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    TerraNova · In primo piano

    Le vampire e la loro storia

    • di Silvia Treves
    • Agosto 25, 2013 a 6:05 pm

    vampire
    Il vampiro giustifica ogni anno, su scala mondiale, una produzione editoriale e (appunto) cinematografica imponente, con un fatturato difficilmente quantificabile, e rivolta a un pubblico estremamente diversificato, dall’accademia più rigorosa agli schiavi dell’hard-core. È approdato ai programmi didattici per bimbi, ai regni dell’umorismo e al linguaggio corrente in una selva di utilizzi; è divenuto, come qualcuno ha osservato, espressione eminente della modernità.

     

    E la vampira? È semplicemente una versione femminile del più noto cospecifico maschile, una «succube» come le tre voraci compagne di Dracula, oppure possiede caratteri peculiari e origini separate, tali da farne una figura mitica indipendente? È quanto si sono chiesti Arianna Conti, laureata in giurisprudenza ed esperta di cinema e letteratura fantastica, e Franco Pezzini, laureato in diritto canonico e studioso dei rapporti tra letteratura e antropologia. Le competenze dei due autori, differenti e potenzialmente complementari, sono decisamente stimolanti e il saggio non delude. Un’avvertenza: Le vampire non è un libro per fan del Conte e novizi del gotico; è invece un testo serio, molto documentato, con qualche capitolo faticoso a causa della mole di materiali e di riferimenti; la tesi che sostiene e dimostra vale la fatica. Secondo gli autori la figura della vampira affonda le radici in un «femminile potente, avvertito come minaccioso» presente sin dalle origini nel folklore e nella letteratura occidentale: la Dea, madre e mortifera, «Signora di Morte e di Rigenerazione, di Energia e di Sviluppo», e tutte le sue trasformazioni a mano a mano contaminate dalla cultura patriarcale: dea dell’amore (Ishtar, Afrodite, Venere), vergine-maga (Diana, Ecate, Atena e la celtica Morgana), orchessa o mostro (la sumera Lamastu, Medusa, Echidna, Scilla, Lamia) divinità ctonia (Lilitû/Lilith, Nephytis, Proserpina), baccante legata ai culti orgiastici. Simbolo della continua trasformazione della vita, «colei che uccide e rigenera trovò proiezioni distorte nelle streghe la cui caccia tra i secoli xv e xvii insanguinò l’Europa presunta cristiana, sanzionando con il rogo o la forca donne (soprattutto contadine levatrici, gente del popolo) con la massima colpa di conservare una tradizione familiare di madri e nonne, eredi di segreti di una natura non più ascoltata». La tesi della Grande Dea non è nuova, peculiare è invece il raccordo che gli autori compiono con la figura della Vamp della letteratura gotica otto-novecentesca: seduttrice ambigua e succhiatrice di energia e fluidi vitali ma anche revenant malinconica e inquieta, destinata a essere distrutta da antagonisti sempre rigorosamente maschi.

    carmillaInevitabilmente, l’esplorazione prende il via da Carmilla (1871) di Joseph Sheridan Le Fanu – primo e più noto racconto sulla vampira, portato più volte sullo schermo in film europei e d’oltreoeano, di ogni livello e qualità – e continua con l’esame di capolavori del cinema fantastico (come Vampyr di Dreyer), di opere controverse e talvolta geniali di Jesus Franco, di prodotti di exploitation, fino a pellicole seriali e semipornografiche. Il percorso è inevitabilmente tortuoso perché i film in questione condividono spesso un medesimo immaginario, o sono prequel o sequel di altri più famosi, e le vampire si richiamano alla loro antenata Carmilla.

    Sotto la lente di ingrandimento degli autori il racconto di Le Fanu rivela sfaccettature almeno sottovalutate a una prima lettura: confrontata con il «Principe delle Tenebre», Carmilla si rivela fin dall’inizio un personaggio moderno e non soltanto modernizzato come i vampiri maschi della letteratura gotica novecentesca (Armand e Lestat, i vampiri di Anne Rice, in primis). Seducente, languida e in odore di lesbismo, la bionda e diurna Carmilla suscita, oltre al timore, una sorta di conturbante solidarietà, destinata com’è a consumare l’oggetto della sua passione (prima un antico amante, poi Laura) e alla solitudine. Più simile a un fantasma che a una succhiasangue, Carmilla, che fu Mircalla e fu Marcilla, è condannata a tornare e tornare, legata al sortilegio del proprio nome. Sempre se stessa e sempre diversa, Carmilla, al di fuori dell’incantesimo di quelle tre sillabe, non ha cittadinanza nemmeno nell’universo vampirico.

    Le tante singolarità di questo personaggio sono state di volta in volta sottolineate dai registi che l’hanno portata sullo schermo, anche grazie a una straordinaria adattabilità [del personaggio] a contesti diversi […] Se il continuamente riproposto Dracula, ove trasferito su sfondi differenti da quello originario fine ottocentesco, denuncia in genere il disagio della forzatura cronologica, Carmilla, al contrario, mostra di poter efficacemente reincarnarsi su palcoscenici alternativi, e comunque tra le equivoche angosce del mondo a noi contemporaneo.

    Il mito cinematografico di Carmilla prende vita in tre fasi diverse, la prima fra il 1932 (quando Dreyer, ispirandosi liberamente alle atmosfere del racconto di Le Fanu, diresse il capolavoro espressionista-surrealista Vampyr) e gli anni Sessanta, epoca di cambiamento dei costumi sociali e di una prima, timida liberazione sessuale; la seconda, in un’aura di lesbismo, negli anni Settanta della vera rivoluzione sessuale, cui seguì un graduale oblio negli anni Ottanta, quando il timore dell’AIDS portò in auge altre, più «contagiose», figure di vamp: il ritorno di Carmilla, anche nel web, negli anni Novanta con il fiorire della cultura gotica.

    Più volte sfiorato anche dal cinema italiano, Carmilla venne compiutamente messo in scena da Roger Vadim in Et mourir de plaisir (1960), un film di grande suggestione segnato dall’estetismo e dal manierismo, che, pur ambientando la vicenda nel presente, coglie acutamente il gioco di doppi dell’opera di Le Fanu, la passione sterile, adolescenziale e malinconica della vampira e la sua condanna a «tornare» e sottolinea «la potenza sfuggente, allusiva della minaccia di Carmilla, il carattere mitico e complesso dell’omosessualità a lei attribuita». A questa minaccia, in molti film (ma non in quello di Vadim) i «buoni vecchi» difensori dell’universo maschile rispondono con la «giusta» violenza del paletto e con la decapitazione nel sonno, una sorta di stupro e non il trionfo del bene sul male della compagnia di coraggiosi che uccide il mostro nel Dracula di Stoker. In molti dei film esaminati da Conti e Pezzini «al contrario degli uomini, le donne [vampire] sono forti», sono seducenti e sessualmente aggressive, sanno difendersi e solo nella completa passività del sonno diurno degli immorti possono venir eliminate dagli uomini. Eppure, nelle tante versioni che hanno popolato l’immaginario cinematografico Carmilla e compagne spesso mostrano la loro umanità ammalata di solitudine.

    fille de draculaIn questa ottica, l’erotismo lesbico dapprima adombrato poi sempre più esplicito evocato nei film della Hammer, e in misura maggiore e più visionaria in quelli di Jesus Franco, apparentemente motivato soltanto da ragioni commerciali, suggerisce anche una sensibilità, o almeno il fiuto di registi e produttori per le nuove tematiche della rivoluzione sessuale e del femminismo. Gli autori presentano vere e proprie curiosità da cinefili, come Twins of Evil (Le figlie di Dracula) (1971), grandioso pasticcio di «Fratellanza puritana», vergini insidiate dai vampiri, roghi di streghe e terribili inquisitori in preda a conflitti di coscienza, sullo sfondo del solito villaggio operoso all’ombra dell’inevitabile castello, una pellicola sicuramente minore che, tuttavia, offre a Peter Cushing l’occasione per una delle più intense interpretazioni della sua carriera: non più il Van Helsing «luminoso cacciatore di vampiri» ma «un rigorista interiormente travagliato, torbidamente attratto dalle provocanti nipoti […] ma capace di passare dal gelo furente alla crisi, alla pietà dolorosa e a una morte quasi espiativa». Sotto la parvenza della serialità e del facile sensazionalismo, molte pellicole si rivelano strutture complesse: è

     

    «la sessualità (allusa, rimossa, subita) a marchiare a fondo l’horror inglese a partire dalla fine degli anni Sessanta. Il cinema del terrore britannico è un cinema terapeutico, in cui si combatte spesso e volentieri contro mostri interiori […] Il fine ultimo non è tanto distruggere il monstrum, quanto inglobarlo, difendendo così la propria ortodossia [di classe, politica, sessuale]».

     

    L’incontro tra Carmilla e Jess (Jesus) Franco è pirotecnico; vera e propria incarnazione del gioco di doppi e di specchi del mito vampirico, Franco firmò con almeno una quarantina di pseudonimi innumerevoli versioni dei propri film dedicati a frammenti di pubblico e a nazioni diverse, eliminando o aggiungendo scene forti, sempre ruotando attorno a personaggi femminili intensi e sopra le righe , dando vita a un genere – o piuttosto un miscuglio di generi, l’horror e l’erotico – per il quale venne coniato il neologismo horrotica o horrorotica e guadagnandosi sul campo i galloni di «regista pericoloso e persona non gradita al cattolicesimo». Regista talentoso e colto, attore, musicista, iconoclasta e provocatorio, capace di girare a ritmi frenetici e con budget minimi una dozzina di film all’anno, Jesus Franco ci ha regalato, oltre a libere interpretazioni del classico pandemonium vampirico, personaggi originali come lo scienziato folle Orloff e il servo criminale Morpho, oltre a vampire originali come la Irina di Female Vampire, condannata ad aggirarsi per sempre tra nebbie crepuscolari, a distruggere ciò che ama e a non trovare pace pur agognandola, perfetto esempio di creatura dannata e insieme di umanità dolente e fragile.

    Il viaggio di Conti e Pezzini prosegue fra trash e pellicole suggestive fino agli anni Novanta e Duemila, con la coorte femminile di Dracula, ben rappresentata dalle amanti del Conte nel Dracula di Bram Stoker di Coppola (1992), e da Nadja di Michael Almereyda (1994), liberamente ispirata alla Carmilla di Le Fanu, e da vampire «ordinarie» e contagiate per caso, personaggi privi di grandezza e quindi ancora più tragici) come la Kathleen del visionario e bizzarro The Addiction di Abel Ferrara (1995) che, riorganizzando la propria vita intorno al quotidiano bisogno di sangue, trova il suo posto in un popolo di non-morti legati soltanto dalla necessità.

    Nel cinema del nuovo millennio, come già da tempo nella moderna letteratura sui vampiri, l’interesse di autori e pubblico si accentra sui conflitti interiori del popolo della notte, sulle relazioni tra cospecifici, e sui rapporti possibili tra «loro» e «noi». Così i Vampiri, grazie anche (se non soprattutto) alla metà femminile del loro cielo, da fenomeno individuale sono divenuti creature sociali, proiezioni conturbanti dei nostri disagi e delle nostre dipendenze, specchio oscuro della nostra comune umanità

     

    Arianna Conti e Franco Pezzini, Le vampire

    Crimini e misfatti delle succhiasangue da Carmilla a Van Helsing

    Castelvecchi 2005, pp. 406, € 20,00

     

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