I Premi Hugo 2002, canto del cigno dell’editrice Nord, ebbe a suo tempo la funzione di completare la lunga serie di volumi che l’Editrice Nord dedicò al principale premio letterario della narrativa SF.
Nella raccolta sono presenti il romanzo breve, il racconto lungo e il racconto breve vincitori del premio, rispettivamente Tempi veloci a Fairmont High, di Vernor Vinge, L’Inferno è l’assenza di Dio di Ted Chiang e Il cane che diceva «Bau» di Michael Swanwick.
Il romanzo breve di Vinge si potrebbe definire un esempio estremo di cyberpunk, nel quale qualsiasi riferimento del testo è interno alla situazione data, cioè alla quotidianità di un mondo interamente cablato dove reale e virtuale si intrecciano costantemente. Un testo praticamente perfetto, ricco di suggestioni e di riferimenti ma erto come la facciata di un grattacielo. E comunque, al di là della spettacolosa riuscita formale, un’americanissima storia di adolescenti in un college, povera di humour, priva di tensione e che, ahimé, può regalare qualche momento di noia genuina.
Completamente diverso il discorso per il bellissimo racconto di Chiang, del quale approfitto per ricordare Storia della tua vita, una delle opere brevi davvero magistrali della SF contemporanea.
Il mondo immaginato da Chiang in questo racconto è scandito dalle visitazioni, ovvero dall’apparizione degli Angeli. Alle visitazioni fanno seguito eventi miracolosi e lutti. Gli Angeli non sono benevoli né crudeli: le loro apparizioni rappresentano semplicemente la loro natura completamente aliena.
Delle otto vittime di quella giornata, tre anime vennero accettate in Paradiso e cinque no, con una proporzione leggermente più bassa delle morti in generale.
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Le cose andavano così e l’Inferno, dopotutto, non era fisicamente peggiore del piano mortale […] si poteva vedere l’Inferno come se si stesse guardando attraverso un buco nel pavimento. Le anime perdute non sembravano diverse dai vivi, e i loro corpi eterni somigliavano a quelli mortali.
Il protagonista, Neil Fisk, menomato da una malformazione congenita non prova molto interesse per Dio e per il Paradiso, che considera un’aspirazione irrealistica per lui. Ma sua moglie, Sarah, muore durante una visitazione e raggiunge il Paradiso e per Neil la prospettiva di esserne separato per l’eternità è intollerabile. Ma, naturalmente, Neil non riesce a provare alcun amore per Dio che gli ha sottratto l’unica ragione per vivere e beffardamente gli ha anche tolto la possibilità di raggiungere Sarah grazie a un semplice suicidio. Privo di fede com’è decide di recarsi in un luogo dove è prevista una visitazione nella speranza di ricevere il dono della Fede, com’è accaduto ad altri. Ma anche questa speranza risulterà fallace e la conclusione del racconto rappresenta un formidabile dilemma ontologico che proietta il racconto molto oltre la sua semplice dimensione narrativa.
La speculazione in campo religioso non è una novità per la SF, basti ricordare opere come Maestro dal passato di Raphael Lafferty o Guerra al Grande Nulla di James Blish o, ancora, Mia è la vendetta di Lester Del Rey o Un Cantico per Leibowitz di Walter Miller Jr., non casualmente, tutte opere di notevole livello narrativo. Ma il nitido e surreale mondo di Chiang, dove l’Aldilà, la Salvezza, la Fede, le manifestazioni del Trascendente sono praticamenti quotidiani ed estremamente invadenti, oltre a essere un efficace esempio di speculazione teologica è anche il glaciale ritratto del sentimento religioso negli Stati Uniti dei nostri giorni, di una religiosità esibizionistica, cupa e frivola insieme.
Il cane che diceva «Bau», di Michael Swanwick, è, infine, un racconto di ardua definizione e inquadramento. Una fiaba, verrebbe da definirla, condotta a un ritmo indiavolato, pervasa di humour e ricca di riferimenti all’Alice del Reverendo Lewis Carroll.
Da leggere per apprezzare la sorprendente felicità d’invenzione di un autore meritatamente sempre presente tra i premi Hugo di quegli anni.
Vernor Vinge, Ted Chiang, Michael Swanwick, I premi Hugo 2002, Nord 2003, pp. 158, trad. F. Staglianò
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