ventina di pagine di un mondo dove l’inferno è visibile e percepibile:
… la terra sembrava diventare trasparente e si poteva vedere l’inferno come si stesse guardando attraverso un buco nel pavimento. Le anime perdute non sembravano diverse da quelle viventi, con corpi eterni che somigliavano a quelli mortali. Non si poteva parlare con loro […] ma nel corso di quelle manifestazioni li si poteva sentire parlare, ridere o piangere, esattamente come avevano fatto quando erano vivi.
E dove la mancanza di fede – un Dio e angeli onnipotenti e rabbiosi appaiono e si manifestano – è semplicemente impossibile. La rinuncia a Dio e al paradiso è una scelta che fa parte delle responsabilità di una vita. E può capitare che, come il protagonista, si finisca per rinunciare alla beatitudine eterna.
Ultimo regalo per noi due appassionati l’uscita dell’antologia da Stampa Alternativa che, oltre ai due racconti citati, ne raccoglie altri sei, ognuno a suo modo assolutamente straordinario.
Torre di Babilonia, vincitore del Premio Nebula, racconta di Hillalum e Nanni, due semplici operai edili dediti alla costruzione della titanica Torre, ormai prossima a toccare il cielo. E il cielo è un’immensa volta:
… si trovava ora appena sopra le dita di un uomo con le braccia allungate in alto; al toccarla, saltando, era fredda e liscia. Sembrava fatta di granito bianco a grana fine, uniforme e assolutamente privo di segni.
E oltre il cielo…
Adesso era chiaro perché Yahweh non aveva abbattuto la torre […] perché il viaggio più lungo non avrebbe fatto che riportarli dove lo avevano iniziato.
Scritto in uno stile che ricorda le sacre scritture, Torre di Babilonia è una riscrittura del tutto inattesa del mito biblico, con un Dio che non appare umano – e in fondo un po’ meschino – come quello della Bibbia ma una divinità grandiosamente aliena, inafferrabile e incomprensibile per noi umani.
Capire è la cronaca di un esperimento condotto sull’intelligenza umana, sulla possibilità di ampliarne le possibilità e gli sviluppi. Narrato in prima persona dal soggetto dell’esperimento descrive da un lato le possibilità che via via gli si aprono, dall’altro il grado di disumanità e di estraneità al resto del genere umano che egli si trova a sperimentare. Impressionante per la capacità di narrare «dall’interno» la crescita delle facoltà intellettuali, termina con un finale amaro e problematico, un’autodefinizione della divinità astratta e disperata.
Curioso e, a suo modo devastante, Divisione per zero, il racconto della scoperta del fondamentale empirismo della matematica, ovvero della sua reale impossibilità di descrivere il mondo. Settantadue lettere è una raffinatissima rivisitazione del mito del Golem scritta utilizzando alcune teorie biologiche ormai sorpassate ma perfettamente adeguate al momento storico del racconto, un mondo steampunk nel quale i Golem sono di utilizzo quotidiano e la cabala costituisce la tecnologia fondamentale del mondo. La curiosa e bizzarra conclusione giungerà a mischiare profondamente le carte tra umani e golem…
L’evoluzione della scienza umana è uno smilzo e stringato rapporto su come gli uomini sono e saranno via via sostituiti dai «metaumani», nostri discendenti e creature divenute ormai completamente incomprensibili per noi, mentre l’ultimo dei racconti Il piacere di ciò che vedi: un documentario è la storia di un esperimento veramente inconsueto (e pericoloso): il tentativo di creare un rapporto umano che cancelli completamente la percezione della bellezza, lasciandoci indifferenti alla sua presenza.
Storie poco comuni e decisamente impossibili da catalogare in una categoria narrativa precisa, raccontate da un autore che, come Theodor Sturgeon, è entrato nel genere della fantascienza unicamente perché le sue storie – fantastiche, mistiche e paradossali – non avrebbero potuto trovare posto in altre aree narrative esistenti. La realtà è che Ted Chiang scrive e racconta di fondamentali impulsi della mente umana – timore, trascendenza, dolore, passione, solitudine, terrore – scegliendo perennemente un’angolatura imprevista e sorprendente. Le sue divinità – come i suoi alieni o i suoi post-uomini – costituiscono un elemento dato e realmente del tutto inafferrabile per gli uomini comuni.
Il dio di L’inferno è l’assenza di Dio è solo apparentemente crudele ma in realtà del tutto incomprensibile per noi umani a cui non resta che elaborare condotte e forme di comportamento incerte e contraddittorie, cercando inutilmente di interpretarne la volontà. Trovarsi all’inferno, ovvero «Essere oltre l’attenzione di Dio» è l’unica condizione possibile, in realtà, proprio perché l’aver sperimentato l’amore incondizionato per la divinità «non chiede nulla, nemmeno di venire corrisposto».
Leggere Chiang non è un’esperienza comune, a voler essere sinceri. Ci si trova in breve a respirare faticosamente, trasportati troppo in alto e troppo lontano per le nostre abitudini.
D’altro canto il potente, basilare fascino di quanto viene narrato non concede una fuga rapida e comoda.
Ultima nota per la veste grafica proposta da Stampa Alternativa per il volume. Il testo non giustificato e i capoversi sporgenti, dopo la prima reazione di stupore, si rivelano perfettamente adeguati e, insieme alla spaziatura ottimale del testo, favoriscono la comodità della lettura. I miei complimenti a Stampa Alternativa & Graffiti, sia, ovviamente, per la scelta del titolo che per la grafica del volume.