Il Philip K. Dick autore di sf è abbastanza noto, ma non tutti sanno che in parallelo alla produzione fantascientifica, Dick scriveva romanzi non di genere, sistematicamente bocciati dagli editori dell’epoca, quando scrivere letteratura di serie B era un marchio d’infamia per l’editoria seria. Adesso, invece… Non importa, non importa, non ho intenzioni di fare polemiche.
I romanzi «romanzi» di Dick sono usciti alla spicciolata, prima Confessioni di artista di merda, Fanucci (1996), poi In terra ostile, Einaudi (1999), L’uomo dai denti tutti uguali, Fanucci (1999), e questo Mary e il gigante, uscito nel novembre del 2000. Seguiranno Il paradiso maoista, In questo piccolo mondo e altri, tutti pubblicati da Fanucci.
La Mary del titolo ha diciassette anni e il suo nome completo è Mary Anne Reynolds (lo stesso nome della telepate minorenne de I giocatori di Titano). Vive in una piccola città, come un sacco di altri personaggi dei romanzi americani del dopoguerra, è fidanzata giusto perché uno straccio di fidanzato bisogna pure averlo e lavora in una piccola ditta. Il padre fa il meccanico ed è un individuo decisamente sgradevole, la madre è una donna astiosa e rassegnata. Mary Anne ama la musica e non riesce a rassegnarsi alla vita pidocchiosa che le è riservata: sposarsi, lavorare in ufficio, occuparsi dei figli e seguire passo passo il destino della madre.
Joe Schilling (anche questo è il nome di un personaggio de I giocatori di Titano) è un cinquantenne abbastanza facoltoso che decide di aprire un negozio di dischi nella cittadina di Mary Anne. I due si incontrano una prima volta, ma lei decide che Joe deve essere il tipo d’uomo che palpa il sedere alle dipendenti e cerca di portarsele a letto a fine orario e rinuncia a un lavoro per il quale sembra nata.
Si licenzia comunque dal lavoro di dattilografa, abbandona la famiglia e comincia a frequentare un «negro», un cantante che si esibisce in un locale della città. Fa, in sostanza, quanto di più sconveniente sia concepibile per una ragazza di quell’età in quegli anni. Le sue esperienze non sono particolarmente positive, comunque. Dopo una breve convivenza ritorna da Schilling e si fa assumere. Schilling è un uomo solo, che ha alle spalle relazioni sbagliate e storie non troppo pulite. Non è «quel genere» di datore di lavoro, ma è felice della compagnia di Mary Anne. Ha per lei un sentimento che sta a metà tra l’affetto paterno e il desiderio sessuale. Mary Anne ne è incuriosita, l’attrazione fisica non è per lei importante, ciò che conta, semmai, è il lungo passato di Joe, la sua vita nelle grandi città americane, il rapporto di confidenza con la musica.
Non durano molto, insieme: Mary Anne non può tollerare un altro padre.
La rottura la conduce a una situazione apparentemente senza uscita. A concludere il romanzo un finale che, nella versione consigliata a Dick da un editor dell’epoca, ha un troppo evidente sapore di happy ending forzato, tanto più che – in origine – Mary Anne doveva alla fine scegliere di vivere con un pianista nero, una scelta che non doveva essere troppo gradita ai lettori bianchi dell’epoca.
Purtroppo, come apprendiamo leggendo l’introduzione, la versione originale del romanzo non è più disponibile e questa edizione è quella a suo tempo corretta da Dick per la possibile pubblicazione. Una volta rifiutata anche la seconda versione, all’autore californiano non restò che lasciar perdere la narrativa «seria». Una decina d’anni dopo, tuttavia, riesumò i personaggi di Mary Anne Reynolds e di Joe Schilling, dandogli un posto ne I giocatori di Titano, decisione che a me è parsa quasi commovente.
Mary e il gigante è un romanzo curioso per diversi motivi: a dominare la scena è un personaggio femminile, scelta inconsueta per un autore maschio di quegli anni. Non solo, nel romanzo «la brava gente che lavora» è acida, odiosa, frustrata, ottusa, violenta o semplicemente tanto grigia da scomparire sullo sfondo. Gli unici personaggi ben vivi sono dropouts come i musicisti amici di Mary Anne o gente con un passato da dimenticare come Joe Schilling. Mary, d’altro canto, non è il tipo di donna che «gioca sporco»: non chiede sconti, non si affida a nessuno. Conduce fino in fondo le proprie esperienze, anche se deludenti, e non rientra in riga.
Interessante come Dick non utilizzi quasi mai descrizioni dirette degli stati d’animo di Mary Anne, ma scelga di illustrarli facendo ricorso a gesti, movimenti, frasi, riflessioni e osservazioni legate a oggetti quotidiani, a piccoli fatti, a descrizioni attente e selettive.
Una tecnica che utilizzerà costantemente anche nei romanzi di sf, dove la quotidianità di oggetti e percezioni è un efficacissimo contrappasso a situazioni ed eventi assai poco usuali.
Se leggerete il libro, cosa che vi consiglio vivamente di fare, non aspettatevi comunque, di trovare simpatica Mary Anne. Non è una ragazza facile e non cerca complici né comprensione. Nemmeno dai lettori.
P.K. Dick, Mary e il gigante, Fanucci TIF Extra, 272 pp., € 9,90, trad. Tommaso Pincio, cur. Carlo Pagetti.
Idem e-book kindle € 5,99
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