Si comportano piuttosto come gruppi di turisti che osservano un po’ a caso il posto in cui si trovano […] si lasciano attrarre nel loro vagabondaggio ora da questo ora da quell’altro interesse, saettano per motivi ignoti a grandi altezze…
Gustav Jung, Un mito moderno. Le cose che si vedono in cielo.
Inutile illuderci, siamo una specie mediocre, di noi l’Universo se ne frega e non ci considera i suoi cocchi. Questa indifferenza può spaventarci o rassicurarci (dipende dal nostro grado di xenofobia) perché, se esistiamo noi, non c’è motivo per il quale nell’Universo non debbano esistere altre «intelligenze». Studiosi come il fisico teorico Stephen Webb ne ipotizzano almeno un milione di specie soltanto nella Via Lattea, cioè nei dintorni di casa. Ma allora «Dove sono tutti quanti?» si chiedeva Enrico Fermi nel 1950, e perché se ne stanno alla larga? Hanno forse captato le nostre trasmissioni televisive? O forse se ne infischiano della tecnologia e preferiscono dedicarsi alla filosofia piuttosto che alla costruzione di dischi volanti?
In un certo senso, però, gli alieni già sono fra noi, come nei più inquietanti (o spassosi) film di fantascienza degli anni della Guerra fredda. Esistono come mito, simbolo, prodotto della cultura di massa, ma sono abbastanza potenti da convincere i 39 membri della setta Heaven’s Gate a rinunciare ai loro involucri corporei per facilitare le operazioni di teletrasporto sulla cometa Hale-Bop.
Il saggio di Tommaso Pincio non vuole rispondere alla grande domanda «Siamo soli nell’universo?» ma, più modestamente, «imparare qualcosa di più su chi siamo e dove speriamo di andare». Il testo è quindi un’indagine sugli alieni come oggetto dell’immaginario, come prodotto vendibile e come risposta alle nostre solitudini.
Non c’è alieno senza Flying Saucer, direbbero negli Stati Uniti, meta amatissima degli extraterrestri – e in effetti il disco volante viene prima dell’alieno che la guida: la supermacchina debuttò nel mondo mediatico nel 1947, quando lo stimato uomo d’affari Kenneth Arnold avvistò dal proprio aereo privato una formazione di strani UFO e riferì alla stampa della loro traiettoria, simile a quella di un piatto rotante; il cronista fraintese e… mediaticamente il nome è tutto!
E prima del 1947, gli alieni che cosa facevano? I turisti, probabilmente, visitandoci in varie epoche e civiltà, come lascerebbero supporre disegni rupestri, testimonianze storiche molto antiche, e perfino alcuni quadri di Jacopo del Sellaio, Masolino del Panicale e Paolo Uccello. Altre ghiotte notizie sul continuo via vai di veicoli spaziali sul nostro pianeta potreste trovare nei «saggi» di Peter Kolosimo, ormai oggetti di modernariato ed esempi di un futuro mancato (quello del «prossimo sbarco» degli extraterrestri).
Partoriti dal nostro inconscio per sopperire al bisogno di sacro in un’epoca in cui Dio – se non morto appare almeno un po’ distante –, gli alieni sembrano fatti apposta per riempire i vuoti lasciati da una scienza poco affidabile e minacciosa. E per essere immediatamente fagocitati dal cinema e dall’industria dell’intrattenimento. Nelle prime e più promettenti cento pagine, Pincio individua le ragioni di tanto desiderio di credere negli alieni in due fattori specifici: la paura (diversamente da oggi, in passato l’immaginario collettivo era popolato di invasori spaziali, dai marziani di Wells ai baccelloni replicanti di Finney, dai Visitors televisivi degli anni Ottanta che, spalancando teatrali mascelle rettiliane, ingoiavano topini indifesi in attesa di addentare succulenti terrestri agli spassosi marziani capoccioni e dispettosi di Mars Attacks! [1].
È senz’altro curioso (anche se non incomprensibile) che l’opinione pubblica americana (la più sensibile all’argomento) dal 1947 si sia trasformata in pochi anni da una maggioranza di scettici curiosi in una massa di creduloni in attesa dei messia spaziali. Forse, ipotizza l’autore, è colpa del connubio schizofrenico tra la fine delle ristrettezze e il boom economico con la sua promessa di benessere consumistico da una parte e, dall’altra, il debutto a Hiroshima e Nagasaki e il successivo sviluppo di un boom di tutt’altro genere. La «psicosi» da dischi volanti ebbe anche risvolti singolari, come quello d’indurre tranquilli adulti con famiglia a sospettare che i vicini del villino di fronte fossero marziani e/o umani americani bennati ma posseduti dagli alieni e/o perfidi cittadini sovietici malnati e posseduti dagli alieni, tutti comunque decisi a conquistare la terra o almeno gli stati Uniti e, tanto per cominciare, la classica tranquilla cittadina della provincia americana.
Nelle restanti cento e quaranta pagine, decisamente più confuse, modaiole e deludenti, Pincio assembla senza, giustamente, prendere posizione ma anche senza offrire un filo logico di lettura, testimonianze sull’incidente di Roswell [2] conformismo borghese anni Cinquanta, la caccia alle streghe di McCarthy, rivalità fra le varie branche dei servizi segreti statunitensi e visite di inquietanti e stranamente disinformati «uomini in nero» a cittadini in odore di connivenza con gli alieni (come semplici testimoni dei loro vagabondaggi sul pianeta o, peggio come vittime asservite di rapimenti ed esperimenti). Altri capitoli sono dedicati agli anni Sessanta, epoca della promiscuità sessuale e della breve avventura umana sulla Luna, a un’aliena come Marilyn Monroe, ai legami tra cultura psichedelica e la speranza che gli alieni portino un nuovo, alternativo, modello di vita, ai cercatori di cerchi nel grano… Nel gran bazar allestito da Pincio la merce è molta ma è difficile distinguere tra oggetti interessanti e paccottiglia. Le pur interessanti riflessioni sul nostro bisogno di proiettare sull’Altro, il diverso, paure e speranze di una vita differente si perdono in mezzo alle «ipotesi», alle chiacchiere, alle citazioni fatte per il gusto di stupire.
Naturalmente non rimprovero a Pincio di non rispondere alla famosa domanda, o di non averci svelato la sua «verità» sugli alieni, ma (esistono, si interessano a noi, ci porteranno male o bene?) ma di non aver mantenuto la promessa di riflettere su «chi siamo» esplorando le nostre paure e speranze più profonde. O, perlomeno di non aver saputo spiegare in maniera più chiara e rigorosa (e più breve, magari) i risultati della sua esplorazione. Peccato, aveva cominciato bene.
1. L’elenco potrebbe essere lunghissimo: La cosa da un altro mondo (1951), Ultimatum alla terra (1951), Quando i mondi si scontrano (1951), La guerra dei mondi (1953), Gli invasori spaziali (1953)…
2. Due settimane dopo il primo avvistamento da parte di Arnold, «qualcosa» si schiantò a Roswell, nel deserto del New Mexico. Numerosi testimoni, pare, videro i resti di un velivolo e i cadaveri di alcune creature non umane che ne erano stati estratti. Dopo una prima ammissione dei fatti l’Aeronautica militare e le autorità statunitensi negarono l’episodio.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.