Nove racconti organizzati in un’antologia dalla concezione molto personale. Personaggi (Ptolemy «Popo» Bent, Folio Johnson, Fera Jones, il dottor Ivan Kismet) lasciati come protagonisti di un racconto che ritornano come comparse, comprimari o antagonisti in altri. Il risultato è un panorama vivace e vividissimo della «terra futura» secondo Walter Mosley, cinquantenne autore nero californiano noto negli Stati Uniti soprattutto come autore di polizieschi. La provenienza eterodossa rispetto al genere («Io mi vedo semplicemente come uno scrittore di narrativa. Scrivo in qualsiasi genere letterario dove possa lavorare con passione», ha dichiarato Mosley in un intervista sul sito www.scifi.com), rende il suo approccio alla sf sorprendente e per nulla convenzionale. Dal sito personale di Mosley :
La vita negli Stati Uniti tra una generazione non è poi così differente da ora. Le droghe sono migliori ma la vita quotidiana è peggiore. La distanza tra ricchi è poveri è cresciuta fino a diventare un abisso. È possibile raccogliere l’intera conoscenza giuridica mondiale in un chip tanto piccolo da poter stare tra le dita mentre la Corte Suprema decreta che i diritti costituzionali non si applicano a tutti gli individui che commettano reati contro il sistema. La giustizia viene amministrata rapidamente da corti automatizzate e l’industria delle carceri è in piena espansione. E mentre i media dichiarano che il razzismo è morto, la realtà è che anche in una società «senza colori» essere un nero è un crimine.
Negli States del prossimo futuro tendenze già in atto come la difficoltà ad avere e mantenere un lavoro stabile, godere di servizi sociali gratuiti e di una pensione saranno divenute regola. Per chi è inutile alle grandi corporations che dominano il pianeta non c’è che Terra Comune:
Interminabili sale sotterranee di cubicoli d’alveare in cui fino a tre milioni di newyorchesi senza lavoro dormivano e si lamentavano […] mangiavano in mense pubbliche che servivano fino a cinquemila pasti in turni di ventidue minuti . Dormivano anche a turno.
Mosley non è certo l’unico ad avere concepito una distopia narrativa legata all’affermazione del neocapitalismo liberista, ma le sue vivide descrizioni, le martellanti emozioni dei personaggi, la scelta delle situazioni e degli eventi rivelano una sorprendente qualità d’invenzione e una umana pietas non troppo comuni, tanto più tenendo conto che l’ambientazione «alla Matrix» (puntualmente citato nel risvolto di controcopertina) rischia di essere ormai visto (e interpretato) come canone obbligato per chiunque voglia ambientare una vicenda nel futuro prossimo.L’origine etnica gioca comunque un ruolo fondamentale nell’ispirazione di Mosley:
Nella fantascienza non si è tenuti ad accettare il mondo per come è. Non si è obbligati a dire: «Sono limitato da questo concetto di società, da questo concetto di storia, da questo concetto di moralità». Tutti questi concetti, o anche solo qualcuno di essi, possono essere gettati dalla finestra. Per noi neri, in particolare, il futuro è tutto quello che abbiamo perché il passato ci è stato negato e il presente è già fin troppo definito. Noi non possiamo parlare dei «nostro» presidente, dei «nostri» senatori, dei «nostri» industriali multimiliardari. La tendenza a essere rinchiusi negli alveari è comune per la cultura nera mentre non lo è per i bianchi e questo significa che con la fantascienza si può creare un mondo completamente diverso. Si può affermare, per esempio, che nell’anno 2060 vi saranno sulla Terra soltanto neri. E non sei obbligato a spiegare il perché. In questo modo si può cominciare a creare mondi che diventano davvero interessanti e persino, in un certo modo, più familiari (dal sito personale dell’autore).
Per Mosley il tema razziale è uno dei punti di riferimento essenziali per la definizione del mondo futuro – così come per quello attuale – ma senza che per questo la sua narrazione scada a manifesto politico o a prevedibile catalogo di sofferenze e soprusi. A impedirlo la fantasia ben disciplinata tipica della fantascienza migliore e un sottile gusto paradossale nel racconto delle contraddizioni intrinseche al sistema. I racconti di Mosley sono ricchi di meccanismi perfetti che si inceppano, di diagrammi di flusso che è possibile alterare, di tecnologie infallibili che vengono hackerate e riutilizzate a scopi alternativi. Non sempre, bisogna dire, la ricchezza di riferimenti diventa automaticamente per il lettore miglior conoscenza del mondo immaginato dall’autore, un «difetto» tipico degli autori di sf più generosi e inventivi, come c’è da osservare che in qualche caso i meccanismi narrativi di Mosley non scattano alla perfezione, tanto che la misura del racconto breve sembra essergli più congeniale (perlomeno in ambito sf) ma anche in questo caso si tratta di un difetto che non è difficile perdonargli. Perché? Molto semplice: perché in tempi magri per il fantastico, tempi di interminabili cicli e graziosi calchi è diventato assai raro incontrare un autore che tenga tanto alta la posta della sua narrazione. Personaggi dalla coloritura epica come Fera Jones e suo padre, Ptolemy Bent e Folio Johnson e una passione politica tanto evidente non si incontrano esattamente in tutti i romanzi e meno che mai nelle produzioni di molti autori affini per temi e ambientazioni a Mosley. Insomma se accarezzate il desiderio di dare un’altra possibilità alla fantascienza partite da questa antologia.
Walter Mosley, Futureland
Fanucci 2006, pp. 368, € 15,00, trad. M. Nati
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