August Sander, l’autore della fotografia riportata in copertina, che fa da elemento centrale del romanzo, fu un fotografo tedesco che concepì e cercò di condurre a termine un’operazione titanica: la rappresentazione fotografica della vita all’inizio del XX secolo. Tra i primi a trasformare il ritratto fotografico in testimonianza e a utilizzare la macchina nella vita sociale e produttiva del suo tempo, giunse a raccogliere quarantamila negativi: ritratti di mutilati, minatori, operai, donne, bambini ripresi sulla strada, dediti alle proprie occupazioni, senza fare uso di alcun trucco o cosmetica della realtà. Ritratti di gente reale, in qualche caso tanto espressivi ed espliciti da spaventare il regime nazista che fece bruciare le raccolte di Sander, uomo in realtà poco interessato alla politica e tiepido oppositore del regime.
Della sua raccolta che doveva fornire un «volto» al nuovo secolo è giunta ai nostri giorni soltanto una parte minima, ma sufficiente a illustrare la potenza delle intuizioni fondamentali di Sander sulla tecnologia fotografica: la riproducibilità tecnica a basso prezzo, la possibilità di diffusione e la nascita del mutuo scambio di ruolo tra osservatore e osservato, tutti elementi centrali della cultura del secolo appena trascorso.
Un’arte per pochi invece che per molti, che identifica la bellezza con la rarità in commercio, non fa altro che perpetuare quegli elementi materiali che avallano le guerre. […] la scelta è chiara: scattare istantanee o far scattare il grilletto.
Partendo dalla foto dei tre contadini del Westerwald che vanno al ballo del 1° maggio del 1914, Powers organizza un libro ampio e complesso, che, caso non comune nella letteratura maggiore, è imperniato sui riflessi sociali e culturali di un’innovazione tecnologica.
A conferma della scelta coerente di Powers, sono le fotografie – di Henry Ford, di Sarah Bernhardt, del Kaiser o del Maresciallo Foch, foto di famiglia, foto di gruppo, ritratti, gruppi – a costituire l’elemento centrale delle agnizioni, delle scoperte, delle svolte dell’intreccio.
Tre le vicende che procedono parallele nel romanzo per intrecciarsi verso la fine della narrazione. La prima è una fantasiosa ricostruzione della vita dei tre contadini raffigurati nella foto: Peter, Adolphe e Hubert, la seconda è un frammento della vita quotidiana di Peter Mays, redattore di una rivista di microelettronica nell’America degli anni Ottanta, assediata dalla potenza economica dell’Estremo Oriente, la terza – l’unica a essere raccontata in prima persona – quella di un giovane che vede la fotografia in un museo e ne rimane tanto colpito da condurre una ricerca su autore e soggetti.
La prima delle tre è, quasi fatalmente, la più interessante. Sullo sfondo della guerra, le vicende di Hubert, Adolphe e Peter assumono un rilievo e un significato più generale. Uomini semplici risucchiati «nella Storia» cercano come milioni di europei dell’epoca di sopravvivervi senza smentire se stessi, con esiti tragici, comici o entrambe le cose.
Per riflesso meno riuscita appare la vicenda di Peter Mays, personaggio che Powers si sforza di rendere in qualche modo rappresentativo dell’America degli anni Ottanta, ma che la lentezza del procedere e un gusto un po’ troppo insistito dell’accostamento lessicale sorprendente o del riferimento caustico (spesso un po’ troppo yankee per essere colto dal lettore europeo) rendono spesso pleonastico o eccessivamente permeabile alle intenzioni dell’autore.
Discorso a parte, infine, per la parte in prima persona, dove l’io narrante si identifica senza troppa difficoltà con l’autore e diviene uno strumento di riflessione su elementi in apparenza sparsi e disorganici della storia del XX secolo. Tra questi la biografia di August Sander, la Nave della Pace inviata da Henry Ford nell’Europa del 1915 per cercare di favorire l’armistizio, la vita di Sarah Bernhardt occupano tre interi capitoli del romanzo e formano una triade di vicende nelle quali la medialità come riproducibilità tecnica costituisce l’elemento centrale.
Romanzo-patchwork ambizioso e sorprendente ma generoso fino all’apparire incoerente e dispersivo Tre contadini che vanno a ballare… si candida a inserirsi nel sottoinsieme narrativo di romanzi come Mattatoio 5 di Kurt Vonnegut o Underworld di Don DeLillo, nati per rappresentare e tentare di fornire una lettura possibile di un intero secolo attraverso vicende e personaggi fortemente simbolici. Un indirizzo che la letteratura statunitense degli anni Ottanta ha pervicacemente (e talora ottusamente) seguito fino alla «reazione» minimalista.
A separare dalla corrente e rendere virtualmente «unico» il romanzo di Powers la riflessione sulla fotografia come paradigma del XX secolo, sul nuovo rapporto tra osservatore e osservato:
Il paradosso dell’osservatore che si critica da solo è l’elemento caratteristico del secolo, raggiunto contemporaneamente in innumerevoli discipline. […] perfino nelle scienze oggettive, i fisici, descrivendo l’estremamente piccolo, hanno dovuto concludere che non possono parlare di una scatola chiusa, ma che l’apertura della scatola ne perturba immancabilmente il contenuto [Paradosso di Schrödinger, N.d.R.].
Insomma, dall’indeterminazione di Heisenberg al citatissimo «quarto d’ora di celebrità» di Andy Warhol…
Richard Powers
Tre contadini che vanno a ballare…
Bollati Boringhieri, 1991, 2004, ed. or. 1985, pp. 370, € 18,00
trad. Luigi Schenoni
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