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    Interzona

    Un vallo in Patagonia

    • di Obelix
    • Maggio 5, 2013 a 3:12 pm

    vallo della patagonia

    Quando si parla di frontiera e dei suoi miti, si pensa subito al Far West USA. Colpa di film, libri, fumetti, che soprattutto nell’ultimo dopoguerra ci hanno plagiato, facendoci dimenticare l’esistenza di altre frontiere, non meno affascinanti ma meno note: la Siberia, l’Antartide, l’Oceania, la Patagonia. Nella seconda metà dell’Ottocento il Sud dell’Argentina risultava ancora ampiamente fuori del controllo del governo di Buenos Aires, benché la capitale fosse stata fondata già tre secoli prima. La storia della conquista delle pampas, avvenuta solo negli anni ’80 del XIX secolo, è storia di una lotta crudele, dall’esito scontato fin dal principio, di un genocidio che cancellò la presenza degli indios dall’Argentina moderna, facendone i primi veri desaparecidos di quelle latitudini. La civiltà bairese cosmopolita ed europeizzante considerava gli indigeni un intoppo sulla strada del progresso, ed il territorio da essi occupato era sprezzantemente chiamato “deserto”: benché fertile, agli occhi dei bianchi e dei meticci era terreno perduto, perché in mano a genti considerate primitive ed incapaci di sfruttarlo. Gli aborigeni del Rìo de la Plata non si lasciarono sottomettere né sterminare facilmente: per lungo tempo assillarono le province argentine “civilizzate” con le loro razzie, chiamate malones, i cui frutti (bestiame, schiavi, preziosi) venivano venduti ai mercanti cileni in cambio di armi ed acquavite. Quando la situazione si fece

    estancia

    Estancia La Candelaria

    intollerabile per i proprietari di estancias a ridosso della frontiera, il governo del presidente Avellaneda reagì con una singolare iniziativa: costruire un vallo (zanja) profondo 3 metri per una lunghezza di 610 chilometri, dalle rive dell’Atlantico fino ai piedi della Cordigliera, che rendesse più difficile ai cacicchi portare via il bottino delle loro scorrerie. Un’iniziativa difensiva molto contestata, che fu compiuta solo per metà, e che presto fu superata da un nuovo atteggiamento offensivo, con il quale il generale Roca diede il colpo di grazia agli indios, dilagando con le sue truppe per centinaia di chilometri a sud e spingendo la sovranità effettiva dello stato argentino fino alla Terra del Fuoco. Dalla storia de Il vallo della Patagonia (Edizioni Diabasis) Vanni Blengino, docente di letteratura ispanoamericana a Roma, si muove per analizzare il rapporto tra i conquistatori argentini e la frontiera interna, attraverso i resoconti di militari, scienziati, scrittori e religiosi (Don Bosco sognava di convertire gli indios fueghini, ma lo zelo dei soldati sottrasse ai suoi missionari salesiani la materia prima). Il tema è affascinante, per noi europei assai poco noto (e sì che molti italiani presero parte all’impresa di colonizzazione delle pampas…), e spero che questa mia succinta presentazione vi abbia incuriosito. Bene, se siete interessati all’argomento, vi avverto che il libro di cui sto parlando vi lascerà con il desiderio inappagato di saperne di più. A parte il primo capitolo, che si salva a malapena, il resto è una pizza megagalattica, pur essendo chiaramente l’autore un profondo conoscitore dell’argomento: è incredibile come si possa fare dormire il lettore partendo da un materiale potenzialmente così affascinante. Peccato, un’occasione mancata per svelarci un aspetto sconosciuto di un’epopea (nel bene e nel male) sudamericana, che, forse, ci aiuterebbe a capire altre realtà, come l’ascesa di Peron, la dittatura dei generali ed il conflitto delle Falklands – Malvinas.

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