Yet, in the current novel-dominated fiction market, no form has a rougher time than the novella. Too long for most magazines and anthologies, too short to be economically viable published singly, it is too often relegated to limbo.
Tuttora, in un mercato narrativo dominato dal romanzo, nessun genere vive una vita più grama della novella. Troppo lunga per la maggior parte delle riviste e delle antologie, troppo breve perché sia economicamente proficuo pubblicarla singolarmente, essa è troppo spesso relegata in un limbo,
Claude Lalumiére in www. januarymagazine.com.
Un tipo di riflessione non nuova, perlomeno per i lettori di ALIA. Così scriveva Vittorio Catani nella prefazione alla novella Il perdono a dio:
Comunque – tanto per cambiare – una novelette incontra, presso la nostra editoria, anche una seconda e più concreta difficoltà: trovare un piazzamento idoneo, dal momento che le collane contemplano quasi esclusivamente romanzi, oppure – raramente – racconti.
Eppure sono molti gli autori che si ostinano a scrivere novelle senza preoccuparsi eccessivamente della loro destinazione o dei problemi degli editori. A Peter Crowther, scrittore, antologista ed editor, è venuta un’idea, semplice ma geniale: se il problema è il rapporto tra le dimensioni dei libri e quella delle novelle, perché non organizzare volumi antologici dove raccogliere autori diversi, raggruppandoli intorno a un tema? È così che sono nati Futures (tuttora inedito in Italia, dove appaiono Stephen Baxter, Peter Hamilton, Paul McAuley e Ian McDonald) e questo Le città del domani (Cities), uscito a novembre 2004 nella traduzione di Nello Giugliano, dove appaiono novelle di Paul Di Filippo, China Mieville, Michael Moorcock e Geoff Ryman. Ottima cosa che il volume sia stato tradotto, un po’ meno ottima la scelta di tradurre Cities con un titolo – fuorviante – che ricorda le enciclopedie per ragazzi degli anni Sessanta. O che non vi sia uno straccio di presentazione, paratesto o nota che presenti al pubblico italiano il lavoro di Crowther. Sarà bene quindi avvisare il lettore che le città presenti in questo libro non hanno nulla di futuribile e ben poco di tecnologico, nonostante la copertina del libro contribuisca a dare questa sensazione. Infatti risulta interessante notare che, mentre la copertina dell’edizione inglese raffigura una mongolfiera in volo su guglie e campanili, quella dell’edizione italiana presenta l’ormai consueto velivolo ipertecnologico sospeso tra avveniristici grattacieli, in una modesta e ormai logora celebrazione di una sf ormai praticamente estinta. A formare l’elemento centrale dell’antologia è il paesaggio urbano, ridefinito attraverso forme e visioni che, se pure hanno qualche debito nei confronti della sf, mostrano maggiore affinità con la vena distopica / catastrofista – tipicamente britannica, peraltro – di certi romanzi degli anni Sessanta o con il metarealismo del miglior cyberpunk.
Paul Di Filippo, unico autore statunitense della raccolta, ambienta le disavventure del suo personaggio, un giovane scrittore di narrativa fantastica, in un’infinita Città Lineare, che ha qualche felice punto di contatto con Il Mondo del Fiume di J. Farmer. La Città Lineare sorge tra le riva del Fiume e i Binari. Nel cielo sopra la Città volano ittiodomine e ornitauri, gli psicopompi incaricati di condurre i morti sull’altra Sponda del fiume o sul Lato Sbagliato dei Binari. Nella Città Lineare non esistono dubbi o controversie rispetto alla sorte dell’anima dopo la morte. La costante presenza degli psicopompi e la loro apparizione presso morti e moribondi è un segno evidente dell’esistenza di un aldilà. La gente della Città Lineare ha quindi un approccio alla vita fortemente pragmatico e troverebbe incomprensibile qualsiasi dissidio basato su diverse concezioni religiose.Il principale interrogativo di chi vive tra il fiume e i binari riguarda le vere dimensioni della Città Lineare. Se essa abbia un termine, si ripeta ciclicamente o sia infinita. Ma non è un tipo di domanda che attanagli troppo i cittadini. Diego Patchen, il protagonista, la condivide ma molto tiepidamente e considera con sufficienza chi cerca di risolvere l’enigma. La vita nella Città Lineare scorre quieta e divertente, le feste sono numerose, le bizzarrie e i formalismi dei suoi abitanti vengono descritti con la leggerezza frizzante di un Jack Vance o delle pagine più beffarde e divertenti di Charles Dickens. Un racconto e una vicenda che si leggono per la gioia di farlo, assaporando l’attenta precisione di Di Filippo nel prendere costantemente in contropiede il lettore, dando coerenza e credibilità a un universo sganciato da qualsiasi pretesa di verosimiglianza. Un mondo tutto letterario, direttamente derivato dall’universo steampunk, nel quale è davvero piacevole soffermarsi.
Specchi irriflessi, di China Mieville, denuncia il proprio debito nei confronti di Jorge Luis Borges nella chiusa della novella, citando un lungo frammento del Manuale di zoologia fantastica: Animali degli specchi (p. 19, Einaudi, Torino, 1979). In un Londra devastata e semiabbandonata è in corso l’ultima battaglia tra gli umani e il più improbabile dei nemici, le imago. Per lungo tempo schiave oltre-lo-specchio esse hanno trovato un liberatore e traboccano dal mondo degli specchi per saldare un conto interminabile con chi le ha costrette per secoli a imitare le forme di un mondo che non era il loro.
Il vostro imperatore Giallo […] ci ha dato un mondo in cui stare, ma ci ha puniti con la condanna di mimare per sempre la vostra vanità. Ha cambiato la storia. Vi ha fatto credere che tutto sia stato sempre com’è adesso. E voi ci avete dimenticato, ci avete liquidato in quanto immagini, e ci avete ignorato, continuando a rimirare voi stessi.
Vampiri, incubi, visioni, le imago sono un contrappasso letale alla vanità dei nostri ultimi giorni. Sono coraggiose, cariche di rabbia, ansiose di rendere definitiva la loro libertà. Ma sono anche aliene in maniera intollerabile, oscure, misteriose. Sono in apparenza il rovescio della nostra vita di figli della civiltà occidentale: feroci e incomprensibili. E la nostra società esausta dovrà, alla fine, venire a patti con loro.
Il Pesce dello Specchio si illuminò. Sholl fece un passo indietro, le mani sollevate e aperte. Aspettò che il suo conquistatore valutasse la proposta.Questa è la storia di una resa.
Brusco cambio di registro, di tono e di tipo di suggestioni con Incendio alla cattedrale di Michael Moorcock. Ambientato in un mondo definitivamente naufragato in una magniloquente anarchia bellica, il testo vive di citazioni scelte con chirurgica perfidia tra le molte che hanno accompagnato e giustificato gli ultimi due secoli di guerre coloniali. Un racconto sardonico e completamente folle, non facile da seguire e comprendere per il lettore italiano, anche per la ricchezza di citazioni e riferimenti: letterari, giornalistici e musicali. Ma soprattutto un mix scatenato di incredibili miserie intellettuali, una rassegna di puerili mistificazioni e di pietosi panegirici a vantaggio della potenza coloniale di turno. Un racconto pericoloso: a leggere Incendio alla cattedrale si rischia di trovare un po’ meno assurde e tendenziose persino le pagine del Volkische Beobachter.
Sono i capi di una nazione a determinare la politica ed è sempre una cosa facile farsi seguire dalla gente, Devi dire loro che sono stati attaccati, e denunciare i pacifisti perché mancano di patriottismo. (Hermann Göring al processo di Norimberga, citato da Slavoj Zizek in Iraq, Raffaello Cortina, Milano, 2004)
Lo so, questa citazione nel racconto di Moorcock non c’è. Ma lo spirito è quello giusto. La narrativa fantastica corrisponde a disimpegno? A voi giudicare.
Ultimo ma certo non il peggiore V.A.O. di Geoff Ryman, scrittore canadese residente in Gran Bretagna, premio Philip Dick nel 1998 per il romanzo 253, tuttora inedito in Italia (potrebbe essere altrimenti?). Protagonista un hacker invecchiato e incattivito, che riesce tuttora a mantenersi in un costoso residence per anziani – una Casa – grazie a qualche piccola distrazione illegale di fondi. A proteggere la tranquillità degli ospiti il V.A.O. (Victim Activated Ordnance – artiglieria attivata dalla vittima), un sistema altamente informatizzato di eliminazione degli intrusi, inventato e studiato proprio da Brewster, l’anziano hacker protagonista, cui la ditta produttrice non ha mai riconosciuto alcun genere di royalties sull’invenzione. La vita di Brewster è tutto sommato tranquilla, scandita da piccoli incidenti, dimenticanze, stizzosi litigi con il personale e qualche resistenza ad accettare il controllo costante del sistema sulle condizioni di salute degli ospiti. Poi un’aggressione alla nipote e una serie di sanguinose e feroci rapine vengono a interrompere la falsa quiete del ricovero e la logorante e rassegnata attesa di Brewster della definitiva decadenza fisica. Colpevoli un gruppo di anziani che colpiscono e uccidono, guidati da Silhoutte, in apparenza la guida e l’ideologo del gruppo:
Ci abbandonate in gelidi appartementi o ci sbattete nelle costose prigioni che chiamate Case. Non ci date le pensioni che ci avevate promesso. Quando ci ammaliamo, dite che l’assicurazione di cui abbiamo pagato le rate per tutta la vita non copre i costi delle cure. Volete vederci morti. Così sia. Moriremo. E vi porteremo via tutto, mentre ce ne andiamo.
Incalzato dalla polizia che lo ritiene un elemento fortemente sospetto, Brewster è costretto ad avviare ricerche personali per scoprire l’identità di Silhoutte. La conclusione della vicenda e la scoperta dell’identità del (V)ery (A)ncient (O)ffender – che ovviamente non rivelerò qui – saranno però molto amare per il vecchio hacker.Un racconto vivace e accattivante per lo stile agile e i dialoghi coloriti, ricco di osservazioni taglienti e di considerazioni acute e rabbiose. Un descrizione condotta con devastante ironia dello stato dell’American Way of Life contemporaneo. Un vero gioiello di una nuova, possibile sf «sociale».
Quattro racconti, anzi quattro novelle, di ottimo livello. Da tempo non capitava di leggere in italiano qualcosa di altrettanto suggestivo e stimolante. Una lettura che, per una volta, consiglio senza se e senza ma
AaVv (a cura di Peter Crowther), Le città del Futuro
Fanucci 2004, ed. or. 2001, pp. 367, € 15,00
trad. dall’inglese di Nello Giugliano
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