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    Interzona

    Lacrime e santi

    • di Andrea D'Urso
    • Novembre 7, 2014 a 10:50 am

    cioran-lacrime-e-santi-copertina
    Per quanti libri si possano leggere, per quanta giovinezza si possa trascorrere dentro una biblioteca (vedi Roberto Bolaño), i libri non potranno mai dirti chi sei. Chi sei te lo potrà dire soltanto la vita, se te lo dirà. I libri possono fare un’altra cosa però, non meno importante: dirti chi non sei. Ecco, procedendo in tal senso, la lettura di Cioran può rivelarsi decisamente istruttiva.
    Rumeno che emigra a Parigi (città dove faceva lunghe passeggiate notturne e alla quale non perdonava di essere l’unico luogo al mondo che in qualche modo l’avesse legato allo spazio), che impara il francese e scrive, a detta dei francesi stessi, il miglior francese che si potesse leggere a quel tempo. Fenomeni che non comprenderò mai fino in fondo.
    La tentazione di esistere, Squartamento, Sillogismi dell’amarezza, Il funesto demiurgo, L’inconveniente di essere nati. Toccherebbe leggere i suoi libri solo per i titoli. Ma ora intendo raccontare di un suo libro dal titolo forse meno accattivante: Lacrime e santi.
    In effetti il libro parla anche dei santi, dell’ideale, dell’aspirazione all’assoluto, e cose similari. Ma il libro parla soprattutto delle lacrime e del nesso primordiale tra la sofferenza e la musica. Esistono libri infiniti, che non si finiranno mai di leggere, e non certo perché sono estremamente lunghi, ma perché per quante volte tu possa leggerli e rileggerli scoprirai sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che ti era sfuggito. Personalmente Lacrime e santi è uno di questi. È un libro piccolino (l’ultimo scritto in rumeno), ma la sua densità, il suo peso specifico, è direttamente proporzionale alla sua brevità. È il suo capolavoro. (se la batte tranquillamente con La tentazione di esistere)
    Lacrime e musica, dicevamo. Ma Cioran e qualcun altro possono spiegarlo assai meglio di me.

    Non posso fare distinzione tra la musica e le lacrime” (Nietzsche). Chi non la capisce istantaneamente non è mai vissuto nell’intimità della musica. Ogni vera musica è sgorgata dalle lacrime, nata com’è dal rimpianto del paradiso.
    In noi portiamo tutta la musica: essa giace negli strati profondi del ricordo; Tutto ciò che è musicale è reminiscenza, Al tempo in cui non avevamo nome, abbiamo, probabilmente, udito tutto.

    …

    Mentre ascoltate Bach, vedete germinare Dio. L’opera di Bach è generatrice di divinità. Dopo un oratorio, una cantata o una Passione, Dio deve esistere. Altrimenti tutta l’opera del Cantor non sarebbe che un’illusione lacerante. … Pensare che tanti teologi e filosofi hanno sprecato notti e giorni a cercare prove dell’esistenza di Dio, dimenticando la sola …

    Emil_Cioran_1

    Emil Cioran

     

    Ma le suggestioni viaggiano in ogni dove. Non solo musica e lacrime, ma storia, letteratura, pittura, vengono miscelate e miniaturizzate in poche righe. Lo stesso Shakespeare viene capovolto.

    Il paesaggio e la natura in genere sono soltanto una fuga fuori dal tempo. Da ciò la sensazione che niente sia mai esistito, ogni volta che ci abbandoniamo a quel sogno della materia che è la natura.

    È plausibile che in un libro come questo ognuno si ritagli un suo pensiero preferito. Il mio cambia di volta in volta. Oggi è il seguente:

    Quando siamo per strada, il mondo sembra più o meno esistere. Ma se guardiamo dalla finestra, tutto diventa irreale. Come è possibile che la trasparenza di un vetro basti a separarci fino a questo punto dalla vita ? In realtà, una finestra ci allontana dal mondo più del muro di una prigione. A forza di guardare la vita, si finisce per dimenticarla.

    La trasparenza di un vetro. Ma anche l’iridescenza di uno schermo, o l’inconsistenza di una copertina, rincasando nell’attualità. Tutto può far brodo se ci si vuole separare dalla vita. Ma attenzione che nel brodo non ci finisca mai, neanche per sbaglio, un frammento cioranico. Che poi va di traverso.

    Emil M. Cioran, Lacrime e santi
    Adelphi, Pba 1990, pp.106, € 10,00, a cura di S. Stolojan, trad. D. Grange Fiori

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