Questa è una recensione del numero 33 di LN-LibriNuovi, uscito nel marzo del 2005. Non è una recensione qualsiasi, essendo una testimonianza – sia pure minima – del grande lavoro che Sciallis, recentemente scomparso, conduceva nel mondo del fantastico italiano, sia mediante il suo blog, Malpertuis – il cui titolo riprendeva un classico dell’horror di Jean Ray – che nelle sue attività di narratore, osservatore, recensore e attento osservatore del panorama sia letterario che cinematografico. La recensione, firmata da Silvia Treves, è un modo per noi tutti di ricordarlo.
Nel panorama del fantastico «nostrano» è incoraggiante scoprire autori che, senza rinnegare i debiti con i grandi maestri anglosassoni ed europei, cercano di seguire nuovi e personali sentieri. È il caso di Elvezio Sciallis e della sua antologia Il Dio nell’alcova.
Che cosa hanno di particolarmente originale questi otto racconti? Innanzitutto una varietà di temi e atmosfere che spaziano da un buon horror fantastico, venato di umorismo malevolo di matrice lovecraftiana (molto più difficile da scrivere di quanto pensino molti autori e lettori), alla fantascienza, a un horror quotidiano, da vicino della porta accanto, accostabile a quello di Danilo Arona nella scelta di atmosfere e luoghi della provincia italiana.
Mentre la provincia di Arona è padana, soffocante d’estate e cupa e nebbiosa d’inverno, e trasuda fantasmi e presenze malevole insieme all’umidità di pianura, la provincia di Sciallis è spazzata dalla brezza di mare, calata in una Liguria di Ponente che scardina i profumi di fritti di pesce e abbronzanti al cocco che hanno in mente i torinesi che la frequentano abitualmente.
Nei racconti di Sciallis si trovano echi di autori ormai classici del genere: Il dio dell’Alcova è una buona variazione sui temi prediletti di Arthur Machen, ibridati con il fascino implacabile delle antiche divinità naturali descritte da Vernon Lee. Il riferimento immediato di Ombre nella pioggia è Lovecraft, in particolare La maschera di Innmouth, un racconto che, malgrado l’atmosfera orrorifica, mi ostino a ritenere «a lieto fine» per l’accettazione finale della propria vera natura. Ombre nella pioggia, però, utilizzando ingredienti molto simili, cambia completamente strada, disegnando senza alcuna catarsi finale un’alterità irriducibile e differente da quella umana.
Potente anche A caccia, un apologo beffardo sull’avidità ottusa di molti nostri connazionali che – armati di fuoristrada, gadget high tech e stupida mondanità – si agitano senza fine e senza scopo, convinti di poter continuare a condurre la «solita» vita, senza comprendere che lo scenario è irrimediabilmente cambiato. A distanza di quindici anni, A caccia è il racconto che, più di tutti, predice un futuro poco distante, protervo, razzista e irrimediabilmente squallido. Il nostro presente.

a ricordare Elvezio anche con questa immagine c’è Francesco Ceccanea, autore di un articolo al quale volentieri rimandiamo (*).
Notevole Scavando nel fuoco, un’abile rivisitazione di temi cari ai registi di genere – quelli che gli anglosassoni chiamano di exploitation – primo fra tutti quello del cinema come testimonianza inesorabile del reale, del diverso e del mostruoso: tornano in mente pellicole cult come L’occhio che uccide e i tanti B-movies nei quali genio e follia si mescolano e scienziati pazzi trasformano chirurgicamente i corpi delle loro vittime.
Altri racconti – Un gioco d’ombre e Compagno di giochi, ad esempio – convincono meno, nonostante alcune immagini potenti e il disegno essenziale ma ben condotto dell’ambiente. Sono racconti nei quali la solidarietà verso i personaggi (rispettivamente un gruppo di anziani che la modernità separa irrimediabilmente dalla loro terra e una piccola vittima degli adulti) balza in primo piano, costringendo i lettori a schierarsi, e spezzando quella sospensione di giudizio che è la condizione sine qua non del genere fantastico. Questa partecipazione e, talvolta, l’intervento diretto dell’autore nella narrazione, sono i limiti dell’antologia.
Il punto di vista di Sciallis sulla scrittura è comunque ben spiegato dalla lettera allegata a ogni copia dell’antologia, nella quale l’autore propone un patto decisamente inusuale ai lettori: pagamento a lettura conclusa e solo se soddisfatti. Altrimenti:
«pace. Io ci ho provato. Non dovrai inviarmi nulla e… Non so, abbandona il libro in giro in modo che qualcuno lo possa raccogliere e magari leggerlo».
Io, la mia copia me la sono tenuta.
Elvezio Sciallis, Il Dio nell’Alcova, Associazione culturale Il Foglio, 2004, pp. 80, € 6,00
(*): qui l’articolo citato.
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