Luca Masali
La perla alla fine del mondo
Sironi
€ 16,00
Dopo lunga assenza dalle librerie ritorna un romanzo di Masali pubblicato una prima volta in «Urania» nell’estate del 1999. Una buona notizia ma anche una cattiva notizia. Dispiace infatti non poter leggere qualcosa di nuovo dall’autore de I biplani di D’Annunzio. A mitigare il disappunto la notizia, riportata in penultima che è prossima l’uscita del terzo volume della serie dedicata a Matteo Campini aviatore, La balena del cielo.
Ma com’è questa Perla?
L’ho letto, mi sono bastevolmente divertita, ma una domanda malignetta non riesce a uscirmi dalla testa: di Steven Spielberg non ne bastava uno?
Sia chiaro: Masali è uno scrittore d’avventura serio, e qui per serietà intendo la necessità/curiosità di documentarsi scrupolosamente sull’ambiente, la storia e la cultura del periodo/luogo che si intende trattare. E la Perla ha sicuramente l’enorme (davvero enorme, a pensarci bene) pregio di divulgare aspetti e caratteristiche della cultura araba e della religione islamica che altrimenti ben difficilmente sarebbero giunti in mano a molti lettori italiani.
Ciò che mi ha convinto meno del romanzo di Masali è la pretesa di presentarlo come romanzo di SF, quando tutti i riferimenti al futuro appaiono forzati e macchinosi e (la lingua batte dove il dente duole) nel suo romanzo non vi è alcuna traccia del famoso e celebrato novum.
È anche vero, d’altro canto, che da qualche anno a questa parte le carte si sono definitivamente mescolate e la coerenza fantascientifica è diventata un elemento di scarso peso se non addirittura una vecchia e sconveniente abitudine, come ciccare tabacco o mettere le soprascarpe. Arruoliamo quindi La perla nella categoria del «Dieselpunk» citata da Davide Mana nel numero 43 di LN e pensiamoci più.
Il romanzo narra dei tentativi di una fazione fondamentalista islamica del remoto futuro di impadronirsi dell’antico segreto dell’immortalità custodito in una grotta del Sahara, apparentemente contrastata (solo apparentemente) dagli emissari del futuro Impero Neo-Ottomano e da un sant’uomo – l’Imam nascosto – custode del «fiore dell’Islam».
In questa battaglia – ambientata nel 1924 – sono coinvolti, loro malgrado, anche l’aviatore Matteo Campini, già protagonista de I Biplani di D’Annunzio, e monsieur Citroën.
Se questo vi ricorda l’Arca dell’Alleanza e la chiesa dei Crociati di Indiana Jones – pur in assenza di nazisti – la colpa non è mia. E comunque per scrivere un romanzo all’altezza di simili riferimenti bisogna avere senso del tempo e destrezza nel definire le scansioni della vicenda, abilità nel creare eventi spettacolari, fiuto nell’escogitare coincidenze incredibili ma verosimili, nel disegnare fondali suggestivi, e nel riciclare con raffinata abilità elementi tipici dell’avventura (qui la Legione Straniera). Doti non certo di tutti. E Masali è il tipo di scrittore capace di condurre in porto imprese del genere.
Con tutto ciò La Perla mi ha sedotto molto meno dei Biplani, un po’ perché Campini nella vicenda sembra inserito apposta per fare la figura del cretino, un po’ perché la ricostruzione degli anni ’20 mi è parsa ovvia, un po’ perché troppo spesso nei dialoghi i personaggi ostentano un lessico troppo recente per risultare verosimile negli anni del fox-trot e, infine, perché l’agnizione finale del personaggio di Corinne appare con tutta evidenza una risorsa escogitata sul momento piuttosto che il frutto di un progetto meditato.
Quasi a conferma di questa difficoltà nel padroneggiare completamente la vicenda, i viaggi nel tempo de La Perla appaiono un macchinoso escamotage non sempre ineccepibile, foriero di paradossi a catena per un lettore nemmeno troppo distratto.
Bastano questi elementi a catalogare il romanzo di Masali come un fiasco?
No. Per quanto scritto più affrettatamente e con ambizioni probabilmente eccessive, La Perla testimonia delle capacità non comuni di Masali. Non resta, quindi, che attendere con fiducia – e anche una certa avidità – l’uscita de La balena del cielo.