Da anni a Ciudad Juárez, stato di Chihuahua, Mexico, donne, ragazze, in qualche caso bambine vengono sequestrate, violentate e uccise. Alcuni presunti colpevoli – un immigrato egiziano dal passato torbido, alcuni sbandati di una delle tante gang giovanili della zona – sono stati arrestati e imprigionati ma il parere di chi ha seguito da vicino la vicenda è che si tratti di semplici capri espiatori. Ciudad Juárez è una città di transito. Il suo territorio è ricco di club privati e di locali gestiti da personaggi legati al giro d’affari del narcotraffico. Le ragazze di Ciudad Juárez sognano di vivere una vita diversa da quella delle loro madri. Non accettano il ruolo tradizionale delle donna messicana fatto di lavoro, silenzio, sottomissione e violenza. Probabilmente vengono «punite» anche per questo. Scrive l’autore, Sergio González Rodríguez:
Ossa nel deserto mostra sia il movente generale che il movente particolare, la ratio e la follia di quei delitti sistematici contro le donne […] da parte di una confraternita del crimine. Mostra come il «ginocidio» sia un modo per segnare il territorio, frutto di uno strapotere economico legato a doppio filo con il sistema politico messicano, con il crimine organizzato, con l’economia formale di alto livello e con quella sommersa (contrabbando, prostituzione, sfruttamento di minori, traffico di clandestini). […] La strage di Ciudad Juárez rimanda a un contesto ben preciso, proprio di un sistema di produzione (l’assemblaggio transnazionale) che sfrutta corpi a perdere (numeri senza alcuna personalità) e partecipa di un modello economico globalizzato.
Non esiste confine tra economia legale e illegale a Ciudad Juárez. Le giovani donne uccise sono elementi sempre completamente sostituibili. Vengono torturate e uccise semplicemente perché è possibile farlo rimanendo impuniti. La loro morte e le circostanze di essa – il terrore, l’umiliazione, la violenza – serve a confermare agli assassini la permanenza del loro privilegio sociale e sessuale.
Gli omicidi di donne a Ciudad Juárez, Chihuahua, continuano. Sono già più di 430 donne le donne assassinate e più di 600 quelle scomparse dal 1993, secondo i dati riportati. Il clima di violenza e impunità continua a crescere senza che al momento si siano fatte azioni concrete per mettere fine a questa situazione. (dal sito www.mujeresdejuarez.org)
Apparentemente nulla e nessuno sono in grado di fermare il feminicidio in atto, né il governo dello stato di Chihuahua, né il governo federale messicano.
Anche del numero di vittime nessuno, e meno che mai le autorità, è troppo sicuro.
Negli ultimi anni il numero di corpi rinvenuti è calato, ma si teme che i carnefici abbiano trovato nuovi metodi per disfarsi dei resti delle vittime
Nel corso degli anni le amministrazioni dello stato federale e dello stato di Chihuahua sono cambiate come sono cambiati i magistrati inquirenti che hanno indagato sulle donne uccise, senza che questo abbia significato un reale progresso nelle indagini e, men che meno, un ridimensionamento del fenomeno.
Le vittime sono per lo più giovani operaie delle maquiladoras, fabbriche di proprietà di multinazionali statunitensi installate nella zona, anche se non mancano le vittime di 7-8 anni. Nessuna delle imprese operanti nella zona ha mai voluto istituire servizi di vigilanza o anche semplicemente creare servizi di trasporto aggiuntivi per raggiungere e allontanarsi in sicurezza dalle fabbriche.
I messicani che vivono al confine con gli Stati Uniti sanno a malapena leggere e scrivere e lavorano in condizioni pericolose e «dickensiane» per produrre i nostri videoregistratori, i nostri jeans e i nostri tostapane (da un’intervista a Robert D. Kaplan)
La Chiesa locale è intervenuta sulla vicenda delle donne scomparse e atrocemente uccise per notare che «si tratta della dolorosa conseguenza della condotta disordinata e immorale delle giovani donne della zona».
I cadaveri delle vittime vengono spesso ritrovati abbandonati lungo strade periferiche. Tutte hanno subito abusi sessuali e violenze di ogni genere. In qualche caso sono state involontarie protagoniste di snuff-movie, ovvero di filmati di omicidi sessuali non simulati. In altri, vittime sacrificali di cerimonie legate a culti satanici e paganeggianti.
Le indagini successive ai ritrovamenti sono frettolose, mal condotte e molto presto abbandonate.
Ciudad Juárez è un punto di transito obbligato per i migranti che tentano di entrare negli Stati Uniti e un nodo di rilievo mondiale per il narcotraffico. L’economia di Ciudad Juárez è basata sulla «paralegalità», ovvero un inestricabile intreccio tra potere politico e criminalità:
La paralegalità […] segna la disfatta delle tradizionali difese messe in campo dagli stati nazionali e del loro progetto di modernizzazione […] diversamente dall’illegalità, opera alla luce del sole e con la connivenza di tutti, viene ripresa dalle telecamere, documentata, discussa nelle sue strategie
Sergio González Rodríguez, narratore, saggista, critico letterario, è inviato di «Reforma», il più importante quotidiano messicano. Ha subito in più occasioni minacce e violenze e la presentazione del suo libro negli Stati Uniti ha provocato le reazioni rabbiose dei maggiori esponenti politici di Ciudad Juárez e dello stato di Chihuahua.
Per le autorità messicane il «ginocidio» in atto è semplicemente il frutto dell’attività della delinquenza comune, risultato di «violenze familiari» e del clima di «malessere sociale». Questo ha permesso di non prendere reali provvedimenti nonostante le relazioni del 2003 di Amnesty International e dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (undoc) e le numerose altre presentate da enti e associazioni messicane e internazionali.
Il caso delle donne uccise di Ciudad Juárez ha in realtà qualcosa di terribilmente esemplare. Una combinazione unica di fattori che pone direttamente in rapporto delocalizzazione industriale, economia criminale, cultura patriarcale e ginofobia assassina. L’intreccio di tutti questi elementi determina una situazione senza uscita. Ciudad Juárez rappresenta il catastrofico fallimento della legalità quando questa viene contrapposta all’estremo arbitrio concesso dal denaro.
Per fermare la strage sarebbero necessarie – tra l’altro – leggi sovranazionali e un inizio di regolamentazione delle delocalizzazioni industriali. Inutile dire che si tratta proprio di ciò che ben pochi politici americani o europei sosterrebbero.
Per chiudere, la trascrizione del testo di Marisela Ortiz pubblicato in rete dall’associazione Nuestra Hijias de Regreso a Casa, che raccoglie i familiari delle vittime e delle desaparecide.
Ogni settimana a Ciudad Juarez almeno una donna sparisce e di lei non se ne sa più nulla, a meno che i rapitori non decidano di far apparire il suo corpo senza vita e con chiari segni di brutali torture, violenze carnali, asportazioni di parti del corpo e bruciature. È un dolore terribile per questa società, possibile che non ci sia niente che riesca a smuovere coloro che possono fare qualcosa per evitare e fermare questo orrore?
La disperazione e la paura delle famiglie che sanno quando le loro figlie escono di casa ma non quando né se ritornano, e i più di 300 omicidi e le circa 600 sparizioni sembrano non rappresentare un motivo valido per far mettere un freno a questi fatti.
Ci addolora vedere che il Governo di Chihuahua concentra i propri sforzi per vincere politicamente, in modo legittimo o illegittimo, i suoi avversari, e che senatori e deputati sono più preoccupati della propria carriera che ad aiutare a migliorare le condizioni di vita degli cittadini di Ciudad Juarez. Fino a oggi questi crimini sono rimasti impuniti, e nessuno si preoccupa di cercare le donne sparite… gli omicidi e le sparizioni continuano senza che sia stato identificato alcun responsabile.
Invitiamo anche il governo di Vicente Fox affinché prenda una posizione al rispetto e la smetta di fingere che in questa zona di frontiera del Paese non stia succedendo niente di estremamente grave.
Smettiamo di essere complici di questa situazione. Ci rivolgiamo disperatamente a chi abbia una coscienza a fare un minimo sforzo per appoggiare questa lotta contro il «femmicidio» che sembra non aver fine. Ognuno di noi, nel suo piccolo, può partecipare.
Mettete voi i limiti, la violenza in questa città sembra non conoscere frontiere. È dal 1993 che si registra l’assassinio di giovani e povere donne a Ciudad Juarez… Nel 2001 il terrore si estende a Chihuahua… Dove e quando finirà?
Qui un collegamento con No Mas, il sito di informazione per chi non ha voce, con un articolo sul ginocidio in atto.
Sergio González Rodríguez, Ossa nel deserto
Adelphi 2006, pp. 426, € 23,00
Traduzione di Gina Maneri, Andrea Mazza
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