
Un libro corposo come volume e impegnativo per un normale lettore, anche se in grado di ricompensare l’indiscutibile fatica di averlo terminato. Parlo di Terminus Radioso di Antoine Volodine, 2016, edito da 66thand2nd (editore del quale consiglio di non perdervi un solo libro).
Il volume è organizzato in quattro parti: kolchoz, elogio dei campi di lavoro, amok e taiga, e si svolge nella Seconda Unione Sovietica, una sconfinata zona contaminata da una terrificante catastrofe che ha coinvolto tutte le centrali nucleari esistenti. I tre soldati che giungono a Terminus Radioso sono contaminati e confusi ma la loro speranza di comprendere e ritornare a una vita normale è destinata a non trovare soluzione nel kolchoz. Il tempo a Terminus Radioso non procede nei modi ai quali siamo abituati, la morte non è definitiva come non lo è la vita, i sogni divengono reali e la realtà può trasformarsi in una visione, i dialoghi tra i personaggi possono essere privi di un significato ragionevole e facilmente comprensibile e qualunque sforzo, impegno, fatica è destinato a naufragare senza possibilità di successo, in un tempo che procede a velocità variabile e talvolta a ritroso. A determinare questa fondamentale instabilità della realtà può forse essere la radioattività largamente presente nell’ambiente o l’incapacità dei personaggi di rapportarsi al mondo postnucleare nel quale devono in qualche modo sopravvivere, ma la sensazione per il lettore è quella di trovarsi nei dintorni di una nuova Chernobyl definitiva, dove la natura vive secondo modi e ritmi inattesi e imprevedibili.

Il kolchoz è guidato da due personaggi ognuno a suo modo centrale nel corso del romanzo: Nonna Udgul, eroina del Partito resa immortale dalle radiazioni, che presidia il sito in cui una pila atomica è sprofondata nel terreno alimentando l’intero villaggio, e Soloviei, padre di una ragazza e di due sorelle, sciamano dotato di strani poteri che vede nel soldato Kronauer, appena arrivato, una minaccia all’equilibrio del villaggio. I rapporti tra Kronauer, Nonna Ugdul e Soloviei divengono il centro di una vicenda che procede senza direzione e senza un finale definitivo.

Leggendo altre recensioni scritte sul libro ne ho incontrata una che coglieva singolarmente il problema – e insieme il pregio – di Terminus Radioso: «Questo libro poteva essere di trecento o di milleecinquecento pagine». Verissimo: se è vero che il talento a tratti notevolissimo di Volodine riesce a rendere perfettamente godibili anche i passi meno afferrabili del testo, resta vero che il libro spesso sfugge agli abituali ritmi di lettura, provocando una curiosa reazione nel lettore. Questo lettore ha abbandonato la lettura – esaperato – intorno a metà libro per poi riprenderla, trascorso qualche mese, e condurla alla fine con grande piacere. Non solo, con l’insistente sensazione che il libro avrebbe potuto procedere oltre senza crearmi problemi.
Il motivo? Non facile da afferrare ma che posso riassumere così: Terminus Radioso racconta il Caos, narrandolo in migliaia di attimi, tutti in apparenza significativi ma che insieme non sono in grado di costruire una storia verosimile, pur creando nel lettore la suggestione di ciò che avrebbe potuto accadere e di ciò che è probabilmente accaduto ma del quale non vi sono testimonianze o dove i testimoni presenti non sono credibili.

Se ve la sentite di affrontare un libro tanto particolare i miei migliori auguri ma se, come me, siete abituati a un certo modo di procedere più piano e regolare preparatevi a odiare Terminus Radioso, a rifiutarlo e a riprenderlo in mano, a nasconderlo in fondo alla pila dei libri che state leggendo e ripescarlo per rileggerlo ancora. In ogni caso un libro che non è facile abbandonare e che è in grado a penetrare profondamente nel vostro modo di vivere la lettura e anche di vedere la vita.
Antoine Volodine, Terminus Radioso, 66thand2nd 2016 [ed.or.2014], coll. Bookclub, pp. 540, € 20,00, trad. Anna D’Elia
Idem in e-book, € 9,99
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