Questo romanzo è stato pubblicato con vari titoli, sia in Italia – Il telepatico, Il telepate e Sogna, superuomo! – sia all’estero: Telepathist (titolo britannico) e The Whole Man (titolo statunitense). La copia che ho in mano, riletta da poco, è Il telepatico, trad. Ugo Malaguti, collana Tascabili Fantascienza n° 15, Editrice Nord, 1992. Ma la mia copia, quella che mi ha fatto conoscere Brunner – e che, purtroppo, ho perso – è stata Sogna, superuomo!, trad. Ugo Malaguti, collana Galassia n° 95, La Tribuna, 1968. Nonostante questo NON sia il titolo scelto dall’autore – e quindi sia nato per quel tipo di forzatura un tempo molto ammessa in Italia per la narrativa di genere Sogna, superuomo! è a suo modo adeguato, come spiegherò più avanti.
Trovai il romanzo in casa, nel gran mucchio di libri di fantastico dei miei genitori. Fu più di una scoperta, fu una rivelazione che entrò in profondità, condizionando come solo qualche altro romanzo, il mio immaginario. Rileggendolo poche settimane fa mi sono resa conto di alcune sue debolezze che, comunque, nulla tolgono a ciò che mi ha regalato. Non devo essere l’unica a pensarla così: con una breve ricerca in lingua inglese trovereste una montagna di recensioni e di commenti sul testo. Alcuni recensori e lettori ne parlano benissimo, altri ne parlano così così, qualcuno francamente male. Ma, come scrive uno di loro, che dal punto di vista del gradimento si colloca a un livello appena medio:
Nel complesso, tuttavia, questo è uno dei migliori romanzi sull’ESP che abbia mai letto.
Il romanzo, come tale, fu pubblicato nel 1964, frutto della fusione di tre storie di poco precedenti: City of the Tiger (1958), The Whole Man (1959) e Curative Telepath (1959). dell’origine patchwork rimane chiara traccia nei tre libri della versione finale: Molem, Agitat e Mens.
Per John Brunner quella manciata di anni, e questo libro in particolare, segnarono il passaggio da una fantascienza avventurosa e d’azione a una narrativa molto più complessa e di pensiero, come testimonia anche il volume successivo (Tutti a Zanzibar, 1968). Il setting del romanzo, nonostante non venga esplicitato, è probabilmente la Londra di un futuro non lontano. Il Regno Unito, piombato in una grave crisi politica che scivola verso la guerra civile, viene occupato dai pacificatori delle Nazioni Unite. Tra loro ci sono numerosi telepati, soprattutto la migliore: Ilse Krostadt. Proprio in questo pessimo periodo nasce Gerald Howson, messo al mondo con leggerezza da una donna decisa a farsi sposare dall’amante, tanto da infischiarsene delle probabili tare genetiche della famiglia. Gerald, quindi, nasce storpio (è così che lo definisce la madre e che lo considerano tutti) ed emofilico, condannato non solo a continui dolori fisici ma, soprattutto, ad accettare la pietà o il disprezzo degli altri, e a guardare il mondo dal basso della propria statura. Dalla sua ha poche, ma fondamentali doti: è estremamente intelligente, deciso, autosufficiente.
A vent’anni, Gerald Howson era convinto che il mondo, indifferente quando era nato, fosse indifferente anche adesso: e passò tutto il tempo possibile ritirandosi da quel mondo per entrare in un universo privato, dove nessuno lo fissava con aria strana, nessuno lo rimproverava per la sua goffaggine, nessuno si risentiva della sua esistenza, e del fatto che il suo aspetto fosse un’offesa alle forme di un essere umano.
Dopo varie vicende, Gerald scopre di possedere un talento inimmaginabile. Insieme al ragazzo lo scopre il mondo intero: la sua potenza è tale da essere percepita da un altro telepatico in servizio su un satellite. Il telepatico è un romanzo di formazione che segue la crescita umana, il coinvolgimento emotivo e l’addestramento professionale di Gerry, il telepate più potente del proprio tempo.
I valori di questo strano libro, un unicum tra le opere di Brunner, sono fondamentalmente due e si intrecciano: la vita interiore di Gerald, un giovane così potente e così fragile, e la costruzione attenta di un mondo futuro solo parzialmente sovrapponibile al nostro. Un mondo che non ha vissuto la Guerra fredda così come noi la conosciamo ma che pure affronta, in modo diverso, gravi conflitti e fallimenti. Se non è davvero distopico, lo si deve al lavoro continuo dei costruttori di pace, spesso telepati soltanto ricettivi e, soprattutto, normali dotati di grande empatia, capaci di intuire l’umanità degli altri. È un mondo nel quale non alberga il razzismo, tranne quello sommesso verso i telepati, e nemmeno il sessismo, per comprenderlo è sufficiente leggere le pagine dedicate al mondo cosmopolita e rispettoso di Ulan Bator, la capitale dell’OMS per l’Asia, dove Gerry fa il proprio apprendistato e diventa un telepate curativo. Ma è anche un mondo dove l’ignoranza e la povertà non sono state ancora battute. A distanza di tanti anni dalla pubblicazione, Il telepatico pare svolgersi in una sorta di retro-futuro.
Dal punto di vista narrativo, il romanzo è ricco di invenzioni felici, a cominciare dal gruppo catapatico, una fusione mentale sostenuta dall’inventiva e dalla capacità visionaria del telepate più forte del gruppo. Gioco rischioso a cui molti telepati indulgono, il gruppo catapatico può implodere su se stesso, se la mente più forte non vuole più affrontare una realtà che odia, e risucchia i compagni nel proprio mondo. Una tentazione, quella di sognare un mondo su misura, che giustifica il titolo scelto per la collana Galassia, Sogna, superuomo!
Un altro momento coinvolgente è l’incontro del giovane Gerald, ferito e in fuga dalla propria città natale, con una ragazzina sordomuta. I due si aiutano a vicenda e Gerry è letteralmente la prima persona che riesce a comunicare con lei.
Riguardo a se stesso e al proprio talento, Gerald si sente due volte emarginato: per la difformità fisica, impossibile da nascondere, alla quale la varia umanità che lo circonda reagisce con disprezzo oppure con pena, tuttavia sempre percependolo altro da sé… Ma anche per il proprio talento. Ancora prima di scoprirsi tale, Gerald pensa ai telepatici senza l’invidia e il timore che provano i “normali”, piuttosto li considera persone condannate alla solitudine, separate dal mondo a causa di un’anomalia mentale.
Era abbastanza disincantato da comprendere che l’ammirazione per i telepatici […] era artificiale […] consciamente si capiva che i telepatici stavano salvando la vita, la ragione, e guidavano i paesi (come quello) su una strada che si allontanava dal precipizio della guerra… eppure l’allarme istintivo sgorgava, indipendentemente dalla ragione…
Nell’ultimo terzo del romanzo Gerry, ormai oltre la trentina, decide di sperimentare da solo la realtà che negli ultimi dieci anni gli è giunta soltanto filtrata dalle menti altrui. Si mette in gioco tornando nella propria città. Qui ritrova le conoscenze di un tempo, e viene accolto da un gruppo di studenti e artisti che potremmo definire della controcultura. Il rapporto con un paio di loro cambierà significativamente la sua vita.
A essere sincera, le ultime trenta pagine, anche se ricche di spunti (l’autore, fra l’altro, adombra le possibilità, ancora di là da venire, di usare nuove tecnologie digitali nell’arte) sono meno incisive. Un po’ come se Brunner avesse già superato il climax e stesse costruendo una buona conclusione, soddisfacente per i lettori e per Gerry. Ma Il telepatico resta comunque una lettura ricca, emozionante e piena di sensibilità.
Fra le tante riflessioni che questa rilettura mi ha suggerito c’è lo stupore per potere che l’ONU esercita nel mondo de Il telepatico. Se la fantascienza avesse il compito di predire il futuro, invece di dover porre domande in merito, direi che Brunner è stato troppo ottimista. In questo nostro futuro, ormai divenuto presente, constatiamo ogni giorno quanto sia esiguo il potere delle Nazioni Unite. Quanto al fatto che il telepati immaginati da Brunner siano tutti assunti, difesi e controllati dall’ONU… che dire: qui, il capitalismo rampante si comprerebbe i telepati per tutti gli usi ignobili che possono venirvi in mente. E così provo un po’ di invidia per il mondo di Gerry Howson.
Tra i meriti del John Brunner del 1964 c’è, in ogni caso, la scelta di creare un protagonista “diverso”, complessato e fragile, eppure medico della mente che aiuta i pazienti problematici a guarire. Oggi personaggi così sfaccettati sono abbastanza comuni ma non negli anni Sessanta. Merito di anticipatori come Brunner e dell’interesse della New Wave per lo “spazio interiore”.
Per finire vi consiglierei una bella recensione scritta da Jo Walton nel 2011. Mi piace, ovviamente, per cose sotto cui metterei la firma, dall’amore per il romanzo provato da ragazzo alle critiche obiettive che solleva dopo una lettura da adulto, ma soprattutto per il finale che celebra la maturazione dell’autore negli anni successivi.
John Brunner, Il telepatico, Nord 1992 [1978], coll. Tascabili Nord, ed.or. 1964, pp. 236, ed. fuori commercio, trad. Ugo Malaguti
John Brunner, Il telepate, Urania Collezione 169, Mondadori 2017, disp. in e-book.
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