[Si completa la presentazione del testo dell’intervento tenuto nell’ambito dello spazio Il Lettore Spaventoso alla XVIII Edizione del TOHorror Film Fest | Festival Internazionale di Cinema e Cultura del Fantastico. Qui la prima parte.]
Nell’ambito di questa rubrica normalmente si parla di novità librarie, ma il tema “Streghe” scelto per il TOHorror 2018 suggerisce di aggiungere almeno una piccola appendice in materia. Attenzione, parliamo di streghe, non genericamente di stregoneria, che spalancherebbe il discorso a riflessioni più ampie sull’occulto, la magia nera (inevitabile pensare a certi romanzi di Dennis Wheatley), il rapporto con la figura diaboli, gli aspetti sanzionatori e processuali eccetera: i nomi di Norman Cohn, Mary Douglas, Brian P. Levack, Robert Mandrou, Keith Thomas, o, per l’Italia, di Franco Cardini e Giorgio Galli spiccherebbero in un elenco ideale. Ma anche ritagliando l’attenzione al profilo della strega il tema resta sconfinato, e mi limiterò a qualche titolo che ha più colpito l’immaginario collettivo. Poco importa che, sul piano scientifico, alcuni siano datati o discutibili, perché si tratta di opere che è importante conoscere e sono rimaste punti di riferimento di un dibattito.
Partirei dal bel classico ottocentesco di Jules Michelet, La strega (La sorcière, 1862), tradotto in Italia per Stampa alternativa (2005) e più di recente da Bur (2011), sorta di inno romantico alla strega, un po’ a metà tra saggio e romanzo. L’autore (1798-1874), grandissimo storico francese – liberale, anticlericale – dalla produzione molto ampia e varia, qui si discosta persino dalle proprie precedenti posizioni critiche sulla stregoneria, individuandovi ora una dimensione di reazione popolare, ingenua e magari allucinatoria, ma in qualche modo comprensibile, a un certo tipo di oppressione sociale e religiosa.
Da citare anche lo stranissimo e affascinante testo fine-ottocentesco Il vangelo delle streghe (Aradia, or the Gospel of the Witches, 1899) dello studioso di folklore americano Charles Godfrey Leland (1824-1903): composto sulla base di rivelazioni o fantasie di una tal Maddalena, presunta depositaria di un culto streghesco italico – per la precisione toscano – è stato proposto da Stampa alternativa (2001) e più recentemente da Olschki (2017). Il testo comprende una parte saggistica di Leland sulle sue ricerche in Italia ma anche la traduzione inglese di un manoscritto fornito – si dice – dopo lunga attesa e reiterate richieste dalla sua misteriosissima fonte: una donna dalla fama di maga, forse identificabile in tal Margherita Taleni (o Zaleni) di Firenze, e che fornisce all’americano entusiasta una quantità di materiale. Figura centrale del culto sarebbe questa dea Aradia figlia incestuosa di Diana e di Lucifero, una specie di Anticristo al femminile giunta in terra per diffondere la stregoneria tra la gente delle campagne in opposizione al credo cristiano. Molto difficile valutare la natura di tali rivelazioni, e gli studiosi sono divisi.
Ancora, pensiamo alle opere di Margaret Murray (1863-1963), egittologa e antropologa, sulla presunta sopravvivenza di un culto del dio cornuto – più o meno identificabile in figure come Dioniso e Pan greci, il Fauno romano, il Cernunnos celtico, l’Herne anglosassone – a monte della stregoneria medioevale. Il suo testo-chiave è Le streghe nell’Europa Occidentale (The Witch-Cult in Western Europe, 1921, l’ultima edizione italiana sembra quella per Terra di mezzo, 2012) che consacra la fama dell’autrice come esperta del tema; anche se poi varerà un volume più divulgativo, non accademico, Il dio delle streghe (The God of the Witches, 1931), di enorme fortuna e che continua a essere proposto nel catalogo Astrolabio-Ubaldini. Le tesi di Murray (che peraltro la magia la praticava, scagliando fatture contro accademici nemici, e forse – si dice – contro il Kaiser Guglielmo II durante la Grande Guerra) sono oggi in generale rifiutate dagli antropologi per la fragilità scientifica di alcuni assunti; ma sicuramente si tratta di libri affascinanti che meritano la lettura almeno in chiave di provocazione culturale. Alcune sue idee sono state peraltro riconsiderate – sia pure in modo critico e dialettico – da Carlo Ginzburg, già autore dell’importantissimo e discusso I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento (1966), in un libro molto più tardo, Storia notturna. Una decifrazione del sabba (1989, ultima edizione Adelphi 2017) che sul tema va assolutamente letto. Lo scenario proposto da Ginzburg vede l’ambigua e frammentaria sopravvivenza tra antichità e medioevo di elementi sciamanici della prima Europa: un approccio problematico molto diverso da quello canonizzato a proposito della stregoneria da una certa versione naturalistica e un po’ New Age a tutt’oggi diffusa.
Sempre in questa chiave critica e con la dovuta prudenza – almeno se vogliamo portare avanti un discorso scientifico – merita avvicinare gli scritti di Gerald Gardner (1884-1964), padre della neostregoneria e – alla grossa, il discorso sarebbe più complesso – dell’odierna Wicca. In Italia è stato pubblicato per esempio il suo La stregoneria oggi (Witchcraft Today, 1954, in Italia per i tipi Venexia, 2007), cioè il testo con cui per la prima volta Gardner rende nota al grande pubblico l’esistenza dei gruppi stregonici, a seguito della depenalizzazione della stregoneria nel Regno Unito con l’abolizione nel 1951 dell’ultimo Witchcraft Act.
Mai pubblicate in lingua nostrana, ma citerei l’autore perché ha un peso nella storia dell’occultismo anche e proprio a proposito delle streghe, le opere di Augustus Montague Summers (1880-1948): un personaggio per più versi spiacevole, prete ma dall’itinerario ecclesiastico almeno bizzarro e soprattutto erudito di strambo carattere, studioso di letteratura e di occulto, appunto autore di ben quattro titoli sulla witchcraft (The History of Witchcraft and Demonology, 1926; The Geography of Witchcraft, 1927; A Popular History of Witchcraft, 1937; Witchcraft and Black Magic, 1946). Per lui le streghe erano – o piuttosto sono – realmente agenti del male, pesti sociali e parassiti giustamente sanzionate con strumenti ammirevoli (rendiamoci conto) come il ripugnante Malleus maleficarum: un personaggio insomma da prendere con le molle. Eppure, in termini ovviamente critici, Summers sarebbe da tradurre, perché le sue opere si presentano come importante documento d’epoca e hanno rappresentato un punto di riferimento per ciò che il grande pubblico di lingua anglosassone – quindi platee enormi – ha potuto sapere su questi temi. Anche se, va detto, il riemergere recentissimo di forme di oscurantismo becero (confessionista o meno) che credevamo archiviate, potrebbe pure trovare lettori allineati sulle sue posizioni.
Tra gli studi italiani ricordo senz’altro il classico Le schiave di Diana: stregoneria e sciamanismo tra superstizione e demonizzazione di Massimo Centini (ECIG 1994), che però al tema delle streghe ha poi dedicato parecchi altri testi di taglio antropologico. Tra gli studi regionali sul fenomeno, una pista intrigante è quella seguita in un breve saggio di Luigi Boccia e Antonio Daniele, Arcistreghe. Origini e folklore della stregoneria campana (per Il Foglio-MacabroShow 2003) che suggerisce per l’area citata ipotetiche connessioni tra l’immaginario stregonico e un substrato romano o preromano.

Massimo Centini
Fin qui sui libri: ma i frequentatori del TOHorror potrebbero essere interessati dai musei sulla stregoneria che sorgono qui e là nel mondo. In Italia abbiamo per esempio il Museo Etnografico e della Stregoneria di Triora, località ligure memore di un famoso processo nel 1587; mentre a sud, nell’area del famoso noce streghesco, si è di recente aperto Janua – Il Museo delle Streghe di Benevento. Fuori dai confini italici gli esempi sono assai più numerosi, dal Museo della Magia e della Stregoneria Islandese di Holmavik appunto in Islanda, al Museo delle streghe di Riegersburg nella Stiria austriaca, al Salem Witch Museum in Massachusetts che rievoca il famoso caso del biennio 1692-1693. Ma in particolare consiglierei a chi fosse in vacanza nell’Inghilterra sudoccidentale una visita a Boscastle: un villaggio delizioso in un fiordo della costa settentrionale della Cornovaglia, dove il Museum of Witchcraft and Magic presenta un’impressionante raccolta su ogni sfumatura dell’occulto, stregoneria compresa.

Bocastle’s Museum of Wicthcraft and Magic
Il tema del festival permette però al Lettore Spaventoso di aggiungere in margine qualche ulteriore riflessione. Il TOHorror vanta un primo punto di forza della sua comunicazione nella qualità del materiale grafico e fotografico, a partire da locandine brillanti: non è scontato e non è un dettaglio senza peso, perché in età moderna l’arte delle locandine rappresenta un filone importante. Poster e flani ci avvicinano ai film in modo assai più diretto e profondo di quanto possano fare le recensioni, e le relative immagini entrano in qualche modo nel tessuto vivo dell’esperienza-film e nella storia delle pellicole. Qualcosa del genere vale per le locandine di iniziative culturali, festival eccetera, che non sono soltanto un freddo biglietto da visita, ma – come può insegnarci qualunque grafico un po’ navigato – suggeriscono qualcosa di un bacino di idee e di sogni. Ora, nel caso della presente edizione del TOHorror la magnifica locandina (grafica dell’instancabile Tony Kelvin Mazzeo, Pixatonic Design) è costruita sull’immagine notturna, illuminata da fuochi laterali, di una giovane strega dall’espressione assorta, estatica: alla base è una foto di Isabella Quaranta in arte Indiesigh, una dei due bravissimi fotografi “storici” della manifestazione (l’altro è Simone Chiappinelli). In occasione del festival, Indiesigh ha anzi presentato nei locali del Blah Blah Cineclub una piccola mostra personale: e a queste immagini vorrei dedicare qualche parola.
Il tema delle streghe è stato associato da tutto un filone di studi a una rivendicazione di naturalità da parte delle donne – corpi, erbe, fluidi – contro istanze e forzature imposte da una civiltà patriarcale. Al di là delle precisazioni scientifiche sui corretti termini della questione, quest’interpretazione offre spunti preziosi: e regala un’intelligente cornice alla mostra fotografica in questione, anzi più in generale alla produzione di Isabella Indiesigh. Le cui fotografie – ma parlerei senz’altro di tavole, come per la pittura – raccontano o piuttosto evocano, suggeriscono situazioni d’immersione nella natura quasi in forma di sortilegio: un’immersione negli elementi, di profondità assoluta e silenzio e mistero. È magia evocare figure come sul fondo di acque profonde (ma non sempre è così), o sollevate nell’aria tra vortici di vento carichi di foglie (ma forse non sono sollevate affatto). È magia cogliere le glorie di luce danzanti attorno a una figura che danza in un bosco autunnale, o forse sospesa sopra uno specchio; ed è magia il senso di onestà, di autenticità – nessun compiacimento, nessun manierismo estetizzante – che queste immagini comunicano anche nelle soluzioni a volte elaborate (penso alla tavola dove mani misteriose emergono come da un muro afferrando una figura femminile: una suggestione iconica di grande forza e allusività). Lo stesso uso del colore suggerisce un senso di profondità; e le presenze in scena non sono ninfe, ma creature umane con tutta la dignità dei corpi e una delicatezza che è un modo di avvicinare la realtà. Anche dando a Cesare quel che è di Cesare, in particolare all’ottima danzatrice Elisa Spagone che torna in parecchie foto con il suo movimento armonioso (di grande interesse i suoi spettacoli), la capacità di cogliere quell’attimo sta nell’occhio della fotografa. La tavola In your burning hand con cui a novembre Indiesigh parteciperà al festival di fotografia Image Nation Paris fa pensare alla gentilezza dei preraffaelliti, e in effetti in queste foto d’acque e fremiti Ophelia sembra di casa.
In un’edizione del TOHorror tutta dedicata alla strega ma anzitutto come immagine temuta, demonizzata, marginalizzata della donna, mi pare che il mondo evocato con tanta poesia da Isabella Indiesigh – rinvio al suo sito, con immagini meravigliose, veri sussulti dall’underground come cifra il suo nome d’arte – costituisca non solo uno sviluppo coerente che arricchisce il quadro, un regalo in più da parte del festival, ma l’indicazione di una pista concreta. Perché senza un certo modo di vedere – di vedere profondo, nei sussulti silenziosi e lungo i sentieri sottili di ciò che davvero siamo e potremmo essere – la magia non è possibile.
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