Oggi, i termini «casa infestata» fanno immediatamente venire in mente orde di insetti poco simpatici (in realtà, a me le formiche piacciono, ma sono ospiti problematici) o di pessimi roditori che si aggirano per casa. Gli spiritisti e spiritualisti otto-novecenteschi (e immagino anche quelli del nuovo millennio), invece, considerano infestata una casa legata stabilmente a uno o più spiriti, di solito mal morti e spesso in cerca di giustizia, che in essa abbaino abitato o vi siano stati uccisi e/o sepolti. Le manifestazioni della loro presenza possono essere visive – apparizioni, nebbioline, luci – e auditive – gemiti, rumori di catene, colpetti battuti su porte, finestre, pareti. Il folklore, ma anche le tradizioni di famiglia riportano innumerevoli storie di case infestate e, probabilmente se ne trovano tracce in tutte le civiltà e in ogni tempo; storici e intellettuali delle epoche passate non hanno disdegnato di riportarle (Plinio il Giovane, ad esempio ne ricorda una – qui citata – diventata un piccolo classico). Ma gli spiritualisti americani e inglesi ne fecero un campo di studio vero e proprio, utilizzando metodologie scientifiche e strumenti «moderni» come la fotografia. Il curatore Scalessa ne scrive in maniera interessante nella sua introduzione, sottolineando come, a differenza dell’ampia corrente di pensiero scientifico che portò alla scoperta dell’Inconscio, altre ramificazioni quali il mesmerismo e l’ipnotismo cercarono di individuare e studiare campi di forza invisibili ma fatti di atomi, quindi fisici, che si propagano attraverso l’etere anche a grandi distanze ed esercitano il loro effetto su persone e oggetti. I fantasmi, in sostanza, sarebbero ciò che resta dei vivi e avrebbero una loro consistenza materiale percepibile da soggetti particolarmente sensibili.
Tra gli aspetti più interessanti il ruolo, non così ovvio quanto può sembrare, della luce e del buio nelle storie/testimonianze di infestazione: al di là del significato salvifico della luce che scaccia il buio-male (ma non tutte le luci sono così potenti) gli infestatori sono in sostanza ombre e proprio in quanto tali si stagliano nel buio come oscurità più intense e pericolose. Di qua, viene da pensare, la difficoltà crescente di scrivere racconti di spettri nel nuovo millennio, quando chiunque può sconfiggere l’oscurità con la luce potente di una «torcia LED superluminosa» scaricata sul proprio cellulare.
Ben differente da un semplice luogo, la casa infestata è la protagonista incontrastata sia delle indagini degli spiritualisti, sia dei racconti che sono all’origine del loro lavoro e, ovviamente anche di tutte le belle storie scritte in proposito: i personaggi umani sono soltanto comprimari. Giustamente, Scalessa dedica loro belle pagine, con opportuni esempi, sottolineando le due tendenze seguite dai narratori: quella della casa «normale», simile a tutte le altre della zona, che solo «poi» rivela la propria peculiarità, e quella «strana», che fin dall’inizio produce malessere in chi la osserva o vi passa accanto.
Il fenomeno dell’infestazione, in ultima analisi è alla base di due interessanti processi: il primo, di interesse prevalentemente immobiliare, fa calare vertiginosamente il prezzo di affitto o vendita delle case infestate, l’altro, quello che motiva la mia recensione, fa nascere un’infinita serie di racconti sulle case dove «ci si sente», ed è pertanto di interesse letterario e ludico. Ed eccoci ai racconti dell’antologia.
Quasi tutti i racconti risalgono agli ultimi anni del secolo XIX, un periodo di grandi novità sia tecnologiche sia degli studi sulla mente e questo contribuisce a rendere significativa l’antologia; inoltre Scalessa ha escluso dall’antologia racconti di infestazione che vedono all’opera investigatori dell’occulto come John Silence di Blackwood, per sottolineare l’unicità di ogni vicenda narrata. I protagonisti, quindi, qualunque sia la ragione che li ha spinti a confrontarsi con il soprannaturale sono tali e quali a noi, con il loro bagaglio di pregiudizi, diffidenze, incapacità di vedere oltre il quotidiano, armati soltanto della loro insufficiente razionalità.
Apriamo il volume.
Gli infestati e gli infestatori, o la casa e la mente di E. G. Bulwer-Lytton (1859) è una vicenda molto articolata che ha luogo in una lunga notte. Ne è protagonista un agiato gentiluomo in cerca di avventure, ben deciso a scoprire chi o cosa infesti la bella casa appena abbandonata da un amico e dalla consorte. Senza aver mai visto nulla di particolare, i due sono stati messi in fuga dall’atmosfera di «indefinibile terrore» che emanava da certe stanze… Un classico! Ma il gentiluomo, che è tanto ricco da potersi togliere il capriccio, affitta la casa e la fa sistemare per trascorrervi una notte confortevole dal suo domestico di fiducia, «un giovanotto allegro e di temperamento coraggioso, oltre che libero da superstiziosi pregiudizi come nessun altro al mondo». La notte sarà ovviamente molto agitata e soddisfacente per i lettori.
Un autentico caso di infestazione di J. S. Le Fanu, del 1862, è un racconto gradevole, con qualche trovata molto efficace, che non mette alla prova i nervi del lettore ma avrebbe potuto ravvivare una serata natalizia davanti al caminetto. Tra le particolarità offerte dal racconto il coinvolgimento di un’intera famiglia e di una numerosa servitù la quale, smentendo i nostri pregiudizi, pare molto meno propensa a invocare il soprannaturale dei più colti “padroni”.
La sedia a dondolo di Charlotte Perkins Gilman, autrice del più noto e tremendamente efficace La carta da parati gialla, è un racconto del 1893 e presenta non un luogo ma un oggetto infestato, la sedia a dondolo del titolo. Ambiguo e complesso sul tema dei ruoli legati al genere, presenta la classica contrapposizione tra due giovanotti amici: uno «materialista e razionale» e l’altro «sensibile e idealista». Molto ben condotto il racconto descrive fra l’altro la vita dei ragazzi, spiranti giornalisti e per il momento «articolisti da un centesimo a parola» in cerca di un paio di camere anche senza servizi e senza pasti, purché ultra economiche. Il tema ritornerà in un altro racconto.
Anche La sala rossa di H.G. Wells (1894) racconta una lunga notte, trascorsa per scommessa nella grande sala di un grande castello. Tra gli elementi che rendono interessante la lettura c’è la efficace (anche se politicamente scorretta) contrapposizione tra il giovane protagonista, rappresentante del razionalismo e i proprietari del castello, vecchi e pieni di acciacchi, nonché risoluti a credere nell’infestazione. L’altro aspetto degno di nota è la maniera in cui l’infestazione si manifesta, che non solo richiama inevitabilmente la simbologia bene-male ma fa leva sul terrore forse più profondo di noi primati.
Il fantasma finto e quello vero di Louisa Baldwin (1895) è una variante interessante del racconto soprannaturale di cornice natalizia. Si svolge infatti proprio durante le vacanze di Natale e ha per protagonisti tre amici studenti e una giovane vicina, simpatica e poco convenzionale. Novella letteraria anche nelle citazioni, fornisce interessanti notazioni sociali e di genere.
Rue Monsieur le Prince, n. 252 di Ralph Adams Cram (1895) declina il topos della casa infestata in maniera piuttosto insolita, grazie a un autore prestato alla narrativa di genere per un unica opera, l’antologia fantastica Black Spirits and White, di cui Rue Monsieur… faceva parte. Fautore del neogotico statunitense e appassionato di arte medievale, Cram fa della casa la vera e unica protagonista della vicenda e ce la mostra esplorandola dall’esterno, austero e volutamente isolato dagli occhi dei curiosi a un interno labirintico, sontuoso e perturbante. Punto di passaggio il cortile:
Nudo, disseminato di cartacce soffiate dal vento, frammenti di legno e pagliuzze, minaccioso per la guizzare delle luci e la sfilata delle ombre, mentre filacci di vapore si trascinavano in alto, nascondendo le stelle a tratti, e nessun suono giungeva dalla strada…
E questo è solo l’inizio. Racconto complesso e complicato, con descrizioni firmate da un vero professionista.

Algernon Blackwood
Il caso dell’uomo che origliava (1900) è scritto da un grande della ghost story, Algernon Blackwood. L’uomo che origlia suo malgrado è un giovanissimo Jim Shorthouse, già protagonista insieme alla zia del bellissimo La casa vuota. Come i due amici de La sedia dondolo anche Jim giunge in una grande città americana per fare il giornalista, una eventualità evidentemente non così rara nel mondo cittadino statunitense a cavallo tra Ottocento e Novecento e che, probabilmente, consente ai protagonisti di queste storie di vivere le loro avventure con sguardo non smaliziato ma pieno di curiosità. Esiste anche qui il problema dell’alloggio:
Non ci sono «appartamenti studenteschi» nelle città americane, Le soluzioni per i piccoli redditi sono abbastanza tristi – camere in pensioni dove si servono pasti o in dormitori dove non si servono affatto – e non prevedono nemmeno la colazione.
Scabro ma e molto efficace nel tratteggiare i personaggi del giornalista e dell’affittacamere, il racconto di Blackwood colpisce il bersaglio come una freccia regalando a chi legge un’inquietudine che perdura oltre il termine del racconto.
Arthur Morrison, autore de La presenza nella camera all’ultimo piano (1910) fu anche giornalista e si dedicò soprattutto al poliziesco ma scrisse una raccolta di racconti a tema soprannaturale e, a parte, pubblicò questo racconto su una rivista. I temi già trattati della camera stregata, dell’alloggio a prezzo più che conveniente perché nessuno vuole affittarlo, della giovinezza che sfida il pregiudizio si mescolano in maniera interessante, con un’ulteriore sottolineatura: il protagonista, un pittore povero che ha bisogno disperato di un alloggio, non è disposto ad ammettere, nemmeno con se stesso, l’inquietudine che la camera gli provoca:
Attwater pensò che si sarebbe disprezzato se avesse indietreggiato di fronte a quella opportunità: sarebbe stato uno di quei segreti rimorsi che riaffiorano di tanto in tanto alla mente di un uomo, facendolo arrossire in solitudine.
Ben condotto, il racconto è breve e trascina verso la conclusione ad effetto che probabilmente ha per molti lettori (e spettatori) un che di familiare… scritta nel 1910, però, vanta dei diritti rispetto agli emuli che l’hanno ripresa nei decenni successivi.
In conclusione una lettura interessante e piacevole, con l’aggiunta dei validi interventi di Gabriele Scalessa. Se volete un consiglio leggeteli, sia le brevi introduzioni ai racconti sia l’interessante prefazione, DOPO i racconti. Questo vi risparmierà, oltre ai piccoli e inevitabili spoiler, anche la sovrapposizione del punto di vista, più esperto e tecnico, del curatore sul vostro.
Aa.Vv., Gli inquilini del piano di sopra, Nova Delphi, pp. 256, € 11,00, cur. di Pasquale Scalessa
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