Pubblicato nell’ormai remoto 1997 dall’allora ventinovenne Abe Kazushige, Il proiezionista è un romanzo molto interessante anche se abbastanza faticoso da leggere, soprattutto nella prima parte, e talvolta un po’ eccessivamente analitico e ripetitivo. Ma questi sono gli unici punti deboli di un libro che dà prima di tutto uno spaccato sociale di un paese che affascina (anche se sinceramente non so quanto sia realistico), costruisce un’ambientazione urbana potente e precisa, poi sconcerta per la mancanza di spiegazioni e punti fermi.
Onuma, poco più che ventenne, soffre di emicranie, si eccita all’ascolto di Julio Iglesias, vive da solo in un monolocale a Shibuya, quartiere centrale di Tokyo, e per sbarcare il lunario fa il proiezionista in un fatiscente e antiquato cinema, destinato a sparire prima o poi per lasciare posto a un palazzo della speculazione edilizia. Dietro alle sue giovani spalle c’è già un passato complesso, che gli si ripresenta drammaticamente davanti quando viene a sapere di un grave incidente con cinque morti, quattro dei quali erano stati suoi compagni alla Scuola della pura trascendenza, dove sotto la guida del misterioso Masaki imparavano a battersi in tutti i modi e a praticare l’investigazione. Questo basti per quel che riguarda la trama, complicatissima e insieme impalpabile e inafferrabile, e che più che a Tarantino evocato in quarta di copertina, mi ha fatto pensare a una moderna fiaba urbana in cui la via del protagonista Pollicino è disseminata di ostacoli enormi che si dissolvono guardandoli da vicino.
Gli argomenti trattati sono moltissimi, dallo spionaggio all’onnipresente (ma talvolta goffa) yakuza, dal cinema porno alla prostituzione minorile, dalla violenza in tutte le sue forme alla vita quotidiana. Il protagonista è via via sempre meno affidabile, mentre la realtà concreta si sfalda e si fa trasparente come un fondale logoro che che lascia trasparire ciò che doveva restare nascosto. Piacerà a chi della letteratura apprezza l’aspetto ingannevole, artificiale, la finzione, mentre disturberà o infastidirà chi cerca identificazione, emozione, approfondimento psicologico. In realtà non è facile capirne il senso e se in certi momenti sembra andare verso una rivelazione che darà un significato al tutto – o almeno a un ribaltamento del punto di vista che ci è stato proposto fino a quel momento -, in realtà questo non succede mai lasciandoci con un palmo di naso, furiosi o piacevolmente interdetti a seconda del nostro grado di sofisticazione.

Abe Kazushige
La violenza è puramente decorativa, esagerata, ma anche un valore importante e forse l’unico cui affidarsi, in cui credere e per cui fare sforzi. Anche il sesso, che ha la sua ovvia e fondamentale importanza, non coincide mai con l’amore che forse non c’è neanche sotto forma di aspirazione o aspettativa, mentre le perversioni hanno uno spazio che si sente, e si ribaltano anch’esse nel loro contrario in poche pagine.
Come si può intuire è un romanzo molto insolito, dove i numerosi personaggi sfuggono e si sovrappongono, appaiono e spariscono, i luoghi mutano, si trasformano, in una nebbia vagamente onirica e forse molto drogata. Ogni cosa si ribalta nel suo contrario. E’ il racconto dell’impermanenza, un “mondo fluttuante” perché definirne i confini è impossibile.
Qua e là sono sparsi indizi che però non portano a nulla, maliziosi tranelli dell’autore disseminati sulla strada del lettore tradizionale abituato a 1+2=3, mentre qui 1+2 equivale a 3 o a 1738 o anche ABC, indifferentemente.
La scorrevole e flessibile traduzione è di Gianluca Coci, per le geniali edizioni Calabuig.
Abe Kazushige, Il proiezionista, Calabuig (Jaca Book), pp. 220 + glossario, € 14,00, trad. Gianluca Coci
Per gentile concessione di Consolata Lanza dal blog Anaconda Anoressica.
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